di Margherita Becchetti
È stato molto importante che giovedì scorso, la Comunità di Sant’Egidio abbia chiamato le scuole in piazza in occasione degli 80 anni dell’emanazione delle leggi razziali nel nostro paese. È stato importante richiamare gli studenti a un senso di responsabilità verso il razzismo odierno che sempre più dilaga nell’indifferenza. Dalla mia scuola abbiamo aderito con tutte le classi (11) e con grandissimo entusiasmo perché ci sembrava un’occasione per insegnare ai nostri ragazzi e ragazze la potenza dell’indignazione. Tante altri istituti della città hanno aderito, dalle scuole primarie ai licei, ci siamo trovati in migliaia in piazzale Picelli e, appena arrivati, si leggeva curiosità sui volti dei ragazzi. Alcuni avevano preparato uno striscione, altri cartelloni colorati, altri si erano dipinti il simbolo della pace sulle guance… insomma si respirava voglia di esserci.
Poi sono iniziati gli interventi, i saluti del sindaco e dell’amministrazione (che giustamente ha appoggiato l’iniziativa), quelli del vicario del Vescovado, del rabbino di Modena e Reggio, della comunità di Sant’Egidio, e poi letture dei ragazzi più grandi su quanto accaduto 80 anni fa. Tutto molto condivisibile, interventi pacati, sensati, rispettosi delle diversità. Tutti interventi anche apprezzabili che hanno fatto appello al senso di responsabilità civica che dovrebbe regolare ognuno di noi. Nulla da dire nel merito. E però tanto da osservare nella forma.
Perché se si chiamano in piazza bambini e ragazzi dai 10 ai 18 anni, non si può poi far finta che non ci siano; non si può tenerli in piedi per oltre un’ora ad ascoltare persone che parlano ad altri, agli adulti (pochi) presenti nella piazza, a quelli che sono sul palco insieme a loro, alla stampa… non si può non porsi il problema di quelle migliaia di ragazzini e ragazzine che non ti ascoltano perché il tuo discorso è rivolto altrove, il tuo linguaggio è distante, i tuoi riferimenti sono per loro incomprensibili. Cosa resta in moltissimi di loro di quella mattina? L’ho chiesto in classe: noia, stanchezza. E qualcosa di bello? – chiedo – “quando ci siamo disegnati i simboli della pace sulla faccia e abbiamo fatto le foto…”.
Eppure, come tanti miei colleghi che per certi ideali continuano a lottare, ci avevo lavorato tanto con i ragazzi, avevamo creato l’attesa, la motivazione… Mi rimane l’amaro in bocca di aver perso un’occasione: sarà molto difficile convincerli di nuovo che scendere in piazza per difendere i diritti di tutti sia qualcosa che li riguarda. E allora chiedo a tutti coloro che, in ottima fede, hanno organizzato e partecipato a questa manifestazione: quando ci richiamerete in piazza con i nostri ragazzi, ricordatevi di loro, non ignorateli, perché la vostra indifferenza non può che condannarli all’indifferenza.