da Potere al Popolo Parma
Durante l’emergenza Covid, tramite la nostra azione di Supporto Popolare siamo venuti a contatto con diverse situazioni di disagio lavorativo. Con questo contributo vogliamo provare ad aprire una finestra su una delle realtà industriali principali della nostra provincia con il contributo di un operaio del settore, cercando un punto di vista di classe rispetto ad un evento di cronaca giudiziaria che ha interessato la nostra provincia.
Emerge un quadro che racconta di diritti evaporati nelle pieghe dei contratti. Non stiamo parlando della logistica o dei rider, ma di quella classe operaia che ci veniva raccontata come garantita, soddisfatta e che, invece, adesso vede arrivare il conto della crisi, anche nella metalmeccanica impiantistica parmense, fiore all’occhiello dell’industria locale. Illeciti, l’ombra della malavita organizzata, appalti e subappalti al ribasso, condizioni di lavoro sempre peggiori e prospettive di crisi non certo confortanti.
Non si può continuare in questo modo. È necessario, prima di tutto, conoscere cosa realmente succede nel mondo produttivo, senza accontentarci degli spot: per farlo il racconto migliore ce lo può fare soltanto chi la crisi la vive dall’officina. Bisogna rompere il muro di omertà che circonda i luoghi di lavoro, prendere coraggio e provare a mettere insieme i pezzi di una realtà che dobbiamo guardare negli occhi per poter cambiare.
Sono un lavoratore metalmeccanico dalla fine degli anni Novanta e vorrei fare una riflessione sullo stato attuale del settore, collegandomi anche alle vicende di cronaca che ultimamente hanno riguardato alcune aziende gestite in modo poco trasparente, almeno secondo il mio punto di vista, cioè quello di chi queste aziende le vive in officina.
Recentemente, in piena emergenza Coronavirus, qui a Parma la metalmeccanica è balzata agli onori della cronaca per la vicenda giudiziaria che coinvolge il Gruppo GF Nuove tecnologie che, secondo le accuse, avrebbe aggirato tasse e contributi. Viene da sé che se una ditta riesce a risparmiare ingenti somme che dovrebbe versare allo Stato, riesce a mantenere prezzi molto più bassi per i prodotti che offre rispetto a chi, invece, opera pagando le tasse. E che magari hanno dovuto chiudere perché non più in grado di competere con ribassi impossibili.
Credo, però, che per comprendere meglio la situazione, si dovrebbe parlare anche del problema della responsabilità dei grandi gruppi industriali (parmigiani in questo caso) che appaltano grandi lavori a ditte poco cristalline. Queste propongono un servizio con ribassi così clamorosi che non possono non essere apparsi strani a chi è nel mercato da decenni. Evidentemente, di fronte a vantaggi economici sostanziosi, certi dubbi passano in secondo piano.
Nel piccolo della mia esperienza, voglio sottolineare anche un altro aspetto che, assieme al metodo descritto dai giornali per aggirare l’erario, a mio avviso contribuisce alla possibilità di avere costi fissi molto più bassi da parte di un datore di lavoro. Parlo per esperienza diretta, dal momento che a un certo punto della mia carriera lavorativa ho lavorato per il gruppo G.F.. L’escamotage consiste in una amministrazione delle buste paghe dei dipendenti costituita da una paga base al minimo salariale per livello e inquadramento, poi si raggiunge una cifra accettabile colmando il gap con rimborsi chilometrici fittizi e altri trucchetti simili. È evidente il risparmio di tasse del datore di lavoro mentre, anche se sulle prime si ha la sensazione che i soldi in tasca siano gli stessi, per i lavoratori non è proprio così vantaggioso. Il conto si paga alla fine, con minori contributi pensionistici e una tredicesima più bassa. Il problema è ben più profondo di quello che emerge dall’inchiesta, che apre solo uno squarcio s un mondo che negli ultimi vent’anni è profondamente cambiato.
Ho iniziato a lavorare nel 2000 per una nota azienda di Parma che opera nel settore del packaging industriale. Il mio percorso è stato quello classico di formazione professionale all’interno di un’azienda di grandi dimensioni: all’inizio l’apprendistato, un paio d’anni circa, poi operaio specializzato, qualifica con cui ho lavorato per diversi anni fino che non mi sono deciso a terminare gli studi lasciati in sospeso una decina d’anni prima, lavorando e studiando contemporaneamente. Al lavoro però (siamo circa nel 2010, in piena crisi finanziaria globale) era in corso un importante mutamento per le aziende come quella in cui sono cresciuto: il cambiamento consisteva nell’esternalizzazione di gran parte dei reparti produttivi. Per capirci meglio, la ditta per cui lavoravo vendeva macchinari e impianti esattamente come aveva sempre fatto, assemblava i macchinari all’interno dei propri stabilimenti e offriva assistenza ai clienti finali per l’installazione e la manutenzione di impianti e macchinari. Veniva a mancare tutta la parte produttiva di costruzione delle componenti che servivano al montaggio, che veniva acquistata da ditte terze (carpenterie metalliche per conto terzi nella maggior parte dei casi) per un discorso di controllo dei costi. Questo è sicuramente un altro passaggio che ha favorito la nascita e la proliferazione di ditte dalla gestione torbida.
Visto che lavoravo in uno dei reparti che hanno subito tagli e mobilitazioni verso altri reparti, ho colto l’occasione che mi si era presentata di cambiare azienda e anche mansione, visto che mi era stato offerto un posto come tecnico alla luce del diploma. La nuova esperienza, però, dopo un inizio tranquillo, non andò bene: il mio datore di lavoro di allora faceva le cose in regola, alla luce del sole, e la mia retribuzione era in linea con la media degli stipendi dei tecnici metalmeccanici (senza rimborsi o altro per intenderci). Ma i conti della ditta iniziavano a essere in deficit rispetto alle entrate e, così, guardandomi attorno sono andato a lavorare per il gruppo G.F.. La proposta da parte loro fu subito quella prima descritta, cioè paga bassa ma netto in busta simile a quanto già percepivo. Allora accettai, anche perché non avevo ben presente le cose come mi appaiono chiare ora, cioè che il danno oltre che per l’erario c’è anche per il dipendente. Mi resi poi conto che il metodo di espansione della ditta consisteva nel rilevare aziende del settore, o di settori simili, con lo scopo di conoscerne i metodi di lavoro, il know-how e fare propri i portafogli clienti della ditta rilevata per poi tenere solo la parte che faceva comodo loro, senza fare fronte a tutto il resto (mantenimento dei dipendenti, debiti con i fornitori ecc..). Sicuramente anche questo ultimo dettaglio è un esempio di modus operandi che non gioca a favore dei lavoratori.
Un po’ contrariato da tutte queste vicende, ho cambiato posto di lavoro andando in un’azienda del tutto estranea al gruppo G.F. ma mi trascino ancora oggi la piaga dei rimborsi esentasse, visto che al colloquio ho dovuto presentare la busta paga della ditta in cui lavoravo e il nuovo datore di lavoro ha colto la palla al balzo per applicare le identiche condizioni.
Per quanto tempo ancora riusciremo a sopportare questa situazione? Vale la pena restare in silenzio pregando che la crisi non ci tocchi? Quanto vale l’indignazione a mezzo stampa di chi ogni giorno con quel sistema costruisce la sua ricchezza?