di Francesco Antuofermo
Bio-on, si legge sul sito della società, significa “accendi il Bio!”. La reclame pubblicitaria invita a legare questo slogan al “turn Off pollution!” (letteralmente: spegni l’inquinamento). Ecco spiegata la semplice idea racchiusa in una piccola parola come On. Secondo le intenzioni aziendali – si legge sul sito − «Bio-on contribuirà a costruire un futuro più sostenibile per tutti, negli oggetti in plastica di uso comune». Quello che in futuro Bio-on riuscirà a realizzare in tema di sostenibilità è tutto da verificare. Di sicuro invece, il passato ha messo in luce il rapido arricchimento di un terzetto di capitalisti che fa invidia al povero Aristide Saccard, speculatore di fine Ottocento, così abilmente descritto da Emile Zola nel suo romanzo “Il denaro”.
La guardia di finanza, infatti, ha bloccato conti correnti, titoli, appartamenti, case in campagna e al mare e un parco auto d’epoca, per il valore totale di oltre 36 milioni di euro, ai quali vanno aggiunte azioni per altri 114 milioni. Un vero e proprio tesoretto che sarebbe l’equivalente dei presunti guadagni illegittimi accumulati in questi anni. Ad esempio, al titolare dell’azienda, Marco Astorri, le fiamme gialle hanno sequestrato automobili di assoluto pregio: una Aston Martin da 700 mila euro, una Jaguar e un’Alfa Romeo d’epoca e altre chicche rare dello stesso genere. Inoltre, i finanzieri gli hanno bloccato diversi appartamenti in centro a Bologna. E la stessa sorte è toccata anche ai beni degli altri indagati.
Eppure Bio-on prometteva scintille. L’azienda, infatti, ha progettato e brevettato la prima plastica PHAs al mondo completamente a base biologica. Come certificato dal 2014 dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti – Usda, il prodotto è 100% biodegradabile naturalmente, in acqua e nel suolo, senza l’utilizzo di solventi chimici. Un prodotto eccezionale, ottenuto attraverso la fermentazione naturale di batteri alimentati da sottoprodotti dell’industria agricola che non precludono la produzione di cibo per l’uomo. Un materiale che dovrebbe pian piano sostituire la plastica assassina che tanti danni ha generato al nostro pianeta. I biopolimeri di Bio-on sembra che abbiano proprietà straordinarie e dovrebbero coprire una vasta gamma di applicazioni strategiche: biomedicale, packaging, cosmetici, abbigliamento, settore automobilistico e tantissimi altri.
Non possiamo sapere oggi quanto di questi sogni saranno realizzati, ma di sicuro l’azienda ha saputo sfruttare il clima di allarme per l’ambiente, le proteste di Greta Thunberg, il fascino di un mondo libero dalla plastica e dalle immagini di gabbiani e cetacei alla deriva con lo stomaco pieno di oggetti di plastica. Un desiderio che ha portato centinaia di risparmiatori a credere nella possibilità di realizzare una ricchezza facile e veloce, convincendoli a comprare in massa le azioni dell’azienda. Così Bio-on, nel giro di poco tempo, è diventata il fiore all’occhiello del listino di borsa Aim, attirando su di sé la bramosia di guadagno degli incalliti tagliatori di cedole.
Sulla scia delle promesse dei titolari, che prevedevano un incremento di fatturato fino a 140 milioni di euro e un contratto di Multi-licenza da 55 milioni con una multinazionale (secondo alcuni inesistente), le quotazioni hanno subito un costante incremento, raggiungendo la cifra record di 70 euro per azione. Il risultato ha permesso di far entrare nelle casse della società una capitalizzazione di 1,3 miliardi, gonfiando le tasche dei titolari con 36 milioni di euro grazie a promesse e aspettative fasulle sul radioso futuro della società e delle sue bioplastiche. La società poteva così fregiarsi del titolo di secondo “unicorno” italiano, dopo Yoox. (L’unicorno è un riconoscimento che va alle imprese di recente quotazione in borsa che raggiungono almeno un miliardo di capitalizzazione). Oggi il prezzo del titolo è sceso a 10,4 euro portando il valore della compagnia a poco meno di 200 milioni. Che potrebbero tra poco evaporare completamente se la magistratura dovesse avvalorare le accuse di Quintessential, il fondo americano che ha pubblicato il dossier con cui accusava l’azienda di essere «una nuova Parmalat a Bologna».
Tutta la vicenda si svolge prevalentemente a Bologna. Ma anche a Parma ne subiremo le conseguenze. Lo dicono i sindacati di categoria a proposito di Sebiplast Spa, azienda riconducibile al gruppo Maccaferri, da maggio in concordato preventivo e a Bio-on Spa, che doveva realizzare uno stabilimento di plastica biodegradabile nel sito dove sorge lo zuccherificio ex Eridania. Sono 60 gli addetti che avrebbero dovuto essere assunti e il rischio di un fallimento con conseguente apertura di una indagine per bancarotta fraudolenta, allontana sempre di più questa possibilità.
Se la Green Economy parte da questi presupposti, di verde manterrà ben poco. Si dice che il denaro di oggi è l’humus su cui sorgerà l’umanità di domani. Allora questo concime è già avvelenato di profitto e per i lavoratori del settore il colore tenderà velocemente ancora una volta al nero. Quello dello sfruttamento.