«Trovati un marito, così risolvi tutto». Immaginate di essere una madre, da sola con vostra figlia in un paesino di provincia, senza macchina e senza entrate. Dopo sette anni, vorreste anche solo un’opportunità di lavoro, per ricostruire finalmente la vostra indipendenza. Invece, siete a carico di un programma di assistenza la cui unica risposta è questa: trovati un marito. Forse, però, qualcuno di voi potrebbe avere qualche difficoltà a immedesimarsi in una donna straniera, che sta ancora perfezionando il suo italiano e il colore della sua pelle è un po’ diverso dalla naturale bianchezza “ariana”. Va bene, proviamone un’altra, allora.
Siete italianissime, anzi nate e cresciute a Parma città. Per varie vicissitudini vi ritrovate da sole, anche questa volta con la vostra bambina, nel medesimo paesino di cui sopra, e avete perso il vostro lavoro perché non avevate nessuno che vi aiutasse con vostra figlia. Stesso programma di assistenza in capo all’amministrazione comunale, stesso tipo di alloggio (un monolocale) preso con l’Acer. Alla richiesta di matite, carta e colori vi viene risposto: «Lascia stare i compiti, fai uscire tua figlia a giocare con le pozzanghere».
Quando ci ritroviamo ad ascoltare i racconti delle famiglie cui siamo venuti in contatto con il Supporto Popolare, con il quale abbiamo portato un po’ di spesa a chi era in difficoltà in questi mesi d’emergenza, c’è sempre un momento in cui ti ribolle il sangue: prima la sorpresa, lo sconcerto. Poi, la rabbia. Come si fa a dare quelle risposte? Ma attenzione, non bisogna fare l’errore di prendersela con il singolo assistente sociale, di farne una colpa individuale: questi sono solo casi limite che si inseriscono in una desolazione dovuta a un problema ben preciso. Un problema che in una società che mette al centro la dignità e il benessere dei suoi cittadini non dovrebbe esistere. Ma purtroppo non è il nostro caso: viviamo in un mondo la cui priorità sta da un’altra parte e se ti trovi in condizioni difficili, beh, vorrà dire che un po’ te la sei cercata, no? Non avrai fatto abbastanza. Insomma la colpa è tua, è individuale, non un problema sociale che come tale andrebbe affrontato.
Ecco, non facciamo questo errore: la responsabilità non è del singolo assistente ma sta in anni di tagli al welfare pubblico. Tagli che permettono alle amministrazioni di aiutare gli amici imprenditori, quelli sì bisognosi, magari per ampliare la pista di un aeroporto inutile, di modo che possa servire voli cargo. Il risultato è che i servizi messi in piedi semplicemente non hanno le condizioni materiali per offrire soluzioni vere.
I due episodi di cui abbiamo parlato sono due piccoli esempi di quanto è accaduto negli ultimi anni a Beatrice e Alexandra (nomi che usiamo per difendere la loro privacy). Parliamo di due mamme con un vissuto diverso e che pure si sono trovate in una condizione simile. Sono tantissimi gli aneddoti sulla loro vita, che spiegano la durissima lotta per la propria indipendenza, da una parte, e dall’altra per la cura delle bambine. Dal razzismo dei genitori dell’ex compagno di Alexandra, che non volevano nemmeno vedere la loro nipote “nera”, figurarsi dare una mano, alla totale mancanza di una vita sociale, oppure i 5 euro lordi all’ora per un servizio di pulizie, fino a ricatti del tipo “Ti abbiamo anticipato i soldi per mandare tua figlia al centro estivo, quindi ora non puoi chiederci nessun aiuto per pagare le bollette”. Ma ci pare un esercizio inutile dissezionare i dettagli delle loro storie. Sono storie che gridano giustizia, non cercano la nostra compassione.
L’unico punto sul quale vale la pena soffermarsi è il ricatto che vivi in una situazione come questa, che sia o no intenzionale. Non puoi ribellarti oppure denunciare un comportamento scorretto o un’ingiustizia subita da parte della stessa istituzione che ti ha permesso di tirare avanti finora. Cosa può succedere se entri in uno scontro aperto, senza un soldo in tasca e una figlia da accudire? Beatrice e Alexandra hanno sempre paura. «Abbiamo il terrore – dice Beatrice – che ci portino via le nostre bambine, perciò continuiamo a ingoiare e facciamo tentativi in punta di piedi. Ma sembra tutto inutile. Se vivi in un piccolo paese come questo, le possibilità di trovare un lavoro con cui mantenersi sono a zero: tutto quello che abbiamo trovato finora prevedeva una macchina. Ma come faccio a comprarne una se non ho un reddito? Tante volte abbiamo pensato che spostarsi in città, a Parma, ci permetterebbe più opportunità di un’occupazione e lì muoversi è più facile: basterebbe una bici o l’autobus. Ma di trasferimenti a Parma non se ne parla, lo abbiamo già chiesto: pena, la perdita di quel poco, pochissimo che abbiamo ora. Quindi, eccoci qui, bloccate nel nostro “preziosissimo” monolocale di 27 metri quadrati». Bloccate e dipendenti da una politica che, da una parte, ti vede come un peso e, dall’altra, non ti dà la possibilità di non esserlo più.
Oggi, giovedì 9 luglio, alle 18.00 scendiamo in piazza Garibaldi insieme alla rete Diritti in Casa, proprio dare voce agli invisibili come Beatrice e Alexandra: l’unica grande opera da finanziare sono i servizi sociali e un welfare degno di questo nome.