da Casa delle donne – Parma
In queste ultime due settimane, complice anche la cadenza del 25 novembre, nella nostra città sono state pubblicate – non certo dal quotidiano locale – tre interessanti riflessioni maschili sulla violenza e sulla mascolinità. Sono tre riflessioni diverse tra loro, ma che ci dicono che qualcosa si sta muovendo e portano alla luce che c’è, da parte di alcuni uomini, una nuova urgenza di “ribaltare un paradigma di mascolinità che è da sempre funzionale al patriarcato e lo alimenta ogni giorno”, come ha scritto Christian Donelli.
È il racconto faticoso e solitario di chi inizia a fare i conti con un modello di virilità obsoleta per spogliarsi della maschera di “uomo vero” per essere semplicemente uomo, come scrive William Gambetta, che dà testimonianza di chi prova “a sperimentare modi differenti di essere un compagno, un padre, un figlio, un amico” e lo fa seguendo un percorso che è personale perché ancora “manca la dimensione collettiva, il confronto, lo scambio, l’aiuto reciproco. Una dimensione collettiva che è la premessa necessaria affinché tale liberazione assuma valore politico. Forse anche in questo dovremmo imparare dal femminismo”.
I loro sono racconti faticosi ma anche coraggiosi, perché mettono in discussione il privilegio maschile e perché guardano al futuro per porre un’alternativa di liberazione maschile che sia “politica” e non solo personale o individuale. Sono uomini, questi, che stanno iniziando ad assumersi la responsabilità collettiva della violenza, a condannarla e a spostare l’asse della vergogna.
Anche l’assessore Marco Bosi, in relazione ai recenti fatti di cronaca che coinvolgono un politico cittadino, ha iniziato a farlo, condannando la cultura da spogliatoio in cui molti uomini hanno imparato e imparano a parlare delle donne come se fossero pezzi di macelleria e chi non ride al massimo tace; condannando la cultura della forza che educa a guardare le donne un gradino sotto gli uomini. Il suo post su facebook di qualche giorno fa punta dritto sul vero problema che non è mai dato dai singoli uomini ma dalla cultura della mascolinità tossica e pervasiva che ci circonda, che produce violenza verso le donne e non consente libertà nemmeno agli uomini.
Insomma si sta costruendo un’altra narrazione e a noi serve questa altra narrazione che vada nella direzione opposta di quel “colpevole, colpevole, colpevole” riferito a Federico Pesci (condannato a 7 anni di carcere per il noto abuso sessuale di cui è stato autore nel 2018) dal cronista della “Gazzetta di Parma” Roberto Longoni, che non fa altro che replicare lo schema fisso del puntare il dito contro il mostro, per poi lavarsi le mani su tutto il resto.
La sensazione è di essere di fronte ad un cambiamento che è irrevocabile e inesorabile, anche perché alcuni fatti di questo ultimo anno hanno, loro malgrado, segnato una spaccatura netta. Un prima e un dopo. La morte di Giulia Cecchettin e il processo Pelicot sono eventi tragici, ma a loro modo periodizzanti, anche per la nostra città.
Certo, ci sono ancora grandi silenzi da squarciare, ma se a farlo saranno anche gli uomini, la nostra attesa non sarà stata inutile.