da Potere al popolo Parma
Domenica 19 gennaio si è tenuta presso la sala della Pubblica Assistenza di Parma un dibattito dal titolo “Esprimere dissenso non è reato, è democrazia”, promosso da DIEM 25 e Parma città pubblica per discutere del Disegno di Legge 1660, già approvato dalla Camera dei deputati e ora al vaglio del Senato. Nella prima parte della mattinata sono stati ospitati gli interventi della docente Veronica Valenti, dell’Università degli Studi di Parma, di Cristina Quintavalla, Commissione Audit sul debito pubblico di Parma, di Roberto Cavalieri, Garante regionale dei diritti dei detenuti, di Serena Tusini, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, e di Michele Rossi, Centro Immigrazione Asilo Cooperazione internazionale di Parma e provincia (CIAC).
Molti degli interventi hanno inquadrato la gravità di questo dispositivo di legge sotto il profilo giuridico. Si va ad inasprire le pene previste per alcuni “reati”, quali quello del “blocco stradale”, che in un mondo del lavoro frammentato e in balia degli interessi e dei “capricci” di grandi fondi di investimento come Blackrock o Melrose rappresentano tra le poche pratiche ancora efficaci per far emergere i diritti di lavoratori e lavoratrici lasciati a casa da un giorno all’altro per dare spazio a speculazioni immobiliari, come la vicenda della ex GKN insegna. Si colpiscono i migranti, che nell’attuale sistema di (non) accoglienza non possono evitare lo status di migrante irregolare, ma possono richiedere l’asilo solo passando da un più che insufficiente sistema di ricevimento (30.000 posti di accoglienza a livello nazionale, quando solo in Puglia sono più di 15.000 i migranti presenti e sfruttati in nero). Si condanna la “resistenza passiva”, che sempre è servita a chi è in carcere per reclamare un diritto o richiamare l’attenzione, in un sistema giudiziario ingolfato e carceri sovraffollate. La resistenza passiva è diventato strumento di lotta anche di una parte dei movimenti ambientalisti ed ecologisti, quindi si va ad inasprire le pene verso quella parte della società civile che tramite la manifestazione e l’espressione del dissenso cerca di rendere davvero attuali quei diritti che sono espressi nella nostra Costituzione. La scuola e le università, infine, diventano grandi incubatori per questa nuova visione di sicurezza non più intesa come sicurezza sociale, di avere una casa, un salario, un welfare sicuri, ma come sicurezza da garantire col manganello. Dunque non solo si organizzano nelle scuole elementari dimostrazioni con sparatorie a salve, o si invitano i ragazzi delle scuole superiori ad imparare ad usare un manganello; ma l’articolo 31 del DDL 1660 fa entrare in maniera inquietante i servizi segreti nelle aule di ogni ordine e grado, per spegnere e sedare ogni idea o iniziativa diversa.
Nella seconda parte dell’incontro, si è lasciato spazio ad una tavola rotonda a cui hanno partecipato movimenti e partiti politici, dal PD a Potere al Popolo. Il dibattito politico è stato utile, perché capire come affrontare il problema è molto importante. Per noi di Potere al Popolo – e come hanno sottolineato diversi relatori nel corso della mattinata – questo DdL è il punto di arrivo di un processo che parte da lontano, il frutto di 20 anni di campagne elettorali giocate sulla pelle dei migranti e sulla marginalità sociale, che non è più il sintomo di un problema sociale da affrontare, ma una questione di ordine pubblico, che individua nemici interni. Ci hanno raccontato che scuole, ospedali e servizi non ci sono più perché si danno i soldi agli immigrati. In realtà si tagliano i trasferimenti agli enti locali e si privatizza tutto, per questo non abbiamo più uno stato sociale. Questo l’hanno fatto i fascisti oggi al governo e gli antifascisti da operetta che erano al governo prima. Gli appelli all’unità antifascista sono bolsi e inutili, il problema purtroppo è molto più grave: lo scrimine politico, crediamo sia tra chi accetta la società neoliberale, con le sue diseguaglianze, le zone rosse e il decoro urbano, che affronta i problemi sociali coi carabinieri: non la guerra alla povertà, ma la guerra ai poveri. Oppure accettare di andare contro le politiche di austerità e di guerra, di andare contro la rendita immobiliare che governa le nostre città e iniziare a fare la guerra alla povertà, che significa inimicarsi finanza, industria e palazzinari: ossia chi di solito finanzia le campagne elettorali.
Non c’è più spazio per stare in mezzo, il periodo dei “ma anche” è finito. Non basta fare vaghi appelli antifascisti, dobbiamo parlare a quella parte di società abbandonata dalla politica da decenni, che arranca, che le politiche neoliberali le ha subite sul serio. Dobbiamo essere capaci di dare quelle risposte che non siamo riusciti a dare da troppo tempo. Se siamo sicuri che l’autoritarismo fascista, il sovranismo valido solo contro i migranti poveri mentre ci si inginocchia a Musk, siano un male per i lavoratori del nostro paese, allora dobbiamo provare ad andare a dirglielo. E spiegargli che le case popolari servono anche a chi non ci andrà ad abitare. Che solo una città più giusta è una città più sicura, altrimenti rassegnamoci alle zone rosse e ai militari per le strade del centro ad aumentare la percezione di sicurezza di qualcuno mentre qualcun altro affonda.