La nuova sinistra tra conflitti sociali e presenze elettorali. Il libro su Democrazia proletaria di William Gambetta

di Matteo Battilani

V congresso di Avanguardia operaia (Milano, 27 marzo 1977). Fondo fotografico del Quotidiano dei lavoratori, Archivio Marco Pezzi, Bologna.

Venerdì 22 marzo, alle ore 18, presso la Libreria Feltrinelli di via Farini 17, a Parma, verrà presentato il libro Democrazia Proletaria, la nuova sinistra tra piazze e palazzi (1968-1977) di William Gambetta, ricercatore di storia contemporanea, in una nuova edizione appena uscita per Derive Approdi. L’incontro è promosso dal Centro Studi Movimenti. A discutere con l’autore del percorso travagliato che portò alla costituzione del partito di Democrazia Proletaria nel 1978 saranno Matteo Battilani, Andrea Cossu ed Erika Trombi. In vista della presentazione pubblichiamo una recensione di Battilani [ndr].

“È come se su quell’area dell’estremismo più o meno organizzato fosse calata una damnatio memoriae, una condanna fatta propria anche dalla storiografia, in special modo da quella accademica, per cui di quella parte dei movimenti sembra non se ne possa più parlare se non per segnalarne il furore ideologico, l’incorreggibile settarismo, la deriva violenta o le inevitabili crisi”. È con queste parole che William Gambetta segnala, e si propone di superare, i limiti di una storiografia che ha a lungo ignorato o affrontato troppo superficialmente la storia della sinistra antagonista durante il “lungo Sessantotto”. L’autore riporta così alla luce l’estrema attualità di una storia spesso trascurata.

Il libro di Gambetta si rivela fondamentale, in primo luogo, in ambito storiografico: grazie alle lucide riflessioni sulla relazione tra “piazze e palazzi”, i rapporti tra movimenti e istituzioni sono inquadrati rendendo in maniera fedele la prospettiva delle piazze, con uno sguardo meno “esterno” rispetto a molti studi coevi. In secondo luogo, è particolarmente interessante, perché offre spunti critici sui problemi aperti e le soluzioni innovative che furono proposte dai gruppi della nuova sinistra in quella stagione di lotte.

Festa della lista elettorale di Democrazia proletaria, 1976. Fondo fotografico del Quotidiano dei lavoratori, Archivio Marco Pezzi, Bologna.

Lo sguardo ristretto sulla sola fase “costituente” di Democrazia proletaria, prima cartello elettorale del 1975 e 1976, e poi organizzazione politica dal 1978, riflette l’interesse per il dibattito intorno a questi “problemi” piuttosto che sulla sua parabola del decennio successivo. La visione del “partito” e del ruolo che esso dovrebbe avere in rapporto ai movimenti è la questione fondamentale su cui si scontrano “partitisti” e “movimentisti” alle origini demoproletarie. Si tratta di un dibattito che caratterizza tutta la gestazione di Democrazia Proletaria fino alla sua costituzione ufficiale. Il cartello di DP, che si presenta per la prima volta alle urne per il rinnovo del Parlamento nel 1976, è figlio di una sintesi originale tra la tradizione rivoluzionaria novecentesca e le nuove pulsioni della stagione dei movimenti. È proprio l’incontro delle diverse culture politiche dei gruppi della nuova sinistra, che spaziano dal marxismo leninismo al dissenso cattolico post-conciliare, che permettono a questo soggetto innovativo, nonostante l’estrema polarizzazione del voto e la concorrenza dei Radicali, di eleggere nel giugno una piccola “pattuglia” di sei parlamentari.

Manifesto di Democrazia proletaria per le elezioni del Parlamento europeo, 1979. Archivio del Centro studi movimenti di Parma.

La neonata DP è un soggetto originale, ma al contempo eterogeneo e instabile, che attraverserà una crisi profonda appena dopo la sua costituzione come partito nel ’78. Con il fallimento elettorale di Nuova sinistra unita nel ’79 e l’apertura di una nuova fase di riflusso politico e sociale il partito è subito in ginocchio, schiacciato tra la repressione e i problemi finanziari. Lo sguardo attento di Gambetta per tutti gli appuntamenti elettorali, anche amministrativi e referendari, che vedono coinvolto il nuovo esperimento demoproletario, non è dettato, come per gran parte della storiografia contemporanea, dall’interpretazione della politica esclusivamente attraverso la rappresentanza istituzionale. Al contrario, l’attenzione scrupolosa di Gambetta per i vari momenti elettorali mette in evidenza la complessa relazione tra le istituzioni e i movimenti, evidenziando la difficoltà della sinistra rivoluzionaria nel far comunicare questi due mondi.

Democrazia proletaria vede la luce al tramonto. Il racconto di Gambetta si interrompe proprio sul nascere degli anni Ottanta, il decennio nero del “ritorno al privato” e del riflusso dei movimenti. È questo il momento in cui Democrazia proletaria “diventa partito” dopo una lunga incubazione. La storia di DP non finisce certo nel 1980: il decennio successivo vede il partito tra gli attori protagonisti di un antagonismo sociale sempre più in crisi, fino al periodo tra il 1988 e il 1991, quando le strade del partito si divideranno tra la componente che seguirà Mario Capanna nei neocostituiti Verdi Arcobaleno e il resto dei militanti che si diluiranno in Rifondazione comunista. Tuttavia, Al netto dell’epilogo, Democrazia proletaria rappresenta un caso di studio interessante e ricco di spunti, sia per comprendere meglio uno snodo storico particolarmente denso e spesso affrontato solo superficialmente, sia per riflettere sul presente da parte di tutte quelle realtà che si interrogano ancora oggi su come organizzare l’assalto al cielo.