Karl Marx: un maldestro profeta o un pensatore ancora attuale?

di Andrea Palazzino

Il 15 gennaio prossimo prenderà avvio un nuovo corso della LUSC (la Libera Università del Sapere Critico) dedicato a Karl Marx. Curato da Francesco Antuofermo, Matteo Battilani, William Gambetta e Andrea Palazzino, in quattro lezioni, il corso è una introduzione al pensiero marxiano. In vista di questa iniziativa “Voladora” pubblica un primo intervento di Palazzino. Per info sul corso si può consultare il programma LUSC a questo link [ndr].

Una delle maggiori critiche che è stata fatta al pensiero di Karl Marx è di essere uno “storicismo” (Karl Popper). Cioè di avere della storia e della società contemporanea una visione deterministica, manichea e messianica. L’accusa è di aver voluto leggere il presente per predire con certezza il futuro. Invece di fare un’analisi scientifica (come diceva di voler fare), avrebbe usato come premesse del discorso i suoi preconcetti, il suo odio di classe verso la borghesia per profetizzare un mondo utopico, parto della sua fantasia e della sua intransigenza morale.

Partendo da queste premesse fallaci, non “falsificabili” (secondo la definizione di Popper del “metodo scientifico”), scrisse come sarebbe dovuto andare il mondo: immaginava il proletariato rivoluzionario che avrebbe liberato tutti gli sfruttati della Terra e creato il Regno della libertà, una società di liberi ed uguali. Così i suoi seguaci, invasati da questa visione dogmatica, fanatica e mossi dal rancore, si sono dimostrati tra i peggior carnefici del Novecento (per qualcuno anche peggio dei nazisti). Perché? Perché volevano un mondo perfetto, lo volevano subito ed erano disposti a sacrificare chiunque che, volontariamente o involontariamente, si frapponeva al loro sogno utopico.

Dietro Pol Pot ci sarebbe Mao, dietro Mao Stalin, Lenin, fino al filosofo di Treviri.

Indubbiamente, è vero che in Marx è sempre presente la speranza nell’avvenire e la critica del presente. Nel suo pensiero è centrale la teorizzazione di una filosofia della storia.

Però il pensiero di Marx è un pensiero decisamente articolato. Egli riteneva che il capitalismo fosse uno stadio necessario della storia umana per creare le condizioni materiali per un passaggio al comunismo, ma non ha mai creduto che quest’idea andasse applicata in modo rigido. Egli negò molte volte un’interpretazione unilaterale della Storia, negando che gli esseri umani erano destinati ovunque a percorrere le tappe dello stesso cammino. In tutta la sua vita di studioso mise costantemente alla prova, alla luce di nuove ricerche e studi, i risultati delle sue analisi, polemizzando con tutti i socialisti utopisti brulicanti all’epoca, evitando di “prescrivere ricette […] per l’osteria dell’avvenire“.

Ma non perdiamo il filo del discorso: la questione è se Marx fu il mandante morale degli orrori perpetrati da chi professava di seguire i dettami del suo pensiero.

È proprio così? È proprio vero che la violenza, il sopruso, la coercizione in questo mondo vengano da una applicazione intransigente e fanatica del pensiero? Se invece il fanatismo fosse l’effetto e non la causa della violenza?

Proprio per spiegare questo, Karl Marx ci può tornare utile. Karl Marx e Frederich Engels ne L’Ideologia tedesca scrissero che: “Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza.” Ne Il Capitale Marx aggiunse che: “L’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini”.

Ma qual è “l’elemento materiale” che determina la vita e di conseguenza l’agire umano?

Per Marx ed Engels: “Secondo la concezione materialistica, il momento determinante della storia, in ultima istanza è la produzione e la riproduzione della vita immediata (…) la riproduzione di mezzi di sussistenza, di generi per l’alimentazione, di oggetti di vestiario, di abitazione e di strumenti necessari per queste cose” (F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata, dello Stato).

Ma la produzione e riproduzione della vita immediata non è neutra. Storicamente si basa sull’espropriazione, la mercificazione, l’alienazione della prassi umana, in una parola sullo “sfruttamento” dell’essere umano e della natura. La violenza di questo mondo non sarebbe quindi frutto delle nostre menti, o meglio le nostre menti producono pensieri e azioni cruente, a volte crudeli, perché i rapporti sociali, il contesto storico in cui noi viviamo le rendono pensabili, agibili, giustificabili.

Si comincia così a capire che le cattive idee sono instillate nella mente umana non dal demonio o da un “cattivo” maestro, ma da un modo di produzione parassitario e prevaricatore in cui una classe sociale impone il proprio dominio su un’altra. Questa classe dominante usa tutti i mezzi, compreso la violenza e la coercizione (economica, politica, ideologica), per garantirsi la propria riproduzione, la propria sopravvivenza come classe sociale.

Karl Marx studiò molto bene il modo d’agire del sistema capitalistico, da quando si impose come modo di produzione che caratterizza la nostra modernità. Molto dettagliate, lucide e precise sono le pagine del Cap. 24 del primo libro de Il Capitale sull’accumulazione originaria, che lo portano a scrivere che: “Nella storia reale la parte importante è rappresentata, come noto, della conquista, dal soggiogamento, dell’assassinio e della rapina, in breve della violenza“. Non poté vedere lo sviluppo dell’Imperialismo, ma studiando la politica coloniale inglese riguardo alle “Indie Orientali” Marx scrisse che “Tutti sa[peva]no che lì la soppressione della proprietà comune del suolo non [era] stata che un atto di vandalismo degli inglesi, non [aveva] spinto il popolo indigeno avanti, ma indietro” (K. Marx, Progetti preliminari, III).

Nei suoi studi, Marx arrivò presto alla conclusione che “È il lato cattivo a produrre il movimento che fa la storia, determinando la lotta” (K. Marx, Miseria della filosofia).

Questo andrebbe ricordato al mondo liberale quando sostiene che Il capitalismo tende naturalmente all’equilibrio fondato sulla libera concorrenza e il libero scambio. Esso quindi sarebbe naturalmente pacifico e tendente alla razionalizzazione della vita sociale ed economica.

Fu invece il lato cattivo che fece nascere e sviluppare il capitalismo come lo conosciamo: espropriando i contadini della loro terra e dei mezzi di produzione; costringendo la popolazione depauperata a vendere la propria forza-lavoro; colonizzando e sfruttando i popoli extraeuropei in nome di una civiltà superiore (non certo moralmente); imponendo con la forza la vendita delle proprie merci a danno di altri; scatenando guerre terribili e fratricide, di cui la Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono le manifestazioni più rappresentative.

Da qui possiamo trarre due conclusioni in rapporto all’attualità del pensiero di Marx.

La prima è che il suo non fu un percorso teorico dogmatico. Possiamo invece considerarlo un “cantiere aperto” dove costantemente e fino alla fine rimise in discussione le sue analisi e le sue teorie, proponendoci un metodo di pensiero vivido e attuale.

La seconda è che c’è da recuperare proprio quello spirito che è stato tanto criticato dai liberali, ovvero: l’unione della sua capacità di analisi lucida, meticolosa, razionale con la sua indignazione morale di fronte alle ingiustizie perpetrate dal capitalismo imperante.

Per Marx, ne consegue che per le classi subalterne solo la presa di coscienza della loro condizione di nuovi schiavi avrebbe dato inizio alla lotta per una radicale trasformazione del mondo. Una lotta organizzata che, con spirito antiautoritario, come lui stesso volle affermare negli Statuti dell’Associazione internazionale dei lavoratori del 1864, non doveva “tendere a costituire nuovi privilegi e monopoli di classe, ma a stabilire diritti e doveri uguali per tutti“.

É per questo che vale la pena riscoprirlo e usarlo come “cassetta degli attrezzi” utile a interpretare e agire anche oggi, in una prospettiva di liberazione del genere umano.