di Cristina Quintavalla
“Ogni giorno, instancabilmente, miliardi di donne puliscono il mondo. Senza il loro lavoro milioni di dipendenti e agenti del capitale, dello stato, dell’esercito, delle istituzioni culturali, artistiche, scientifiche non potrebbero occupare i loro uffici, mangiare alle loro mense, tenere le loro riunioni…” (F. Vergès, 2020), tornare nelle loro case linde, far accudire i loro figli e gli anziani.
Sono le presenze invisibili che immagini dietro le vetrate di uffici illuminati, quando ormai è buio e supponi che i loro figli saranno a casa di qualcuno, o soli e incustoditi, forse senza cibo, in attesa di un ritorno. Se non fossero lì, in una casa misera, in una scuola che spesso ancora li discrimina come incapaci, sarebbero in una miniera o in un laboratorio clandestino a tessere abiti per il fast-fashion. O sono quelli che ritornano, magari in una stanza condivisa con altri, quando ormai è notte, con un treno dove hanno caricato le loro bici, magari comprate indebitandosi, per portare il cibo pronto alle case altrui.
Maledizioni che sembrano naturali. L’esito di un destino cinico e baro che fa sì che la povera gente resti attaccata “allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere, mentre seminava principi di qua e duchesse di là”. C’è chi cade su uno scoglio e chi in un castello. Chi pulisce e chi è ripulito, chi cura e chi è curato, chi è servo e schiavo e chi è padrone e possidente.
La naturalizzazione dell’ingiustizia, nelle diverse forme dell’oppressione razziale, di classe, sessuale, è il retaggio di un passato coloniale che aveva istituito formazioni sociali e relazioni di dominio, che permangono, anche se la colonizzazione come periodo storico e come regime è finita.
Peter Ekeh distingue opportunamente la colonizzazione, intesa come evento, collocabile in un dato (lungo) periodo storico, dal colonialismo, inteso come processo/movimento la cui perpetuazione riproduce classificazioni sociali, rapporti di dominazione, emarginazione ed esclusione.
A tutt’oggi la sopravvivenza del capitalismo si regge su queste classificazioni e gerarchie, che gli consentono di trasformare miliardi di esseri umani in vite precarie, da prendere, usare e poi buttare, di giustificare la divisione nord/sud del mondo, la divisione internazionale del lavoro, i rapporti iniqui e violenti tra le classi sociali.
Il pensiero decoloniale è un movimento di pensiero, sviluppatosi in ambito latino-americano, che affronta il problema della relazione tra potere, modernità e capitalismo, a partire dai retaggi lasciati dalla conquista e dalla sottomissione dei popoli di interi continenti da parte dell’occidente, sui conquistati e sui conquistatori. I/Le suoi/e teorici/che mettono in discussione la colonialità dell’essere e quella del pensiero, denunciando la “violenza epistemica”, che è contenuta in molti presupposti, teorie, concezioni propri della cultura bianca occidentale.
Il femminismo decoloniale muove i suoi passi dalle periferie del mondo. Qui un protagonismo femminile, tanto sofferto quanto determinato, mette in campo una teoria capace di rovesciare i dispositivi di potere che rendono inadeguata, perdente, rifiutata oltre la metà del genere umano, di decolonizzare i paradigmi dell’oppressione, di sottoporre a critica lo stesso femminismo bianco borghese, funzionale al capitalismo razzializzante, escludente, marginalizzante, ed una pratica di lotta, che si alimenta di una cultura di comunità, solidale e dignitosa. Attraverso il ricorso ad un metodo critico, esperienziale, fondato sul recupero di specifiche narrazioni e prospettive, sui corpi incarnati, tracciati dalle condizioni di vita, vengono problematizzati i dispositivi di potere, e indicate come vie di liberazione, la capacità e al contempo la necessità di andare oltre i confini, i limiti, le condizioni, i ruoli disegnati da altri per le nostre vite
“… esternare la rabbia, trasformarla in azione, al servizio della nostra visione e del nostro futuro, è un atto di chiarimento che ci libera e ci dà forza…..” (Audre Lorde).
Questo è l’interesse che muove il corso della Libera Università del Sapere Critico Decolonialità e femminismo, che prenderà il via a partire dal 12 febbraio.
Per ogni info sul corso consulta il link della LUSC oppure scrivi a lusc.csm@gmail.com