da Potere al Popolo Parma
In seguito al lancio della campagna “Io mi impegno a Parma”, che attribuisce al volontariato non retribuito lo svolgimento di mansioni dell’ambito culturale e sociale, definendo poi un privilegio l’accesso alla cultura e alle iniziative connesse, come Potere al Popolo Parma abbiamo ritenuto giusto ribadire innanzitutto che chi lavora per la cultura o nel sociale è un lavoratore o lavoratrice, e dunque deve essere adeguatamente retribuito; secondo, di conseguenza, che il volontariato può esistere come attività di supporto ad alcune iniziative, ma non può sostituire un investimento reale, anche in termini di posti di lavoro, da parte delle istituzioni in questi ambiti. Vista la risposta del vicesindaco Lorenzo Lavagetto sulla questione, arrivata alla redazione locale de La Repubblica, ci sentiamo di fare altre precisazioni.
Lavagetto scrive che “i servizi del Comune di Parma in ambito culturale sono tutti erogati mediante prestazioni professionali” e se questi non fossero sufficienti, “le iniziative semplicemente non si svolgerebbero”. Scorrendo però, nel sito dedicato, le iniziative disponibili e l’impegno richiesto, si vede che in molti eventi, è richiesto un momento di formazione obbligatorio; che le mansioni da svolgere (accoglienza visitatori, allestimento della sala, distribuzione dei microfoni, gestione del buffet, per citarne alcuni) fanno parte normalmente dell’insieme di compiti richiesti a chi lavora nell’ambito dell’organizzazione di eventi o gestione di un luogo aperto al pubblico; che si definiscono dei veri e propri turni di lavoro. La presenza di questi volontari (anche 20 o 30 richiesti per ciascun evento), dunque, è solo di supporto o necessaria allo svolgimento delle manifestazioni?
“L’iniziativa comunicativa è di Csv Emilia e riguarda tre città – Parma, Reggio e Modena – ed è iniziata da tempo, con analoghe modalità che già in passato avevano sollevato reazioni” continua Lavagetto. Ci si chiede dunque come mai il comune di Parma, che nella tradizione e nella vulgata è una città che valorizza cultura, festival, teatri, abbia deciso di accogliere e pubblicizzare col proprio logo un’iniziativa che già in passato aveva suscitato polemiche. In Consiglio e tra gli assessori non ci si è chiesto come mai il concetto di lavoro culturale gratuito e volontario, o di cultura come privilegio “che rende liberi” poteva non essere ben accolto anche a Parma?
In verità noi non siamo troppo sorpresi, perché da anni il lavoro culturale e sociale è stato reso precario e svalutato e non crediamo che la questione possa essere derubricata a un errore di comunicazione. Non abbiamo nulla contro il volontariato, anzi, ma ci preoccupa che questa importante risorsa venga usata strumentalmente per nascondere i tagli continui che su questi settori si susseguono da decenni. Durante le amministrative abbiamo insistito sul fatto che il sociale e la cultura non sono un lusso, ma dovrebbero essere al centro delle preoccupazioni di un’amministrazione, non solo a parole, ma con finanziamenti adeguati, perché senza un lavoro dignitoso non c’è cultura né servizi di qualità. Ci preoccupa leggere sul manifesto di questa iniziativa che si tratta di un’ “opportunità di aggiornamento dei modelli di riferimento di settore, così che possa essere replicato e scalato da tutte quelle città e territori che ad esso vorranno ispirarsi”. Speriamo piuttosto che questo aggiornamento non si fondi su un modello che distorce il significato di lavoro volontario per nascondere, tagli, sfruttamento e spietata competizione tra lavoratori poveri.