La Coop sei tu?

di Cristina Quintavalla

Sono giovani, forti, per certi aspetti  privilegiati rispetto a migliaia di immigrati come loro: un lavoro l’avevano trovato, ai magazzini Kamila di Parma, grande centro logistico che rifornisce i supermercati Coop, quelli che assicurano che “La coop sei tu”. Ma l’hanno perso, 31 di loro, raggiunti da una raffica di lettere di licenziamento, pesanti come proiettili dritti al cuore. E se dentro non possono più stare, ora stanno lì fuori, davanti ai cancelli in presidio.

Attorno ad un vecchio barile in cui hanno messo a bruciare della legna, raccontano quello che è loro accaduto. Storie di brutale sfruttamento, di quello che riesce difficile persino immaginare: turni massacranti di 10, 12, 14 ore, ben oltre l’orario di lavoro pattuito. Ore eccedenti, spesso non retribuite. Assunzioni precarie, a tempo determinato, perlomeno fino a quando dimostri di non voler mettere in discussione il grado di sfruttamento subito: niente ferie, né malattia, né previdenza. Inquadramento a livelli inferiori alle mansioni effettivamente svolte con retribuzione inferiore. Chiamata al lavoro attraverso messaggio sul cellulare, in qualsiasi momento, senza rispetto per il riposo, soprattutto senza una programmazione degli orari di lavoro che consentano di organizzarsi una vita extra-lavorativa.

Sembra una discesa agli inferi. Un altro mondo invisibile e parallelo a quello esibito e luccicante dei grandi stores Coop, isole felici in cui mangi, consumi e spendi. Alcuni di loro, terminato un turno di lavoro, se ne tornano a casa in bicicletta dal quartiere Spip, posto fuori dalla cintura urbana, e dopo poche ore fanno ritorno allo stabilimento sempre in bicicletta, per un altro turno di lavoro. Non c’è trasporto pubblico per i lavoratori della logistica. Per il resto affitti esosi, sugli 800 euro al mese, per alcuni, residenza in città limitrofe per altri.

Non sai che dire quando Karim abbassa la testa e ti confida: “Io ho famiglia, non posso più mandare a casa qualcosa…”. La trafila è sempre la stessa: una sorta di tratta di manodopera povera, ricattata dalla miseria e dalla necessità di mandare a casa qualcosa.

Per la cooperativa MD, che fornisce manodopera per lo stoccaggio e la movimentazione delle merci, tutte destinate alla Coop, alla Kamila lavorano 180 dipendenti, casualmente tutti neri o comunque stranieri, da non molto tempo in Italia.

Ora MD, che ne ha licenziati 31 in un colpo solo, altrettanto casualmente tutti iscritti al sindacato di base ADL Cobas, si giustifica, sostenendo che i “continui ricatti di pochi stanno mettendo a rischio la sostenibilità dell’appalto e quindi della relativa occupazione”.

A cosa allude? Quali sono i continui ricatti? La pretesa di condizioni di lavoro migliori, di diritti e tutele?

E allora per non sottostare a “continui ricatti”, ciò che un tempo avremmo chiamato “stato di agitazione in difesa dei diritti del lavoro”, li licenzia? “I continui ricatti” sono lo sciopero dei lavoratori effettuato il 12 gennaio? Ma lo sciopero non è un diritto tutelato dalla Costituzione?

La Coop Alleanza 3.0, le cui merci sono movimentate da questi “figli di un dio minore” non ha nulla da dire?

Non appartiene alla lontana origine e storia della cooperazione la difesa delle classi più povere, la possibilità di dare lavoro a chi per molte ragioni, anche politiche, non riusciva a trovarlo, la determinazione a spuntare le unghie ad un sistema di produzione, di distribuzione e di organizzazione del lavoro avido, esoso e feroce?

“Volevate braccia, avete trovato uomini!”.

Il sistema Coop non dovrebbe battersi per questo?