di Stefano Manici*
Alcuni giorni fa, alla Libreria Feltrinelli, ho avuto la fortuna di assistere alla presentazione del bel libro di William Gambetta Democrazia proletaria. La nuova sinistra tra piazze e palazzi (1968-1980), in una nuova edizione di DeriveApprodi, ammirando sempre l’eloquenza, il rigore metodologico e la passione dell’autore per la storia, che andrebbe raccontata sempre così. Ad un certo punto uno dei moderatori, un giovane studente, ha preso la parola chiedendo all’autore come poter attualizzare alcune istanze delle proteste degli anni ’60 e ’70, come fare politica oggi? L’autore ha dato una risposta da storico, precisa, puntuale, attenta, ma quella domanda mi è risuonata in testa fino a sera tardi, perché ha sollecitato la mia postura pedagogica, stimolando alcune riflessioni che come al solito non hanno la pretesa di essere esaustive ma di porre domande, come da prassi filosofica.
Cosa mantenere di quegli anni? Nella risposta dello storico sicuramente è evidente il richiamo all’importanza del sapere, dell’analisi, dello studio metodologico che deve stimolare nei giovani nella rilettura del passato e nella trasformazione del presente, studiare senza sosta, informarsi, confrontare, apprendere l’arte magica del dibattito democratico.
In quella domanda ho sentito un’urgenza reale, di poter tradurre la partecipazione giovanile di oggi in qualcosa di più concreto, a fronte di un quadro politico e sociale generale che offusca il concetto stesso di presenza nel politico, quasi instaurando meccanismi foucaltiani di esclusione del corpo giovane, barricandosi nelle stanze polverose delle istituzioni e sedendosi su poltrone già definite.
Mi sono rivisto a vent’anni, con la stessa urgenza, la stessa fragilità e lo stesso impeto, negli errori, nella fretta di “scaravoltare” il mondo senza un disegno preciso. L’autore del libro ha sottolineato giustamente la diversità dei contesti, in quegli anni la partecipazione era altissima, anche nel mondo giovanile, alla presenza di partiti (spesso punti di riferimento, oggi assenti) e movimenti che incanalavano in modo eterogeneo esigenze e bisogni multiformi, spesso restituendo un quadro complesso e confusivo del panorama politico, all’interno di un’atmosfera pur sempre viva, partecipata appunto. Oggi i giovani che si interessano di politica si ritrovano spesso senza guide, pensiamo anche alle figure intellettuali di enorme caratura che hanno animato i Settanta, senza riferimenti precisi anche nei movimenti, senza rappresentanza, insomma.
Eppure: è la prima generazione che sta davvero realizzando la rivoluzione del genere, cancellando anni di oblio culturale che vedeva represse le istanze di carattere sessuale e identitario, il maschile e il femminile ridisegnano i loro confini, quasi a richiamare suggestioni junghiane (il concetto di Anima).
E’ la prima generazione che sta denunciando davvero l’allarme ambientale, con atti anche clamorosi (spesso discutibili, dirà qualcuno), è una generazione che sta anche cercando altre forme di liberazione dal capitale, valorizzando il tempo libero e costruendo alternative al sistema del precariato, una sorta di richiamo allo spirito così come intendeva Marx, l’uomo nuovo, la vera utopia marxista che chiedeva prima di tutto un cambiamento radicale dell’animo umano, l’uomo nella sua connotazione migliore, l’uomo spirituale.
E’ una generazione attenta all’Altro, l’Altro husserliano, dalla postura entropica, riconoscere la differenza dell’altro per andare verso di lui. I giovani si impiegano in una miriade di attività di volontariato che testimoniano di un’aspirazione al Sociale, al collettivo, una sorta di tensione solidaristica verso un mondo zoppicante, peraltro davvero male allestito dalle generazioni adulte che perpetuano modelli disconosciuti al mondo giovanile, connotati dalla violenza, dall’apparire, dalla dittatura dell’Io, che non prevedono appunto l’incontro fisiologico con l’altro, una pornografia emotiva che rende l’incontro un’esperienza di consumo.
Oggi le politiche giovanili tendono ancora a tradursi in micro progettualità, speso anche di notevole caratura, ma senza un disegno politico collettivo e non animate da un’intenzionalità precisa, spesso votate ad uno sterile consenso sullo stretto periodo legislativo. Se quindi nel locale alcune progettualità riescono a produrre piccoli cambiamenti e riescono a includere progetti partecipativi per i giovani, in generale manca una regia pubblica in grado di dare struttura ai percorsi in un disegno che sappia legittimare e dare una voce reale al mondo giovanile. Così come appare evidente che all’interno della stessa partecipazione politica sia ancora troppo frustrante la presenza di svariati gruppuscoli della sinistra alternativa che rendono confuso il terreno di discussione, quasi che l’atavico errore delle generazioni adulti debba fisiologicamente riprodursi.
Provoco anche chiedendo se all’interno dei movimenti stessi gli strumenti di protesta e di partecipazione non risultino oggi obsoleti per i nostri giovani: il corteo, la riunione in piccolo consiglio, il leaderismo, non sono forse mezzi antiquati per rispondere alle nuove richieste di protagonismo giovanile che ci incalza spesso con idee sovversive e potenti? Lo stesso lessico che presenzia nell’agire politico mi sembra desueto, spesso i nostri ragazzi non capiscono i messaggi anche all’interno dei cosiddetti movimenti, denunciando una distanza generazionale che merita un profondo aggiornamento.
In un solo giorno di osservazione nella nostra città ho visto alcuni giovani che ripulivano il greto del fiume con sacchi neri e tanta buona volontà, una classe che partecipava ad un progetto sulla violenza contro le donne, una squadra di calcio popolare che riusciva a mettere in campo numerosi ragazzi che non riuscirebbero a permettersi le rette delle squadre sportive moderne, un gruppo di alunni che partecipavano ad un doposcuola popolare., un gruppo di ballerini di break dance che animava la piazza centrale . Sono monadi che sprigionano energia vitale, spesso sconosciute tra loro, esperienze diverse che richiamano un unico disegno e una richiesta forte di contare nell’agorà politica, di questo si tratta.
Purtroppo ho visto anche tanto disagio, ancora troppi ragazzi in condizioni di difficoltà, strutturale, culturale, psichica, di varia natura, troppi giovani vittime di un sistema che giudica molto facilmente ma difficilmente propone alternative. Un esempio su tutti è rappresentato dai numerosi fatti di cronaca che vedono protagonisti ragazzi che rapinano altri ragazzi, manifestando un malessere sotto forma di protesta violenta degli esclusi dall’agorà, in un contesto in cui ancora oggi, 2024, la diversità è vista come malattia sociale, si privilegia l’uniforme, l’identità, il mio. Ma sono i giovani stessi a far sbiadire questo tipo di cultura, fondendo le culture, mescolandosi in un meticciato propulsivo, rifiutando l’omologazione.
E’chiaro che come al solito in questi contesti è bene arrivare a costruire proposte concrete, alcune delle quali avevo già proposto nel manifesto Oltre i due calci nel sedere… del 2022 .
Aumentare la spesa sociale destinata alla formazione, alla cultura e all’istruzione, è una scommessa culturale che si deve vincere, partendo dalle istituzioni più alte fino a quelle locali. Occorre tornare a investire nelle politiche sociali, costruendo un piano a lungo termine adeguatamente finanziato a livello pubblico
Destinare luoghi alla comunità e al mondo giovanile, dove sperimentare esperienze reali di partecipazione e di condivisione, luoghi da trasformare dal basso in palestre civiche di apprendimento, scommettere sulla creatività e sulla ri-generazione dei territori.
Formare figure educative di tutoraggio da inserire nelle scuole, in strada, nei contesti informali, figure di giovani adulti che sappiano intercettare le istanze del mondo giovanile e tradurle in risposte accompagnate;
Dare un reale spazio di rappresentanza politica ai gruppi giovanili, istituendo consigli comunali giovanili permanenti, con ruolo non solo consultivo, ma decisionale, alla presenza di esperti qualificati garanti delle proposte.
Aprire le scuole 24h, al pomeriggio e alla sera con corsi, attività aggregative, opportunità. Perseguire l’obiettivo di “scuola aperta”.
I cinque punti descritti non costituiscono un programma elettorale, ma un’idea sulla quale lavorare, flessibile, contrattabile, da rinegoziare soprattutto con i ragazzi stessi.
“I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo”, Sandro Pertini.
* Docente, formatore e pedagogista, da diversi anni progetta interventi di prevenzione per adolescenti, autore del libro Adolescemi? Manuale di resistenza per ragazze e ragazzi (Ericksonlive, 2021).