di Marco Severo
Siamo stati sottocoperta con il sapore della tempesta sulle labbra. Abbiamo imparato a muoverci in spazi angusti e a fare uso di un linguaggio selettivo, forse ad avere orecchie più attente. La scuola con il virus lo richiedeva. Bisognava, in questi mesi, insegnare in modo diverso e lo abbiamo fatto. Non c’era tanto da imparare a fare lezione sul web e a gestire la Didattica a distanza (o Didattica di stanza?), quanto provare a rimodulare la forma e il contenuto di una pratica quotidiana. “Guardi prof, le faccio vedere le mie pecore e il mio cavallo” ha esordito giorni fa un alunno di prima media, Appennino parmense, sorpreso nella stalla dall’inizio della lezione online (aveva portato con sé lo smartphone).
Ogni giorno abbiamo accolto con la festa lo sbocciare degli alunni sullo schermo, il rimbalzo sonoro da sottomarino ad annunciarne l’ingresso nella classe di Google meet. Ci siamo trascinati in estenuanti rimpalli di “mi senti? Io ti sento! Mi vedi? Io ti vedo!”. Su Classroom, su Nuvola o su Spaggiari ci siamo rifatti una routine. Abbiamo aperto un canale su YouTube, creato un account su Screencast, fatto fumare le chat di WhatsApp. I Power point li abbiamo distribuiti con magnanimità e perizia persino estetica.
Al pomeriggio siamo andati sul balcone con la bandiera oppure con l’arcobaleno di “Andrà tutto bene”, l’inno di Mameli e gli applausi. Abbiamo cantato e battuto le mani sopraffatti da un afflato corale e da un amor di patria non inficiati neppure dalle obiezioni del dirimpettaio: “Mettiti la mascherina, cretino!”. Poi siamo tornati dentro e ci siamo iscritti a tutti i webinar gratuiti che ci passavano sotto gli occhi: webinar sulla motivazione degli studenti, webinar sulla valutazione, webinar su come iscriversi a un webinar. È gratis e che fai, non ti iscrivi?
Soprattutto abbiamo ascoltato e fatto raccontare. Gli spifferi della tempesta filtravano dallo schermo, il cielo era basso e si stava tutti pascolianamente rinchiusi nel proprio nido. La scuola conosceva intimità e raccoglimento, la sintonia non aveva neanche bisogno di troppa connessione internet. Gli alunni vivevano un’esperienza segnante. Per alcuni, i numeri giornalieri presentati dalla Protezione civile – e sciattamente riferiti dai quotidiani online – erano qualcosa di molto tangibile, un dramma vissuto in famiglia, nel vicinato, nella cerchia delle amicizie. E allora come facevi a spiegargli le subordinate di secondo e terzo grado?
Insomma abbiamo attivato una modalità di insegnamento del tutto nuova, intesa come linguaggio e sostanza più aderenti ai bisogni. A un certo punto siamo anche diventati eroi, “eroi anonimi” come ci ha definiti la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina in una lettera dello scorso 28 marzo. “Questo è il momento di ricorrere alle nostre migliori risorse, perché l’eccezionalità della situazione lo richiede, e so che lo state facendo” ci coccolava in quelle righe Azzolina.
Finché non è arrivato un annuncio. L’annuncio del ritorno alla Normalità.
E, si noti, non la Normalità graduale e faticosa della fase due, quella puntellata dalle scadenze del 4 e del 18 maggio. Non la citatissima luce in fondo al tunnel quanto, piuttosto, il flash sparato dritto negli occhi di migliaia di insegnanti, ovvero dei circa 77 mila precari, professori e professoresse di scuola secondaria che – ha fatto sapere la ministra dell’Istruzione – dovranno sostenere, già a luglio, il più volte annunciato concorso straordinario per l’immissione in ruolo. Adesso. Subito. Nonostante il Coronavirus.
Il bando è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 28 aprile, le iscrizioni saranno aperte il 28 maggio. Ci sono in palio 24 mila contratti a tempo indeterminato, ma l’opportunità della vita sta in fondo agli 80 minuti previsti per rispondere a 80 domande a crocette, somministrate al computer. “I concorsi si svolgeranno garantendo condizioni di massima sicurezza per i candidati”, si legge sul sito del Miur in riferimento all’emergenza sanitaria. Si sta pensando, secondo quanto riportato da Repubblica.it, ad un ingresso nelle aule a piccolissimi blocchi, dieci persone alla volta. Da capire bene dove le selezioni si svolgeranno, dato che le scuole potrebbero essere indisponibili a causa della sanificazione necessaria per il ritorno in aula a settembre.
Dieci persone alla volta, presumibilmente con una mascherina, magari un gel antisettico a portata di mano; il caldo di luglio o di agosto; lo scorrere veloce del cronometro; il ritmo di una risposta al minuto per valutare l’idoneità di un insegnante, le sue qualità psico-attitudinali, relazionali, professionali. Un test incalzante, superficiale, complesso da un punto di vista logistico e che probabilmente comporterà molti spostamenti da una città all’altra. I sindacati, considerate le circostanze emergenziali, hanno proposto in alternativa un concorso basato sulla valutazione dei soli titoli per i prof che abbiano maturato almeno tre anni di servizio, ma Lucia Azzolina si è dimostrata piuttosto ostinata sulla questione della meritocrazia e del concorso come unica possibilità. Il punto è che la prerogativa della meritocrazia, tanto centrale nel programma del Movimento Cinque Stelle, il partito della ministra, qui davvero pare spesa in modo errato, viene agitata come un mero feticcio, degradata a pura tecnocrazia.
E in ogni caso il paradosso di questo concorso straordinario non risiede tanto nelle controindicazioni d’ordine tecnico. Si chiede infatti agli insegnanti precari, fino a un mese fa tra gli “eroi anonimi”, membri a pieno diritto di una comunità in raccoglimento, affiatata, mano sul cuore e viva l’Italia, pedine fondamentali nel legittimare lo slogan “La scuola non si ferma” coniato dalla ministra, ecco si chiede ora a costoro di riformattarsi rapidamente per tornare a una Normalità veloce e piuttosto proterva, sintetizzata rozzamente dal meccanismo di un test di 80 domande in 80 minuti nel quale è praticamente impossibile riflettere, pensare, valutare e cioè fare quelle cose che, fino ad oggi, gli insegnanti hanno fatto e ancora faranno a lezione, pur con la Didattica di stanza.
Per i prof precari è finita la fase delle coccole, del nido pascoliano e della scuola che cambia vista la “eccezionalità della situazione”. Dopotutto, per rituffarsi nella Normalità cosa c’è di meglio di un bel concorsone che marca il ritorno al tempo della competizione, dell’azzardo, dell’approssimazione? Basta con le pecore e il cavallo dell’alunno d’Appennino (che con il video della stalla avrà pur voluto dire qualcosa). È il momento ok per le risposte a crocette e con la mascherina, quella mascherina che rende odioso fare la spesa, figuriamoci procurarsi un posto di lavoro. Dovremmo essere grati per l’opportunità, invece siamo preoccupati. Mai, davvero, siamo passati tanto rapidamente dalle stalle alle (Cinque) stelle.