da Potere al Popolo Parma
Non si sa ancora di preciso che progetto ci sia attorno al Tardini, ma non è difficile immaginarselo e diversi rilievi mossi dal comitato Tardini Sostenibile colgono nel segno. Innanzitutto, diventa chiaro come la parola partecipazione sia un mantra ripetuto costantemente pur in assenza di un processo di trasparenza, tanto meno di partecipazione. Come se ripetendola improvvisamente si materializzasse.
Così, infuria la polemica ancor prima che il progetto sia chiaramente presentato al pubblico: non parliamo delle immaginette che sono circolate, parliamo di un progetto vero e proprio, che deve essere conosciuto, valutato e possibilmente cambiato da tutta la città. Non solo perché si tratta di una struttura pubblica, di tutti, ma anche per il valore simbolico che ha per la città. Certo, come dimostra la cronaca di questi giorni, il calcio sta affogando nel cinismo (e nella noia) della finanza, ma per fortuna non è ancora solo questo. Rimane uno spettacolo seguito da migliaia di persone, un luogo di socialità. E la socialità va difesa e promossa, mentre la ristrutturazione fin qui trapelata appare un’operazione utile soltanto a chi farà l’investimento.
Di conseguenza, siamo assolutamente contrari ad uno stadio-mall sia per le conseguenze sul piano urbanistico, sia per la funzione che il Tardini ha per chi lo vive. In particolare, è facile supporre che alzerebbe sensibilmente il prezzo dei biglietti anche in curva (il caso Juventus Stadium lo dimostra), cercando di attrarre un target di clienti maggiormente disposti a spendere, in modo da far fruttare il più possibile tutte le attività costruite attorno. È necessario trasformare lo stadio in un centro commerciale per ristrutturarlo? La risposta è no, ovviamente, ma nella realtà dei fatti la ristrutturazione può essere onerosa per le casse pubbliche: il privato che finanzia, quindi, trova tappeti rossi. Ma il privato non finanzia per affetto. Vuole un ritorno economico, il massimo possibile, e lo stadio-mall è il mezzo.
C’è da dire che di tappeti rossi Krause ne ha trovati parecchi, mettendo in scena una relazione tra pubblico e privato che è sempre più la normalità: una logica in cui la città rimane sullo sfondo e in primo piano compaiono bilanci e valori immobiliari. Non solo il calcio sta affogando nella finanza, la politica non è da meno.
D’altra parte, il trasferimento del Tardini in periferia è e rimane una follia tanto quanto. Se siamo contro lo stadio-mall in Cittadella, lo siamo anche se lo si trasferisse a Baganzola o a Moletolo: oltre che per la ragioni espresse sopra, ci troveremmo con conseguenze viabilistiche e di inquinamento ben maggiori, visto che tutti dovrebbero andarci in macchina.
Chiaramente, capiamo i disagi di chi vive in zona stadio e, senza dubbio, sia l’organizzazione dell’ordine pubblico che le soluzioni di mobilità possono migliorare. Ma per portare dei miglioramenti in questi ambiti non servono né ristrutturazioni né trasferimenti.
Sarebbe bello se questo dibattito diventasse un’occasione per ripensare il significato del calcio e dello sport nella nostra città, se lo stadio riuscisse a essere qualcosa di più che una struttura data in gestione a un club, considerandolo come un elemento che può valorizzare il quartiere. In questo senso, il sacrificio di una scuola per far spazio a un progetto speculativo parla da sé, e il rifiuto della giunta di scartare questa opzione nei fatti, al di là delle dichiarazioni, non ha nemmeno bisogno di commenti.
Perché, invece di una cordata di imprese mascherata, non pensare a un’operazione di azionariato popolare vero, che coinvolga tutta la cittadinanza e di cui possano beneficiare quelle realtà che tramite lo sport svolgono una funzione sociale ed educativa fondamentale?