di Marco Severo
È Natale, siamo tutti più buoni. Lo sanno bene, tra gli altri, coloro che lavorano o che hanno lavorato come postini. Il postino è un rilevatore degli umori sociali, fiuta l’aria al mattino presto, avverte la tensione che corre tra i palazzi. È un piacere per lui lavorare in dicembre. Il Natale è così lenitivo, pacificante. In questo periodo dell’anno, mentre qualcuno dice al citofono «la prossima volta non ti azzardare a suonare se non hai posta per me», si respira nei palazzi un affetto sincero. Sul telaio del portone ci sono le stelle filanti, i Santa Claus di pezza, le scritte di «Buon Natale e Buone Feste» fatte con la gommina appiccicosa che ha da tempo sostituito lo spray neve. Un fluido zuccheroso di letizia accoglie chiunque entri, compreso il postino. «Che diavolo suoni a fare se non è per me?» dice qualcuno dalla tromba delle scale. Quanto calore, in questo mese. Alcuni si precipitano nell’androne e corrono incontro al portalettere. È Natale, il cuore si libra leggero, tutti si aspettano grandi cose: di solito, soldi. Oppure un parente milionario morto d’un tratto, una vincita, qualsiasi cosa, qualcuno che finalmente – e radicalmente – risolva la situazione. «Una multa?! E te pareva!» commentano infine, dopo aver aperto la busta.
A fronte di tanta amorevolezza, quindi, non si capisce come mai il Censis anche quest’anno nel suo rapporto sulla situazione economica e sociale dell’Italia si ostini a parlare di «cattiveria» e «ostilità» nel definire i sentimenti che prevalgono fra i nostri concittadini. L’anno scorso aveva usato il termine «rancore». A giudizio del postino sono in realtà tutti così distesi, solidali. A casa di un uomo che scosta la tendina ma poi non apre il portone, un proiettore psichedelico compone la scritta «happy new year» sulla facciata dell’edificio. Una ghirlanda di porporina dorata penzola fuori dalla porta di una donna che tempo addietro, un sabato mattina, al passaggio di una gara podistica per poco non era venuta alle mani con un vicino. Esigeva che quello spegnesse il motore del Suv nell’attesa dei corridori, perché lei è un’ambientalista e salutista e vegetariana, mentre l’altro pretendeva che la gara andassero a farla altrove, perché non si può mica bloccare la gente in casa, «e poi io cosa faccio mezzora qui fermo, figa?».
Il postino ha la giusta sensibilità, sa valutare l’equilibrio più o meno stabile delle relazioni collettive. E si ostina a sentire, intorno, profumo di incenso. Vede tanta comprensione dove invece il Censis scorge un pessimismo crescente e una disperazione cronica, stratificata in anni di bassi salari duranti i quali in molti – il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle con basso reddito secondo la rilevazione 2018 – si sono persuasi che la loro condizione non cambierà mai. O forse sì, a pensarci bene, come fa il 49,5% della popolazione secondo la quale basta qualche post sui social network per diventare famosi e dunque emanciparsi dal grigiore di una vita qualunque.
Non siamo mica come la Francia con i suoi gilet gialli. No, da noi si parla e si media. Certo è vero, gli artigiani e i piccoli imprenditori, quelli della classe media famosa, sono stufi anche da noi. Tuttavia ci si arrangia. Capita ad esempio che un uomo risponda «seguimi» quando il postino gli allunga una raccomandata da firmare. Grugnisce qualcosa e guarda sospettoso il postino. Sulla busta c’è il nome di una società. «Ma uffa, ancora la società…!» protesta. Poi l’uomo fa strada lungo le scale, scende una rampa, due, tre. Nello scantinato è molto buio. L’uomo si muove senza impacci. Si ferma, bussa. Bussa più forte. Silenzio. L’uomo colpisce la porta con energia, ancora nessuna risposta. Allora chiama: «Said!?». Bussa e chiama: «Said! Said!». Impreca. «Che cazzo fa, questo?». Poi afferra la maniglia e apre la porta. Nella stanza si percepisce un balzo, la luce si accende. Non è una stanza ma un buco, una caverna con le pareti ricoperte di scatoloni e indumenti sparsi. Un giovane dagli occhi sbarrati sta in piedi, al centro. Ha un’espressione allucinata, o forse spaventata. È mezzo nudo. Alle sue spalle c’è un giaciglio sfatto, ricavato su un vecchio materasso. «Cazzo dormi?» lo rimprovera l’uomo. «Toh, firma va!» ordina poi. Said si avvicina e afferra la busta. «Ancora! Sempre io le devo firmare…?!». L’uomo fa un segno con la mano per dire «sbrigati e muto». Scene di collaborazione e condivisione insomma, di serena convivenza. Il postino ne è testimone. Altrove, a proposito di dialogo e pacata mediazione, qualcuno ha lasciato un messaggio sul cruscotto di un’auto, in un quartiere non lontano dal centro storico: «Spostala idiota, come cazzo facciamo a passare», dice il messaggio. Un secondo cartello, poco distante, recita: «C’è un cane che piscia continuamente nell’entrata, adesso anche contro il vaso dell’albero di Natale. Ora basta!».
Ecco sì, su questo almeno siamo d’accordo, l’albero di Natale, per favore, lasciatelo in pace.