di Elisabetta Salvini
A chi chiede perché le donne saranno ancora in piazza l’8 marzo, vorrei rispondere con alcuni fatti che sono successi in questi giorni e che riguardano ognuno e ognuna di noi. Li elenco in un ordine sparso e casuale. A Bolzano Kevin Masocco, un giovanissimo consigliere comunale della Lega, si è dimesso dopo che un suo vocale, in cui incitava e invitava gli amici ad andare a stuprare una dj figa in discoteca, è diventato virale. La Rai ha sospeso Collovati per le sue frasi sessiste sull’incapacità femminile di commentare il calcio. In Umbria, ad Amelia, un altro consigliere, guarda caso sempre leghista, è stato espulso dal partito per aver scritto ad Emma Marrone: «Aprire i porti? Apri le tue cosce e fatti pagare». Sempre restando in ambito televisivo potremmo anche aggiungere quanto avvenuto durante lo “scherzo” ad Insigne, trasmesso dal Le Iene, nel quale viene fatto passare per gelosia un atteggiamento di controllo, di comando, di violenza verbale e fisica (ad un certo punto la moglie si prende pure uno schiaffo) e di umiliazione ripetuta, utilizzato dal calciatore nei confronti della sua donna, colpevole di averlo fatto ingelosire.
Contemporaneamente in tante città d’Italia, compresa Parma, i pro-life o presunti tali, tornano a manifestare davanti agli ospedali e a fare pressione sulle donne a favore dell’obiezione di coscienza. Mentre a Frosinone Forza Nuova ha affisso manifesti rappresentanti una donna italica allattante con sotto la scritta: «L’Italia ha bisogno di figli non di unioni gay e immigrati». E questi sono solo cinque episodi delle ultime ore.
Certo, si potrebbe anche obiettare che sono solo slogan, parole, post, messaggi vocali, sketch televisivi. Che sono banalità di fronte a un disegno di legge come quello scritto da Pillon e soci, tutto a discapito dei diritti delle donne e dei bambini. Piccolezze in confronto alla violenza, ai femminicidi o alle tantissime discriminazioni che le donne vivono quotidianamente sul lavoro. Ma non è vero. Non sono affatto banalità, ma semplicemente il rovescio della stessa medaglia. Sono i segnali chiari, inequivocabili, quotidiani e incancellabili di una cultura che esprime un sessismo che si pensava superato, ma che in realtà è più vivo e più forte che mai.
Sono l’espressione di un’incapacità maschile (e talvolta purtroppo anche femminile) di relazionarsi alla pari. Sono la smaccata evidenza di un costante conflitto che si innesca tra i generi e che va a colpire sempre e solo sulla differenza, usandola come prova provata di una superiorità maschile che deve affermarsi umiliando, schiacciando e insultando la donna. Sono un’evidenza di quanto troppo spesso si pensi che questa sia l’unica e la sola possibile modalità d’azione.
Ecco perché saremo in piazza l’8 marzo e ci dovremo essere tutti i giorni, senza più perdere terreno. Ed ecco perché dovrebbero esserci anche tantissimi uomini. Tutti quelli che non si riconoscono in questi atteggiamenti, in queste parole, in queste modalità. Perché è troppa l’urgenza e perché dobbiamo riprenderci quegli spazi di azione politica, di scelte personali e di parola che ci vogliono togliere.
Servono ora più che mai parole che non siano neutre, per riequilibrare un linguaggio che pare saper usare unicamente l’insulto, la violenza e la denigrazione. Servono le nostre riflessioni per scardinare un progetto politico che vede nella libertà ‒ femminile in primis ma estendibile ad ogni altra forma di dissenso ‒ un pericolo e che per questo ha scelto di attaccarla in ogni modo possibile. Serve la nostra voglia e la nostra determinazione a restare unite e a sentirci parte di un movimento, perché solo insieme si può costruire un’azione politica vera e concreta.
Ecco perché saremo in piazza. Per dare colore alla nostra città, per renderla viva. Per manifestare la nostra rabbia, per urlare la nostra determinazione a non restare in silenzio e a non accettare nessun disegno politico che sacrifichi la nostra possibilità di sognare, di realizzarci, di autodeterminarci e di esprimerci liberamente in tutta la nostra bellezza, nella nostra differenza e nella nostra complessità. Saremo in piazza per mettere in disordine quell’ordine “naturale” che ci vorrebbero imporre, ma che noi, con determinazione e con il sorriso, rifiutiamo.