di Mario Amadei
La notte tra il 4 e il 5 maggio ci ha lasciato Pietro Paolo Piro. Dopo una lunga e grave degenza per il covid 19, era tornato a casa due settimane fa. Era sereno e non vedeva l’ora di poter tornare all’attività politica, quando improvvisamente se ne è andato. Ieri, 7 maggio, si sono svolti i suoi funerali al cimitero di Carzeto di Soragna, con una quindicina di persone, tra compagni, amici e familiari. Sulla bara, la bandiera rossa di Rifondazione comunista. Molti partiti e associazioni della sinistra antagonista, in questi giorni, hanno comunicato il loro cordoglio, a loro uniamo anche quello della nostra redazione (ndr).
Pietro Paolo Piro era nato a Mistretta, in provincia di Messina, il 28 giugno 1960. Era arrivato a Parma da ragazzo, dalla Sicilia, insieme alla propria famiglia, come tante altre, costrette – come oggi – a spostarsi alla ricerca del lavoro. Pur restando legato e conservando affetti in Sicilia, Pietro trascorse gran parte della propria vita in provincia di Parma, a Soragna.
Frequentò l’Ipsia di Parma, ma la scuola non fu solo luogo di formazione e di studio. Tra i banchi dell’Ipsia iniziò a mobilitarsi, costruendo insieme ai propri compagni collettivi studenteschi. Era il 1976 e Pietro si spese in prima persona nell’organizzare manifestazioni e cortei degli studenti in città. Per la stampa dei volantini, iniziò a frequentare la sede parmigiana del Partito Comunista d’Italia marxista-leninista, in via XX settembre, una formazione della sinistra extraparlamentare, nel quale iniziò a militare. Nel PCd’I m-l incontrò compagni con i quali rimase legato da una sincera amicizia e con alcuni di loro condivise la scelta di entrare a far parte del Partito della Rifondazione Comunista, al quale si iscrisse nel 1997 e al quale rimase legato per tutta la vita. Rivendicava con orgoglio la propria appartenenza, anche nella non sempre piena condivisione delle posizioni e della linea del partito, non risparmiandosi mai nel dibattito interno, che contribuiva ad animare con spirito critico. Discuteva animatamente nella sede di via Solari e, pur nel dissenso, alla prima occasione utile lo si trovava in strada a sventolare con orgoglio la bandiera del partito.
Non si tirò indietro quando vi fu necessità di assumere incarichi di direzione, nazionali e locali, anche se ciò rappresentava una scelta tutt’altro che di comodo. Fu così che, dal 2004 al 2007, accettò l’incarico di segretario provinciale di Rifondazione.
Sarebbe un errore, però, ridurre la sua militanza all’attività di partito. Pietro ha affrontato la vita da partigiano, da partigiano comunista, consapevole che vivere significhi parteggiare, scegliere sempre da che parte stare, come ci ricorda un bellissimo testo di Antonio Gramsci. Una vita intesa come una continua lotta, una lotta necessaria per migliorare le condizioni di vita, per sé e per tutti, per realizzare i propri ideali comunisti, di giustizia sociale, di pace, di diritti di tutti i lavoratori e degli sfruttati, una lotta necessaria per trasformare in senso socialista la società.
Tanti lo ricordano per il modo affettuoso, amichevole e allegro con cui affrontava la vita, le relazioni e l’impegno politico. Ci si poteva discutere anche vivacemente, si poteva essere in profondo disaccordo, sapeva come essere pungente e a volte anche spigoloso, ma chiusa la discussione, si tornava in fretta a scherzare, ad aiutarsi, a collaborare, a impegnarsi fianco a fianco, riconoscenti del lavoro e della causa comune per la quale ci si trovava a lottare.
Difficile, forse impossibile, elencare le innumerevoli situazioni in cui tantissimi hanno potuto avere la fortuna di incontrare Pietro, una riunione o un’assemblea, per discutere ma soprattutto per organizzarsi, per mobilitarsi. Oppure lo si incontrava per le strade cittadine o in provincia a distribuire volantini, a manifestare, a raccogliere firme per presentare una lista o un quesito referendario, gli ultimi due vittoriosi (il referendum sull’acqua pubblica del 2011 e il referendum contro lo smantellamento della Costituzione del 2016) per i quali si spese impegnando tempo e energie, oltre a tutta la propria passione disinteressata.
O ancora lo si poteva vedere in un comitato (dal Comitato No guerra al Comitato antifascista antimperialista per la memoria storica, o al Comitato Salviamo la Costituzione), nel circolo Arci di Soragna o in un’associazione (dall’Anpi all’Associazione di Amicizia Italia-Cuba, con Paco e con l’amico e compagno di sempre, Angelo Giavarini). O negli scioperi, non importava molto di quale sigla sindacale. Se i lavoratori si mobilitavano, lui doveva esserci. O a cucinare e servire ai tavoli, spesso anche a ballare, nelle feste di Liberazione. O ad un’iniziativa pubblica di altre associazioni, di un centro sociale o di una delle tante sigle della galassia comunista alle quali partecipava interessato e solidale. In ognuno di questi partiti aveva amici e compagni che lo stimavano e con molti di loro era legato da amicizia, nonostante le diverse scelte di appartenenza partitica.
Così è stato anche a febbraio 2020, l’ultima (forse) manifestazione alla quale ha partecipato. Era sceso in piazza insieme ai compagni di Officina popolare, di cui era ovviamente parte. Un appuntamento sentito come una necessità, per ribadire ancora una volta che “a Parma non si passa”, che, anche se in pochi, si doveva essere presenti contro i neofascisti.
A Soragna, nel 2017, c’era riuscito quasi da solo a ridicolizzare i fascisti, costruendo un caso nazionale. In Consiglio comunale, infatti, leghisti e partiti di destra avevano avanzato una mozione per la messa al bando dei partiti e dell’ideologia comunista. Non poteva passare un simile tentativo revisionista e di riscrittura della storia, lì proprio nel suo paese. Inaccettabile! Con altri compagni del paese, dunque, Pietro si inventò la pagina facebook del Partito Comunista Clandestino di Soragna (sottotitolo: “per il comunismo in un solo paese, Soragna”). Alla giornalista della Rai che l’aveva intervistato sull’accaduto aveva risposto“noi comunisti, oltre ad essere duri, puri e rivoluzionari vogliamo anche divertirci” (qui il video). La pagina di un social, poi, non poteva certo essere sufficiente. E così fece mille telefonate per organizzare un corteo nazionale a Soragna, insieme all’Anpi, al quale aderirono compagne e compagni da tutto il Nord Italia e di tante organizzazioni che si richiamano al comunismo. Anche se quella manifestazione aveva lasciato il segno, Pietro ci spingeva a restare vigili, a non abbassare la guardia, e la recente ignobile risoluzione anticomunista approvata dal Parlamento europeo è lì a dimostrarci quanto avesse ragione, quanto un fatto che ad alcuni poteva apparire piccolo come quello avvenuto nel suo paese, potesse creare un precedente pericoloso.
Sempre in movimento Pietro. Da Soragna a Parma o da Soragna a Bologna. Per le riunioni della segreteria regionale dell’Altra Emilia-Romagna di cui era parte o del Comitato politico regionale del PRC. Come dimenticare, poi, proprio la sua mitica macchina con la quale macinava kilometri. Dentro, un kit di tutto quello che poteva servire per essere presente alla prossima manifestazione. Bandiera, volantini sempre pronti, non sia mai che uno sciopero, un picchetto o la rivoluzione potessero coglierlo impreparato. Lui doveva esserci, con la sua bandiera, avvolto d’inverno nelle sue lunghe sciarpe, rigorosamente rosse con rare eccezioni, alcune lavorate a mano dalla madre con la quale viveva e alla quale era legato da un profondo affetto, curandola con amore, fino a quando gli è stato possibile.
Il suo modo totalizzante e appassionato di intendere l’impegno politico resta un esempio per chiunque a Parma, ma non solo, non si è rassegnato all’idea che “com’è, così resterà”. Dopo aver affrontato una lunga degenza per coronavirus, era tornato a casa, stanco sì ma pieno di voglia di tornare presto a lottare e ci ha lasciato con un impegno, sempre lo stesso, “dobbiamo cambiare questo mondo ingiusto”, l’impegno di una vita. Una vita di lotta, una vita da comunista, dalla quale imparare molto.