Decolonialità e femminismo. A febbraio inizia un nuovo corso alla LUSC

di Cristina Quintavalla

David Alfaro Siqueiros, La marcia dell’umanità (particolare).

“Ogni giorno, instancabilmente, miliardi di donne puliscono il mondo. Senza il loro lavoro milioni di dipendenti e agenti del capitale, dello stato, dell’esercito, delle istituzioni culturali, artistiche, scientifiche non potrebbero occupare i loro uffici, mangiare alle loro mense, tenere le loro riunioni…” (F. Vergès, 2020), tornare nelle loro case linde, far accudire i loro figli e gli anziani.

Sono le presenze invisibili che immagini dietro le vetrate di uffici illuminati, quando ormai è buio e supponi che i loro figli saranno a casa di qualcuno, o soli e incustoditi, forse senza cibo, in attesa di un ritorno. Se non fossero lì, in una casa misera, in una scuola che spesso ancora li discrimina come incapaci, sarebbero in una miniera o in un laboratorio clandestino a tessere abiti per il fast-fashion. O sono quelli che ritornano, magari in una stanza condivisa con altri, quando ormai è notte, con un treno dove hanno caricato le loro bici, magari comprate indebitandosi, per portare il cibo pronto alle case altrui.

Maledizioni che sembrano naturali. L’esito di un destino cinico e baro che fa sì che la povera gente resti attaccata “allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere, mentre seminava principi di qua e duchesse di là”. C’è chi cade su uno scoglio e chi in un castello. Chi pulisce e chi è ripulito, chi cura e chi è curato, chi è servo e schiavo e chi è padrone e possidente.

La naturalizzazione dell’ingiustizia, nelle diverse forme dell’oppressione razziale, di classe, sessuale, è il retaggio di un passato coloniale che aveva istituito formazioni sociali e relazioni di dominio, che permangono, anche se la colonizzazione come periodo storico e come regime è finita.

Peter Ekeh distingue opportunamente la colonizzazione, intesa come evento, collocabile in un dato (lungo) periodo storico, dal colonialismo, inteso come processo/movimento la cui perpetuazione riproduce classificazioni sociali, rapporti di dominazione, emarginazione ed esclusione.

A tutt’oggi la sopravvivenza del capitalismo si regge su queste classificazioni e gerarchie, che gli consentono di trasformare miliardi di esseri umani in vite precarie, da prendere, usare e poi buttare, di giustificare la divisione nord/sud del mondo, la divisione internazionale del lavoro, i rapporti iniqui e violenti tra le classi sociali.

Il pensiero decoloniale è un movimento di pensiero, sviluppatosi in ambito latino-americano, che affronta il problema della relazione tra potere, modernità e capitalismo, a partire dai retaggi lasciati dalla conquista e dalla sottomissione dei popoli di interi continenti da parte dell’occidente, sui conquistati e sui conquistatori. I/Le suoi/e teorici/che mettono in discussione la colonialità dell’essere e quella del pensiero, denunciando la “violenza epistemica”, che è contenuta in molti presupposti, teorie, concezioni propri della cultura bianca occidentale.

Il femminismo decoloniale muove i suoi passi dalle periferie del mondo. Qui un protagonismo femminile, tanto sofferto quanto determinato, mette in campo una teoria capace di rovesciare i dispositivi di potere che rendono inadeguata, perdente, rifiutata oltre la metà del genere umano, di decolonizzare i paradigmi dell’oppressione, di sottoporre a critica lo stesso femminismo bianco borghese, funzionale al capitalismo razzializzante, escludente, marginalizzante, ed una pratica di lotta, che si alimenta di una cultura di comunità, solidale e dignitosa. Attraverso il ricorso ad un metodo critico, esperienziale, fondato sul recupero di specifiche narrazioni e prospettive, sui corpi incarnati, tracciati dalle condizioni di vita, vengono problematizzati i dispositivi di potere, e indicate come vie di liberazione, la capacità e al contempo la necessità di andare oltre i confini, i limiti, le condizioni, i ruoli disegnati da altri per le nostre vite

“… esternare la rabbia, trasformarla in azione, al servizio della nostra visione e del nostro futuro, è un atto di chiarimento che ci libera e ci dà forza…..” (Audre Lorde).

Questo è l’interesse che muove il corso della Libera Università del Sapere Critico Decolonialità e femminismo, che prenderà il via a partire dal 12 febbraio.

 

Per ogni info sul corso consulta il link della LUSC oppure scrivi a lusc.csm@gmail.com