di Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti di Parma

Si accentua l’azione revanscista revisionista sul piano culturale e storiografico diretta a riconsiderare il fascismo screditando la Resistenza antifascista e la parte più avversa e combattiva rispetto ad esso come quella dei partigiani comunisti jugoslavi. Viene attaccata in particolare la figura di Tito artefice della Resistenza jugoslava che con enormi sacrifici ha liberato la Jugoslavia dalla feroce occupazione nazifascista durata dal 1941 al 1945. A Parma fascisti e leghisti continuano a chiedere la cancellazione dalla toponomastica cittadina della via intitolata a Tito dal Comune quarant’anni fa. L’ANPPIA (Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti fondata a Roma nel ’45 da Pertini, Terracini e altri perseguitati) a Parma in questi giorni ha stampato e distribuito in via Tito il flayer che qui riproduciamo.
Fascisti, leghisti e destre reazionarie e anticomuniste, non sufficientemente soddisfatti dell’intitolazione a Parma di una via della città col nome “martiri delle foibe” (e nonostante il nome sia fuori legge poiché nemmeno la legge 92/2004 parla mai di “martiri delle foibe”) e di un parco col nome “Norma Cossetto” (e nonostante l’assenza di chiarezza sulle circostanze della fine della giovane istriana), vorrebbero fosse eliminata l’intitolazione della via di Parma a Tito fatta dal Comune nel 1984 col Sindaco socialista Lauro Grossi. E’ una richiesta grave e assolutamente inaccettabile, espressione di quel “revisionismo storico”, anzi “rovescismo storico”, mirante a sminuire il valore della Resistenza partigiana antifascista, oscurare le responsabilità e i crimini fascisti e nazisti, e riconsiderare in qualche modo il fascismo.
Vittime delle foibe nel settembre-ottobre ’43 e nel maggio ’45 sono state alcune migliaia di italiani (alcune migliaia comprendendo dispersi, fucilati, morti in campi di prigionia jugoslavi, ecc.) in gran parte militari, capi fascisti, dirigenti e funzionari dell’amministrazione italiana occupante la Jugoslavia, collaborazionisti. Circa ottocento, in buona parte appartenenti alle forze armate dell’Italia fascista, sono le vittime riconosciute tali ufficialmente con onorificenze e medaglie dello Stato italiano conferite dal 2005 ad oggi il giorno 10 febbraio, ricorrenza da vent’anni solennità civile nazionale celebrata esclusivamente per loro.
Violenza di proporzioni di gran lunga superiori, sistematica e pianificata, e precedente, è stata quella del fascismo, a cominciare dal 1920, causa della morte di centinaia di migliaia di jugoslavi innocenti. Azioni delle squadracce contro centri culturali, sedi sindacali, cooperative agricole, giornali operai, politici e cittadini di “razza slava”; poi, nel ventennio, la chiusura delle scuole slovene e croate, il cambiamento della lingua e dei nomi, l’italianizzazione forzata; infine, nell’aprile del ’41, l’aggressione militare, l’invasione della Jugoslavia da parte dell’esercito del re e di Mussolini, pochi giorni dopo quella da parte della Germania nazista. L’Italia si annesse direttamente alcuni territori (come Lubiana e parte della Slovenia), altri tenne sotto controllo, in condizioni di occupazione particolarmente dure e crudeli non meno di quelle naziste. Distruzione di interi villaggi sloveni e croati, dati alla fiamme, massacro di decine di migliaia di civili, campi di concentramento. Deportazioni e incarcerazioni di civili jugoslavi, come le centinaia, in particolare sloveni, nel ’42 e nel ’43 a Parma in San Francesco, di cui dodici in carcere morirono. Oltre settecento sono stati i criminali di guerra italiani in Jugoslavia, secondo la Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite, nessuno dei quali è stato mai processato, condannato, consegnato alle autorità jugoslave che ne fecero richiesta.

Di qui la rivolta contro l’Italia fascista, lo sviluppo impetuoso del movimento partigiano delle formazioni repubblicane e comuniste guidate da Tito, la grande lotta antifascista e antinazista nei Balcani. Enorme è stato il tributo jugoslavo alla guerra contro il nazifascismo: su una popolazione di 18 milioni di abitanti dell’intero Paese, furono al comando di Tito 300.000 combattenti alla fine del ’43 e 800.000 al momento finale della liberazione, 1.700.000 furono i morti in totale, sul campo 350.000 i partigiani morti e 400.000 i feriti e dispersi. Da 400.000 a 800.000, ovvero da 34 a 60 divisioni, furono i militari tedeschi e italiani tenuti impegnati nella lotta, con rilevanti perdite inflitte ai nazifascisti. Una lotta partigiana su vasta scala, che paralizzò l’avversario e passò progressivamente all’offensiva, un’autentica guerra, condotta da quello che divenne un vero e proprio esercito popolare e che fece di Tito più di un capo partigiano, un belligerante vero e proprio, riconosciuto e considerato a livello internazionale, non ultimi gli alleati occidentali angloamericani.
La Resistenza della Jugoslavia è stata di primaria grandezza in Europa e da quella esperienza la Jugoslavia è uscita come il paese più provato e al tempo stesso più trasformato. La Resistenza jugoslava ancor più di altre è stata più di una guerriglia per la liberazione del proprio territorio, è stata empito universale di una nuova società, ansia di superamento delle barriere nazionali, anelito di pace, libertà e giustizia sociale, da parte di tanti uomini e tante donne del secolo scorso. Ai partigiani jugoslavi si unirono, l’indomani dell’8 settembre ’43, quarantamila italiani già dell’esercito oppressore, la metà dei quali diedero la vita in quell’epica lotta nei Balcani. Essi, col loro sacrificio, hanno riscattato l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata. A questi italiani devono andare il ricordo e la riconoscenza della Repubblica democratica nata dalla Resistenza.
