Ciò che inquieta del discorso osceno di Priamo Bocchi

Casa delle donne Parma

Commento lungo ma necessario su Priamo Bocchi e sulla crisi di virilità (perché non ci accontentiamo e perché ci sono troppi tranelli nell’eco e nel discorso del consigliere regionale).

Ciò che ci inquieta del discorso di Priamo Bocchi è che Priamo Bocchi non parla da alticcio avventore di un qualsiasi bar della nostra città sorniona, ma prende parola nello spazio pubblico e lo fa da esponente politico di Fratelli d’Italia, il partito che governa il nostro Paese e che, stando ai sondaggi, pare sfiorare il 30% dei consensi.

E se è vero che le sue parole sarebbero gravi anche in bocca all’avventore alticcio, in bocca sua diventano criminose, oltreché una vera e propria oscenità. E poco importa sapere se lui stesso creda oppure no alle sue affermazioni, perché, che le abbia dette con convinzione o solo per attirare attenzione, in entrambi i casi siamo davanti ad un’azione fatta in mala fede. Un’operazione che nulla ha a che fare con la politica, ma unicamente con una propaganda bassa e bieca, tipica delle televendite alle quali siamo talmente abituat3 da non riuscire più a riconoscerle come tali. Non si tratta più di fare politica, ormai il gioco è a chi le spara più grosse per far parlare di sé e contemporaneamente imbonirsi il consenso e il riconoscimento del peggio del paese, vantandosi pure di saperlo rappresentare degnamente. Saper dare voce alle viscere non è un sapere politico, ma un sapere scellerato.

Ciò che inquieta è dunque la degradazione alla quale siamo costrett3 ad assistere quotidianamente. È questa trasformazione, consapevole e volutamente ricercata, della politica in caciara, è il continuo insulto alla nostra intelligenza e alla nostra cultura. È la scelta di parlare unicamente alla pancia del paese, per abbassare e appiattire il livello della discussione e della riflessione, annullandone la complessità e la profondità per arrivare alla cancellazione di ogni possibile sfumatura di pensiero. Per uniformare tutto in un nero che rappresenta il lato oscuro di cui questi “politici” si ergono a rappresentanza.

Si tratta pertanto di una questione di metodo, alla quale si sommano poi altre due questioni di contenuto e di divulgazione. Già, perché, se i contenuti di Bocchi sono gravi, altrettanto grave è la divulgazione incondizionata del suo pensiero, espresso sulla qualunque in modo fallace, spesso violento, sempre fazioso e deformante.

E dunque ci inquieta anche constatare che Priamo Bocchi è in assoluto il politico della nostra città che maggiormente trova spazio di espressione sul quotidiano locale, che non solo gli concede colonne di giornale per i suoi comunicati stampa, ma gli riconosce diritto di replica e autorevolezza, mentre un intero Paese lo sta deridendo. Chissà se da oggi in avanti i suoi comunicati continueranno a trovare la stessa eco sulla stampa? Di certo, dargli parola è appoggiare questo modo sciagurato di fare propaganda ed è dunque una scelta precisa che la stampa cittadina fa, quotidianamente, a discapito della polis e a favore di quello stesso lato oscuro che Bocchi tanto degnamente rappresenta.

Infine occorre una riflessione sul contenuto. Aberrante e fascista in ogni suo passaggio. Si tratta della celebrazione del sessismo eterno, il ritorno alla natura per sostenere l’inesistenza della cultura patriarcale. Per Bocchi è, infatti, la natura ad averci creato sessualmente differenti ed è dunque la natura stessa a giustificare e volere il predominio maschile e virile e la sottomissione femminile. La violenza non è che il mezzo per mantenere l’ordine naturale delle cose e reprimere ogni tentativo di cambiamento. E di conseguenza i femminicidi sono la risposta che l’uomo mette in atto, per ritornare ad imporre il suo controllo, il suo ruolo naturale di patriarca.  Il nostalgico rimpianto di un perduto virilismo è il desiderio di Bocchi di un ritorno a quello che lui immagina essere uno stato di natura, sancito da ruoli netti e distinti del maschile e del femminile, che vengono percepiti come rassicuranti perché non lasciano spazio alle incertezze. L’uomo deve fare l’uomo, deve comandare e decidere e la donna si deve sottomettere ai suoi comandi e alle sue decisioni. Nessuna sfumatura. Le donne nel loro stato di sottomissione possono concedersi di manifestare i propri sentimenti, l’uomo no. L’uomo li domina, li controlla, li reprime. L’uomo comanda e non ha tempo per rielaborare e soffrire. Parla da uomo dei lumi trecento anni dopo, da positivista con un secolo e mezzo di ritardo e da fascista, eternamente.

Al cuore di questo suo discorso brutto e povero, anche da un punto di vista retorico e argomentativo, è l’idea che le relazioni si costruiscano basandosi unicamente su rapporti di forza, potere e dipendenza. L’idea cioè che le nostre relazioni amorose siano regolate unicamente dal potere e dalla necessità di stabilire uno stato di dipendenza dell’uno sull’altro. E che lo dica uno che si dichiara sempre molto preoccupato delle dipendenze che affliggono le giovani generazioni, ci fa come minimo pensare che siamo sempre ai “due pesi e due misure”.

Avrebbe dovuto venire in piazza il 25 novembre e ascoltare le nostre parole, gli avrebbero fatto bene, se solo avesse l’umiltà di mettersi in ascolto.

Perché anche quel giorno abbiamo ribadito chiaramente che una società impaurita in materia di relazioni è una società arresa, incapace di pensarsi altra e perciò conformata e controllabile. Abbiamo detto che noi crediamo che la difesa non possa essere il solo strumento per vivere e parlare di relazioni, perché non è trasformativa.

Abbiamo urlato che non ci accontentiamo di correre ai ripari ma che vogliamo un nuovo orizzonte per decostruire i rapporti violenti, ma anche per iniziare a costruire modelli di rapporti positivi.

E che per farlo abbiamo bisogno di parole nuove che sappiano definire in positivo l’amore libero e restituirgli il suo valore centrale e politico. Perché noi da tanto abbiamo capito che dominio e violenza sono il risultato dell’illusione di poter controllare ed evitare la paura di soffrire: salvare noi affondando l’altro.

Certo, imparare a rispettare la volontà di chi abbiamo di fronte e ricordarci che nessuno ha il diritto di trattenerci e noi non abbiamo il diritto di trattenere nessuno, non è facile ma è necessario. Così come lo è il concederci di stare male per la perdita di una persona che amiamo, sapendo che questo tipo di sofferenza è la cifra della nostra umanità.

Noi crediamo che gli spazi della politica, quella vera, dovrebbero essere attraversati da chi cerca di prendersi cura della polis e non usati per sproloqui propagandistici e discorsi che rivelano, oltretutto, un’ignoranza abissale su certe questioni.