dal Comitato No Pillon
Di seguito pubblichiamo i testi degli otto volantini distribuiti dal Comitato No Pillon per la manifestazione dell’8 marzo a Parma.
L’otto marzo saremo in piazza perché…
… diciamo NO all’inemendabile ddl Pillon, venduto come una doverosa assunzione di responsabilità da parte dei padri e come tale percepito da molte, ma che di fatto produrrà pericolosissime conseguenze, pratiche e ideali, per madri e bambini.
… leggiamo dietro il ddl Pillon un più generale disegno oscurantista e restauratore di una mentalità patriarcale che passa dalla riforma del congedo di maternità alla proposta di riaprire le case chiuse, dagli attacchi alla 194 ai finanziamenti che molti comuni stanno assegnando alle associazioni antiabortiste.
…abbiamo la convinzione che l’attacco non sia rivolto solo alle donne: molti di questi provvedimenti aggraveranno la destrutturazione del welfare e le classi più deboli si ritroveranno sempre più in difficoltà.
… vogliamo manifestare la nostra determinazione a non restare in silenzio e a non accettare nessun disegno politico che sacrifichi la nostra possibilità di sognare, di realizzarci, di autodeterminarci e di esprimerci liberamente in tutta la nostra bellezza, nella nostra differenza e nella nostra complessità.
… pensiamo sia giunto il momento di alzare la voce non solo per denunciare discriminazioni e violenze contro le donne ma anche per rivendicare che stampa e opinione pubblica parlino di tutto ciò con altre modalità e parole rispetto a quanto ancora avviene.
… non accettiamo che nei titoli dei giornali che raccontano casi di femminicidio, si leggano ancora parole come “raptus”, “follia”, “tragedia”. Parole che appartengono a un modo di raccontare la violenza profondamente ambiguo perché evocano in chi legge o scenari fatali – in cui carnefice e vittima sembrano in balia del proprio destino – o momenti di improvviso annichilimento della ragione.
… crediamo ci sia solo una parola che i giornalisti dovrebbero usare per raccontare la violenza ed è quella più semplice: FEMMINICIDIO, ovvero l’omicidio di una donna ideato e pianificato da chi non accetta che quella donna si rifiuti di agire secondo le sue aspettative.
… siamo convinte che parlando in questo modo, aiuteremmo tutti e tutte a comprendere la vera origine della violenza: la pretesa subalternità femminile che molti uomini ancora esigono, la cultura patriarcale in cui ancora molti crescono, il machismo che impedisce a molti uomini di accettare separazioni e sconfitte e che li spinge a considerare la distruzione di ciò che li fa soffrire come unica soluzione al proprio dolore.
… rivendichiamo dunque la nostra battaglia anche sul piano del linguaggio: le parole non solo descrivono il mondo ma contribuiscono anche a creare la realtà e le relazioni. È bene abituarci a USARE le PAROLE APPROPRIATE.
… riteniamo che la maternità non sia né un dovere né un destino, ma una libera scelta di ogni donna.
… siamo consapevoli che dietro agli attacchi al diritto di autodeterminazione operano modelli patriarcali antichi ma ancora vivi che hanno l’obiettivo di disciplinare e controllare il nostro corpo, le nostre scelte, le nostre vite.
… non accettiamo che vengano colpevolizzate le donne per la scelta di interrompere una gravidanza senza riconoscere che i veri problemi sono la chiusura progressiva dei consultori, la mancanza di educazione sessuale, il sempre più difficile accesso alla contraccezione e la quasi totale assenza di politiche di conciliazione e di sostegno alle madri lavoratrici.
… vogliamo denunciare che in Italia più del 70% dei medici si dichiara obiettore di coscienza, rendendo l’accesso all’aborto legale sempre più difficoltoso, mentre aumenta con preoccupazione il numero degli aborti clandestini.
… non possiamo più restare a guardare mentre ad uno ad uno smantellano i nostri diritti in nome di una difesa della vita che mette in pericolo prima di tutto la vita delle donne stesse.
… non possiamo accettare che, a vent’anni dalla legge sulla violenza sessuale del 1996, siano spesso le vittime di stupri e violenze ad essere poste sul banco degli imputati, che gli uomini violenti siano giustificati e le donne sospettate di avere in qualche modo provocato la violenza.
… non tolleriamo più che, come abbiamo visto anche nella nostra città, le parole di un processo per stupro non cambino mai, che attraverso un uso improprio della parola consenso, la violenza e le sevizie possano diventare lecite; che i privilegi dell’uomo ricco, bianco che si crede (ed è creduto) forte e autorevole possano indurre ancora a pensare che … “in fondo è lei che se l’è cercata…”.
… ci opponiamo all’idea giustificatoria di violenza che questa società patriarcale vuole ancora proporci, continuando a legittimare e proteggere i suoi figli “che sbagliano”, deresponsabilizzandoli, difendendoli e alimentando questo gioco al massacro.
… vogliamo che emerga con chiarezza quanto rilevato dagli ultimi dati Istat sulle vittime di femminicidio: nell’assoluta maggioranza, gli assassini sono partner (o ex), parenti o conoscenti, mentre pochissimi sono i casi in cui l’autore è un estraneo.
… sappiamo bene che i femminicidi non avvengono di punto in bianco ma sono la punta estrema di un crescendo di violenze ripetute, note a molti e spesso anche alle forze dell’ordine.
… esigiamo che la cultura della violenza non sia più considerata come possibile o ancor peggio inevitabile. Come una “naturale” inclinazione maschile ad affermare la propria gelosia e il proprio ruolo di dominio e superiorità.
… pretendiamo che in un rapporto di coppia la violenza non possa e non debba entrare. Al contrario di quanto ci hanno insegnato, noi donne non dobbiamo sopportare nulla né salvare nessuno. Dobbiamo però imparare e convincerci che dove c’è controllo, possesso e violenza non potrà esserci amore, mai.
… ci opponiamo con forza al decreto Salvini e alla Legge Sicurezza di questo governo, che non solo tenderà a chiudere sempre più le frontiere e a infliggere sofferenze sempre più atroci dall’altra parte del Mediterraneo, ma renderà un inferno la vita delle persone migranti, anche di quelle già presenti in Italia ma non riconosciute dalla legge come cittadine.
… non possiamo tollerare che uomini e donne siano discriminati per il colore della pelle o per la loro origine, che molti e molte siano lasciati annegare in mare, magari dopo essere stati torturati nei centri di prigionia, o che si chiudano gli occhi sugli stupri che in Libia avvengono quotidianamente.
… non accettiamo il razzismo che serpeggia nelle nostre vite e nelle nostre giornate.
… siamo convinte che il femminismo non possa che essere antirazzista. Il femminismo o è liberazione di tutti e tutte, o non può essere.
… siamo contrarie a ogni forma di OMOFOBIA, transfobia e discriminazione verso chi non si riconosce nelle identità binarie del maschile e del femminile.
… siamo convinte che, laddove i confini tra identità e differenza s’irrigidiscono, il sesso di nascita e l’orientamento sessuale diventino spesso fattori discriminanti nella definizione di “giusto” e “sbagliato”: ciò cui è necessario conformarsi per essere accettati, da una parte e, dall’altra, ciò che va nascosto, allontanato, punito, pena l’esclusione.
… siamo preoccupate dal vedere crescere, anche nella nostra città, campagne d’odio e di diffamazione sulla cosiddetta “ideologia del gender”.
… crediamo sia il momento di costruire una voce collettiva che chieda di potenziare, anche nelle nostre scuole, progetti efficaci e di qualità per la valorizzazione delle differenze, l’educazione sentimentale, la prevenzione e il contrasto non solo delle violenze legate al genere e all’orientamento sessuale, ma anche di ogni forma di discriminazione e sopraffazione.
… riteniamo che smantellare stereotipi sia fondamentale per prevenire comportamenti violenti e discriminatori e che i percorsi di educazione alle differenze ‒ non diretti alla costruzione della sessualità ma di una pacifica convivenza di tutte le diversità ‒ abbiano la straordinaria possibilità di trasformare i rapporti tra i generi in termini di giustizia, pluralità e inclusione.
… non accettiamo che ci siano ancora differenze salariali e disparità di carriere tra uomini e donne, che le ragazze abbiano meno opportunità di lavoro, stipendi più bassi e ruoli di minore importanza.
… non vogliamo più essere acrobate, funambole o equilibriste, sempre all’eterna ricerca di una possibile – o impossibile – conciliazione tra i tempi di vita, di lavoro e di cura. Cura che, con la destrutturazione dello stato sociale e il permanere di ruoli tradizionali all’interno delle famiglie, continua a ricadere sempre più pesantemente sulle spalle delle donne.
… sappiamo che non potrà mai esserci una vera parità professionale fin tanto che in un colloqui di assunzione un datore di lavoro potrà permettersi di fare domande relative alla vita privata delle candidate, alle loro inclinazioni verso il matrimonio e la maternità.
… non possiamo più accettare che la maternità possa coincidere con la perdita del posto di lavoro o con un demansionamento. Ci rifiutiamo di essere ricacciate tra le mura domestiche con “redditi di maternità” che mirano ad escluderci progressivamente dal mono del lavoro.
L’8 marzo saremo in piazza per mettere in disordine quell’ordine “naturale” che ci vorrebbero imporre e che noi, con determinazione e con il sorriso, rifiutiamo.
Ritrovo a barriera D’Azeglio, in piazzale Santa Croce, a Parma, alle ore 18.