di Andrea Ghezzi
Col “giorno del ricordo” del 10 febbraio, istituito nel 2004, in Italia assistiamo a un racconto parziale e mistificatorio dei fatti accaduti nelle zone del confine italiano nordorientale. Anzi c’è, innanzitutto, l’occultamento: nulla si dice sull’azione delle squadracce fasciste che cominciò poco dopo la fine della prima guerra mondiale proprio in quelle terre culminando, nei confronti degli sloveni, nella distruzione del Narodni dom l’edificio di Trieste sede delle organizzazioni degli sloveni, nulla si dice dell’opera di italianizzazione forzata nelle zone passate al Regno d’Italia popolate anche da sloveni e croati fatta dal fascismo durante il ventennio, il silenzio si mantiene sulla guerra d’aggressione intrapresa dall’Italia fascista nel ’41 e sulla feroce occupazione di suoi vasti territori.
Secondo la Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite oltre 700 (settecento) sono i criminali di guerra italiani in Jugoslavia, nessuno dei quali è stato mai processato, condannato, consegnato alle autorità jugoslave. Per esempio Lubiana nel febbraio ’42 venne tutta circondata con reticolati di filo spinato per la lunghezza di 30 km, città e provincia di Lubiana, slovene, con una popolazione di 340.000 abitanti, ebbero da allora all’8 settembre ’43, nei ventinove mesi della prima occupazione, l’italiana, oltre 5.000 civili fucilati, quasi 1.000 partigiani fucilati, decine di migliaia di deportati dei quali 7.000 morirono, deportati in campi di concentramento (Arbe, Gonars) o comunque incarcerati, fra questi ultimi alcune centinaia anche a Parma in San Francesco. Fra civili e combattenti un milione e oltre, su circa diciassette milioni di abitanti, sono stati i morti della Jugoslavia causati dalla guerra nazifascista. Segue quindi la falsificazione e la menzogna con cui si vogliono rovesciare le parti e riscrivere la storia, cioè far passare gli jugoslavi resistenti come carnefici e gli italiani bruciatetti come vittime. Le vittime italiane delle foibe del ’43 e ’45 sarebbero italiani puramente in quanto italiani e nei confronti degli italiani ci sarebbe poi stata da parte jugoslava un’opera di pulizia etnica. Si tratta di propaganda, di spregiudicato uso politico della storia, al fine di screditare la Resistenza antifascista, riconsiderare il fascismo, criminalizzare i comunisti e indicare nel comunismo il peggior male della storia eliminando qualunque idea di trasformazione del mondo in senso antimperialista e anticapitalista.
Secondo diversi storici, compresi storici non vicini ai partigiani jugoslavi comunisti, le vittime delle foibe del ’43 e ’45, per mano jugoslava, sono state in totale alcune migliaia, circa 5.000 (cinquemila). E questo numero comunque considerando le vittime in senso lato, cioè includendo in esso i fucilati, i dispersi, i morti nei campi di prigionia jugoslavi. Le vittime delle foibe riconosciute ufficialmente dallo Stato italiano con onorificenze e medaglie consegnate a loro congiunti il 10 febbraio dal 2005, in base alla legge 92 del 2004 appositamente fatta, sono circa 400 (quattrocento), in gran parte personale appartenente alle forze armate dell’Italia fascista occupante, che nel periodo della RSI nelle zone dell’alto litorale adriatico erano sotto il diretto comando tedesco nazista.
Ma il “giorno del ricordo” del 10 febbraio vuole ricordare anche l’esodo in Italia di 250.000, 300.000 istriani, fiumani, dalmati. E’ un processo avvenuto nel corso di dieci e oltre anni, in particolare come conseguenza dei trattati di pace di Parigi firmati il 10 febbraio ’47 che assegnarono quelle terre alla Jugoslavia. Trattati per cui l’Italia venne considerata dai vincitori quale Paese sconfitto ex nemico, per la guerra intrapresa dal fascismo, pur in presenza della Resistenza antifascista dopo. Ma non vi fu alcuna pulizia etnica da parte delle nuove autorità jugoslave, alcuna disposizione di espulsione degli italiani (diversamente per i tedeschi), semmai repressione politica nei confronti degli oppositori al nuovo corso politico che si andava delineando con la creazione della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia. Tant’è che una piccola minoranza italiana rimase in quelle terre e che le autorità jugoslave furono più dure con altri slavi stessi, nazifascisti ovvero loro alleati (ustascia croati, cetnici serbi, domobranci sloveni). Con la fine della seconda guerra mondiale e i nuovi confini degli Stati in Europa vi furono diversi altri fenomeni di migrazione di popoli, anche ben più corposi. Non meno di 10 milioni di tedeschi abbandonarono paesi europei in cui erano presenti da tempo, in maggior parte tedeschi dei territori orientali della Germania assegnati alla Polonia e all’Unione Sovietica, per andare nella nuova Germania nelle quattro zone in cui venne divisa. Ma la Germania non ha mai istituito un apposito giorno del ricordo delle vittime e dei profughi tedeschi.
In Italia di recente sono ulteriormente aumentati i finanziamenti pubblici alle associazioni degli esuli, si è introdotta la possibilità per i sindaci di ciascun Comune di presentare domande di riconoscimento di “infoibato” in caso di mancanza di parenti o di interesse da parte degli stessi, si è deciso di fare a Roma un museo nazionale delle foibe e dell’esodo (del costo di 8 milioni di euro), si è allestito un apposito treno-museo, “il treno del ricordo”, che farà sosta in alcune stazioni fra cui anche quella di Parma il 19 febbraio.
Di tutto questo si è parlato a Parma sabato 10 febbraio all’iniziativa antifascista “Foibe e fascismo” giunta alla sua diciannovesima edizione, che si è svolta presso il Circolo Aquila Longhi. Relazioni di Roberto Spocci, presidente dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti, Marco Pondrelli, storico e direttore dell’Associazione Marx 21, Andrea Martocchia, segretario del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia. E’ possibile ascoltare i tre interventi in rete, con youtube.