di William Gambetta
Dieci aspiranti alla carica di sindaco, ventitre liste elettorali, quasi 700 candidati e candidate alla carica di consigliere comunale: è questo il panorama delle prossime elezioni amministrative a Parma. Senza contare che – per vizi burocratici – non sono state ammesse alle elezioni due candidature, quelle di Roberta Roberti e Michela Canova, con le rispettive liste. Un panorama politico piuttosto confuso, dunque, almeno per quanto riguarda le classiche categorie d’interpretazione del Novecento. Infatti, se alcune forze si possono inquadrare nella dialettica tra centrodestra e centrosinistra, per altre invece è più complicato, connotate da mille sfumature tra i due poli. E alcuni candidati addirittura si presentano come “oltre la destra e la sinistra”.
Una confusione dovuta senz’altro alla consistente presenza di “liste civiche”, addirittura più numerose di quelle “di partito”, o ad alleanze anomale (veramente anomale!), come quella de L’Altra Parma che tiene insieme organizzazioni ideologicamente eterogenee nel nome del “sovranismo democratico”. Anche le liste di partito, poi, pur presentando alcuni noti dirigenti locali, sono state composte attraverso un largo coinvolgimento di cittadini non iscritti.
Queste elezioni comunali, insomma, si mostrano come una competizione particolarmente segnata dalla frammentazione del tessuto sociale e una sempre più debole tenuta dei partiti politici, almeno di quelli principali. Al tempo stesso, però, si segnala anche una straordinaria e inaspettata vitalità nella partecipazione democratica, almeno nella sua forma rappresentativa. In realtà sarebbe da verificare quanto, in ogni lista, i candidati al Consiglio comunale o gli iscritti ai partiti abbiano realmente contato nella definizione di programmi e proposte.
Detto questo, occorre aggiungere che, salvo qualche rara eccezione, le argomentazioni sui progetti di città di gran parte dei candidati a sindaci sono piuttosto misere e schematiche. Al tema sicurezza si risponde “vigilanza”, a quello sull’inquinamento “tutela per l’ambiente”, a quello di nuove infrastrutture “modernizzazione”, ecc. Ciò non vale per tutti i candidati, per fortuna. Ma per lo più programmi e ragionamenti sono finalizzati alla ricerca del consenso elettorale senza esporsi troppo, senza grandi idee, “volando basso”, sottotono. Alla maggior parte degli aspiranti sindaci interessa mostrare la propria capacità nella gestione dell’esistente, l’abilità nell’amministrare rapporti istituzionali subordinati all’economia e al potere neoliberalista. Se si prendono in considerazione alcune questioni fondamentali, come le politiche del welfare, l’emergenza climatica, le nuove povertà, la solidarietà sociale, la riorganizzazione della città per la vita della maggioranza dei suoi abitanti, uomini e donne, giovani e vecchi, con cittadinanza e senza, lavoratori, studenti e disoccupati, si deve registrare che in gran parte dei candidati non vi è nessuna intenzione di segnare una cesura rispetto al passato. Mi trovo dunque perfettamente d’accordo con quanto scritto da Cristina Quintavalla nel suo articolo sulle Elezioni farlocche.
Queste modalità di partecipazione alla politica – costruite soprattutto sulla personalità del candidato sindaco e su una sfacciata capacità di comunicazione – sono tipiche dei partiti pigliatutto. Deideologizzati, poiché totalmente conquistati all’ideologia dominante, e volubili, a seconda delle necessità del momento (e dei sondaggi), molti dei nostri concorrenti per la carica di sindaco hanno queste caratteristiche. Per riferirsi ai loro elettori usano parole come città, cittadini, popolazione, gente, comunità, ma non è mai chiaro a quale parte della città si riferiscano, di quale parte dei cittadini vogliano essere la voce, di quali settori della popolazione vogliano rappresentare le istanze. Perché è chiaro non solo che nella società esistono interessi, aspettative, visioni e necessità differenti tra i diversi settori ma che, spesso, questi sono in antitesi tra loro. Se si costruisce l’aeroporto cargo o uno stadio faraonico si favoriscono alcuni e si penalizzano altri. Se ci si astiene dall’intervenire sul tema del diritto alla casa si accondiscende ai vantaggi di alcuni a dispetto di altri. Se si affronta il disagio giovanile con politiche repressive si soddisfano gli atteggiamenti paternalistici dei più anziani disinteressandosi delle nuove generazioni. Se non si fa nulla per costruire una città che favorisca la liberazione delle donne, di tutte le donne, si acconsente alla tradizione patriarcale. E così via.
I nostri candidati-pigliatutto, invece, si rivolgono all’insieme ma hanno in mente una parte sola. Perché – come ho già avuto modo di scrivere – ciascuno di loro è espressione di settori sociali più o meno definiti della città. Proviamo a pensare solo agli interessi della più importante associazione degli imprenditori. Come per il passato, a Palazzo Soragna, nella sede dell’Unione Parmense degli Industriali, alcune categorie o anche solo alcuni industriali (ad esempio quelli del settore edile) sosterranno un candidato, avranno affidato a lui la rappresentanza dei propri progetti e della propria idea di città, mentre altri (quelli dell’agroindustria o quelli della green economy) su un secondo e un terzo, eppure nessuno dei candidati-pigliatutto rivendicherebbe pubblicamente questo appoggio, perché rischierebbe di perdere consenso in altri settori. In questo caso i diversi candidati sostenuti dall’UPI – sono convinto che ve ne siano più di uno – si possono identificare semplicemente sfogliando le pagine della «Gazzetta di Parma» e quantificando toni e spazi utilizzati per le diverse candidature.
Non sempre però è così facile. Molti candidati, ad esempio, vorrebbero esprimere gli interessi – o comunque assumere la rappresentanza – dei ceti medi. Un mondo vasto ma estremamente eterogeneo, composto da piccoli imprenditori, quadri d’azienda, borghesia delle professioni, artigiani, commercianti, dirigenti e funzionari pubblici, docenti universitari e così via. Un mondo variegato che, in parte, in questi anni di crisi e pandemia, si è andato impoverendo e che, ciò nonostante, è ancora estremamente capace di darsi forme di rappresentanza, di agire politicamente per poter contrattare quote e spazi. Solo in questo quadro si possono spiegare la costituzione di alcune liste spuntate dal nulla o cresciute attorno a qualche navigata volpe.
I settori che invece faticano a percepirsi come corpo sociale – e tanto meno riescono a organizzarsi – sono quelli del lavoro dipendente, subalterno, precario, quando non privo di reddito, i disoccupati. In questa tornata elettorale, mi sembra molto chiaro il grande sforzo che sta facendo Potere al Popolo, insieme a Rifondazione comunista e Comunisti italiani, per dare voce a questa parte della città. Andrea Bui, quarantuno anni, educatore di una cooperativa sociale e ricercatore di storia, ne è il candidato sindaco. In una delle sue prime interviste ha espresso questa volontà in modo molto sintetico: “Vogliamo costruire una lobby per chi non ha una lobby”. Un modo per dire che, al di là del risultato del 12 giugno, il progetto per organizzare le forze e rappresentare le istanze di questo mondo sommerso e schiacciato da quattro decenni di neoliberismo andrà avanti anche dopo le elezioni.
Ma è utile dire che un suo sensibile risultato elettorale, anche in termini numerici, giocherebbe senz’altro a favore della ricostruzione di una sinistra alternativa al centro-sinistra. Peraltro la legge elettorale per le amministrative, con il ballottaggio tra i due candidati che hanno conquistato più voti al primo turno, permette senza indugi di votare in prima istanza la persona che pensiamo possa rappresentarci meglio. Qui, insomma, non vale il trito ricatto del “voto utile” (lo ricordava Igor Micciola in un suo pezzo di qualche settimana fa).
Queste sono le ragioni per le quali a Parma voterò Andrea Bui e Potere al Popolo. Con lui e con molti compagni e compagne che sono in quella lista ho condiviso, e condivido tuttora, valori e battaglie. Andrea, peraltro, è un caro amico, di cui conosco coerenza e serietà. Il mio voto tuttavia non è determinato solo da questo. Ho altri amici cari che si sono candidati in queste elezioni, preparati e seri. Qui non si tratta di una preferenza affettiva ma di una precisa scelta politica. Si tratta di affiancare e sostenere il progetto di una città radicalmente differente rispetto a quella esistente.