di Andrea Scannavino
La città è in fermento, il centro storico si appresta a un re-styling monumentale. Tutti a lavoro: Parma diventa capitale italiana della cultura. E così, da mesi, vediamo nascere cantieri in centro storico per gli svariati eventi culturali che attrarranno migliaia di visitatori, pronti ad assaporare l’aria frizzante che il grande evento porta. Fin qui, poco male: alla logica del grande evento siamo abituati da anni.
Intanto, però, decine di immobiliari si sfregano le mani. Dentro le mura, si cominciano a liberare gli appartamenti dalla solita utenza affittuaria, per sostituirla con inquilini virtuali: i turisti, che grazie al grande mercato degli affitti transitori possono comodamente affittare per poche notti appartamenti in centro. Il fenomeno Airbnb è arrivato anche a Parma e non promette niente di buono. Ma per capire perché, bisogna capirne l’origine.
Con Airbnb indichiamo abitualmente tutta la categoria degli affitti brevi che si è diffusa online, perché a questo nome corrisponde la piattaforma da 31 miliardi di dollari che ha innescato il boom. In poche parole, si tratta di intermediari tra domanda e offerta di ospitalità privata. Nata nel 2008 a San Francisco, una delle città con gli affitti più alti al mondo, Airbnb era la promessa di nuove opportunità: per gli host, la possibilità di far quadrare i conti affittando la stanza degli ospiti, per i viaggiatori, un nuovo modo di vivere l’esperienza al di fuori dei circuiti tradizionali dell’ospitalità, secondo il claim “live like a local” (vivi come la gente del posto). Le agenzie di viaggio online (non solo Airbnb ma anche Expedia e Booking.com, per esempio) indirizzano la domanda verso le strutture ricettive attraverso programmi che offrono sconti ulteriori al cliente. Il vantaggio per l’impresa è nell’immagine aziendale dei portali, per cui l’obiettivo è fare propri i clienti delle strutture ricettive. Insomma, Airbnb è uno strumento di concentrazione della ricchezza proveniente dalla rendita immobiliare: pochi intermediari gestiscono più case, molte delle quali non abitate stabilmente per più di sei mesi.
E così, mentre la città si trasforma, si abbellisce e si prepara a diventare bomboniera della cultura italiana, la vita all’interno del contesto urbano cambia per tutti. Gli affitti salgono, le agenzie e i proprietari immobiliari discriminano i meno ricchi e le periferie si trasformano in discariche sociali e dormitori. Utili a una propaganda che da destra a sinistra finora è diventata il leitmotiv di qualsiasi politicante dei giorni nostri. Ma più che nelle periferie, territori dimenticati per definizione, è il greto del torrente a riassumere l’ipocrisia della bomboniera nel modo più emblematico, proprio in questi giorni. Da una parte, infatti, sotto i ponti che attraversano la Parma da mesi compaiono e scompaiono piccole “abitazioni” abusive, abitate da chi è stato completamente espulso dal tessuto sociale cittadino. Dall’altra, proprio il greto da poco è diventato spazio di un nuovo progetto come la pista ciclabile, tanto voluta dalla giunta Pizzarotti e che tanto fa città nordeuropea: l’ennesima opera di facciata nell’assenza totale di interventi a carattere sociale che rispettino l’ambiente.
Il tutto è semplicemente paradossale: se è davvero preoccupante vedere persone in quelle condizioni, lo è per l’allarme sociale che la cosa in sé lancia, non per l’offesa agli occhi della Parma “bene”. Non c’è un’altra via: bisogna cambiare rotta, bisogna ripensare le politiche abitative e del lavoro, tutelando i diritti degli abitanti, invece di favorire solo grandi aziende e palazzinari che da troppi anni si arricchiscono sulle nostre spalle. Le case popolari, non a caso, sono una piccolissima parte del patrimonio edilizio esistente e ci si è preoccupati più spesso della loro vendita che a costruirne di nuove. A Parma, come in tutte le città d’Italia, ci sono decine di migliaia di alloggi privati non utilizzati.
Invertire rotta, quindi, significa valorizzare edifici abbandonati e convertirli in edilizia popolare pubblica, rivedere la città non come un grande centro commerciale dove i rapporti sociali sono legati solo a logiche di mercato, ma come un luogo dove l’incontro e lo scambio di esperienze e pratiche solidali riconsegni dignità a tutte e tutti. Soprattutto a chi altrimenti non godrà minimamente dei grandi eventi che Parma vuole ospitare.
Perché nessuno deve rimanere indietro.