da Potere al popolo – Parma
All’inizio, quella che sarebbe diventata la Pandemia, si è presentata con il vestito della caccia all’untore. Straniero, ovviamente. Mentre le aggressioni ai cinesi si moltiplicavano, i media seguivano ossessivamente il virus, con l’implicito sotteso che qui non sarebbe mai arrivato. D’altronde noi non mangiamo i topi vivi “come loro”, parola di Zaia. Potevamo stare tranquilli: ci si ripeteva che siamo bianchi, sani, ricchi e puliti, cosa potrà mai capitarci? Il virus insomma si era andato a sedere nel dibattito italiano accanto ai porti chiusi e alle altre idiozie che da anni ci ammorbano. In pochi sospettavano che sarebbe uscito dal circuito dei meme dallo humor cinico o delle fake news complottiste per imporsi come qualcosa di completamente inedito.
Poi è arrivato in Italia: non aveva gli occhi a mandorla, ma indossava gli abiti di un manager lombardo. E in poche settimane si parla di emergenza. Un’emergenza che ha portato ad accelerare tutte le contraddizioni che ci circondano e che da tempo il dibattito politico ha nascosto dietro invasioni barbariche e “kaste”. Ci si è accorti del valore della sanità pubblica dopo che l’emergenza in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna ha svelato il risultato di 30 anni di tagli di posti letto, personale sanitario, di privatizzazioni ed esternalizzazioni. Quei numeri sono usciti dall’astrazione dei bilanci e ce li siamo trovati molto concretamente nei dispositivi di sicurezza che scarseggiano anche negli ospedali, nei tamponi che non vengono fatti tra gli operatori sanitari per evitare di andare in carenza di personale, nei posti che scarseggiano in terapia intensiva.
Nel frattempo, da una parte le misure di prevenzione riducevano la socialità ai conviventi stretti, dall’altra si faceva finta di non vedere che l’area industriale più importante del paese radunava centinaia di migliaia di persone per continuare a produrre. D’altronde, #milanononsiferma e nemmeno Parma nel suo piccolo. Ci sono voluti i camion militari carichi di salme per mettere a fuoco il mondo in cui siamo calati. Eppure, nemmeno davanti a questo Confindustria e Assolombarda si sono piegati. Dobbiamo continuare a produrre a ogni costo e il Governo ha obbedito, tenendo aperto tutto quando annunciava di chiudere tutto. Così le fabbriche che producono armamenti o più modestamente l’“eccellenza” locale dell’automazione metalmeccanica, diventano essenziali. Essenziali per chi? Siamo tutti sulla stessa barca, ma qualcuno è già sulla scialuppa. Agli altri tocca rimanere a guardare l’acqua che si alza, mentre l’orchestra continua a suonare.
E così il virus “cinese” è diventato italiano, spagnolo, americano… mostrando con crudeltà i peggiori paradossi in cui viviamo: la stupidità del motto tatcheriano “non esiste la società, solo gli individui”, l’inutilità di una classe politica che recita i rosari in tv o chiede l’apertura delle fabbriche oltre a quelle che hanno fatto solo finta di chiudere, fino all’ingordigia sorda degli industriali che si fregano le mani per le grandi opportunità di affari ai tempi dell’epidemia. E mentre l’Europa ci chiude la porta in faccia indicandoci soluzioni greche, ci rendiamo conto ogni giorno di più che quando riapriremo le porte di casa il mondo non sarà lo stesso di prima.
Potrebbe essere un mondo molto peggiore, certo. Ma, al contrario, potrebbe anche essere l’occasione per invertire il corso delle cose. Ci vuole molto coraggio, il coraggio di provare una direzione nuova: a cominciare da una sanità davvero pubblica, al servizio della salute e non del profitto di qualche imprenditore delle malattie. La re-internalizzazione dei servizi sociali e la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia sarebbero un primo passo decisivo. Qualcuno proverà a trasformare questa emergenza nell’ennesima occasione per fare business sulla nostra pelle: trasformiamola in occasione di cambiamento… sulla loro pelle, per una volta.