La storia delle donne è una storia di dissenso. La Casa delle donne contro il ddl 1660

di Casa delle donne di Parma

C’è una bellissima poesia di Rupi Kaur che recita così: “mi reggo in piedi / sui sacrifici di milioni di donne prima di me / pensando / cosa posso fare / per rendere più alta questa montagna / in modo che le donne dopo di me / vedano più lontano”.

E in questa poesia, secondo noi, sta il senso profondo della nostra contrarietà verso il disegno di legge 1660, cosiddetto “sulla sicurezza”, che oggi stiamo contestando. Perché questo ddl annulla la montagna di cui parla Rupi Kaur, una montagna fatta di battaglie tenaci che, soprattutto negli ultimi 150 anni, le donne hanno portato avanti conquistando diritti che da sempre erano a noi negati.

Pensiamo alle donne di un secolo fa, considerate pazze e chiamate con disprezzo suffragette, che scesero rumorosamente nelle piazze perché convinte che il diritto di voto non dovesse essere solo privilegio dei maschi. E quando venivano arrestate e condannate, perché le loro azioni di protesta andavano contro la legge, rispondevano “Noi non siamo contro la legge. Noi vogliamo fare la legge”.

Pensiamo alle donne di molti anni dopo, quelle degli anni ’60 e ’70, che sono scese in piazza ancora più rumorosamente per reclamare il diritto di divorziare e hanno conquistato per noi tutti e tutte la libertà di liberarsi da quelle piccole galere quotidiane che erano i matrimoni indissolubili. Pensiamo alle donne che hanno lottato per la tutela della maternità, del lavoro, per un diritto di famiglia che ha cancellato per sempre la figura del padre-padrone.

Pensiamo alle migliaia di donne che hanno rivendicato e ottenuto il diritto all’aborto, scendendo in piazza, urlando in piazza, violando l’ordine costituito, autodenunciandosi.

Pensiamo alle battaglie infinite che ancora dobbiamo portare avanti per denunciare la violenza come elemento strutturale della mentalità patriarcale e non come un raptus o una condizione individuale.

Per tutte queste battaglie, alle donne sono servite le piazze, il rumore, il diritto alla protesta perché da sempre le piazze sono abitate e vissute dalle persone invisibilizzate, da coloro che la legge non vede, non considera, non legittima nella loro esistenza. Da coloro che devono fare le leggi per poter trovare un proprio posto all’interno della società.

E noi donne questo lo sappiamo bene. Sappiamo molto bene che senza la piazza, senza il diritto al dissenso, saremmo rimaste invisibili ancora per secoli. Invisibili e mute.

Le donne prima di noi hanno costruito la montagna contestando l’esistente, è con il dissenso che questo ddl vuole cancellare che hanno conquistato nuovi diritti.

Diritti che non sono dati una volta per tutti, che vengono erosi giorno dopo giorno (pensate al nostro diritto di interrompere la gravidanza, pensate a quanto viene aggredito quotidianamente, pensate al papa che definisce “sicari” i medici che prestano assistenza alle donne che fanno questa scelta).

Senza la piazza, senza il dissenso, come potremo difenderci da questi attacchi, come potremo difendere i diritti conquistati e conquistarne di nuovi?

Per ampliare i confini della giustizia e dell’uguaglianza ci sono ancora tante battaglie da combattere: la parità salariale, la violenza di genere, il riconoscimento dei diritti delle persone Lgbtqia+, la protezione dei lavoratori e delle lavoratrici precari, e la salvaguardia dei diritti delle minoranze.

Perché come dice la poesia di Rupi Kaur, è nostro dovere continuare ad alzare la montagna, così che chi verrà dopo di noi possa vedere più lontano.

Ma lottare, per noi, non è solo una questione di ottenere diritti: è un processo di crescita, di evoluzione collettiva. è creare una società più umana, dove il rispetto e la dignità di ogni individuo siano al centro. Ogni passo in avanti, anche se piccolo, rende il mondo un luogo più giusto per tutte e tutti. La solidarietà è l’arma più potente che abbiamo.

Perché unirsi in una lotta comune crea legami, crea valore nello stare insieme, crea relazioni tra le persone e tra le generazioni passate, presenti e future.

Questo disegno di legge, cosiddetto “sicurezza”, invece, oltre a ledere ‒ anzi diremmo proprio a violare ‒ il diritto di manifestare il dissenso, mira a distruggere, spezzare i legami tra le persone, annullare la solidarietà tra gli individui per fomentare l’individualismo e costruire una società sempre più atomizzata. Atomizzata e muta, atomizzata e obbediente.

Di fronte a tutto questo, non possiamo restare indifferenti. Le battaglie del passato ci insegnano che ogni diritto, ogni libertà che oggi ci sembra acquisita, è il frutto di coraggio e determinazione, di lotta.

Il dissenso è il cuore della democrazia, annullare il dissenso significa minare le fondamenta del pensiero libero, significa rendere insidiosa la strada che le persone dovrebbero percorrere insieme in una società giusta.

E che questo ddl venga definito “sicurezza” è il paradosso più grande di tutta questa vicenda perché sappiamo tutti che la sicurezza delle persone non si garantisce con la repressione, con il controllo, con il silenziamento.

Come dice il nostro striscione “le strade libere le fanno le donne che le attraversano!” E noi lo sappiamo bene che non sono le telecamere o più polizia a fare il mondo un posto migliore (non vogliamo proprio usarla la parola sicuro!) ma è la cultura del rispetto, la solidarietà, la lotta contro la prevaricazione.

È per questo che dobbiamo continuare a vigilare e a lottare. È per questo che non possiamo accettare questo ddl che ci silenzia tutte e tutti.

In questo momento, dobbiamo scegliere se lasciare che la paura e la divisione prendano il sopravvento, o se invece continuare a costruire una società basata sulla solidarietà, sull’uguaglianza e sul rispetto reciproco. La risposta è nelle nostre mani.

Concludiamo ricordando un’altra grande donna, Angela Davis, che nelle interviste racconta spesso di quando, da bambina, chiedeva alla madre perché non potesse andare al parco giochi o alle librerie di Birmingham. La madre, che era un’attivista, le spiegava cosa fosse la segregazione e le ripeteva continuamente che le cose sarebbero cambiate e che loro avrebbero fatto parte del cambiamento.

Diceva sempre: “Non è così che dovrebbero andare le cose, non è così che dovrebbe essere il mondo”. Già, non è così che dovrebbe andare il mondo. Non lasciamolo andare così.