di Andrea Ghezzi e Giovanni Caggiati
Lunedì mattina 19 febbraio 2024 nella stazione ferroviaria di Parma è arrivato e si è fermato nel primo binario fino alle 19 “il treno del ricordo”, un vecchio treno adibito a museo, con materiali e filmati, allo scopo di far conoscere la vicenda delle foibe del ’43 e ’45 e dell’esodo istriano giuliano dalmata, avvenuto sopratutto in seguito al trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, da parte di quegli italiani (circa 250.000 mila nel corso di dieci e oltre anni) che scelsero l’Italia anziché restare in quelle zone che col trattato passarono alla nuova Repubblica socialista jugoslava. Un’iniziativa, “il treno del ricordo”, intrapresa dal Governo quest’anno per la prima volta, in linea con la mistificatoria e falsificazionista celebrazione nazionale della ricorrenza del 10 febbraio “giorno del ricordo” introdotta con la legge 92/2004.
Senza mai negare i problemi e il carattere anche drammatico di quelle vicende, tuttavia anche questa volta non possiamo non denunciare con forza il nascondimento delle loro cause prime, dei precedenti, le menzogne nella descrizione delle vicende stesse, e quindi l’obiettivo politico utile al presente di un siffatto “ricordo”. Non si capisce un film vedendone soltanto l’ultima parte, non si capisce la favola di cappuccetto rosso raccontandola da quando il cacciatore ammazza il lupo senza sapere nulla di ciò che accadde prima!
Così in concomitanza con la permanenza del “treno del ricordo” in stazione nel piazzale antistante si è tenuto, organizzato da Officina Popolare, un presidio antifascista di protesta e controinformazione, per far conoscere tutta la storia, la storia precedente, la storia taciuta dell’aggressione della Jugoslavia da parte dell’Italia fascista, della feroce occupazione fascista di suoi vasti territori, con centinaia di migliaia di innocenti morti, sloveni, croati, ecc., e, prima ancora, della politica di italianizzazione forzata e violenta operata nel ventennio dal fascismo nelle zone del confine nordorientale abitate anche da slavi, “razza inferiore e barbara” secondo Mussolini che con queste parole nei loro confronti si espresse già nel 1920, ai tempi delle squadracce fasciste in azione anche, in particolare, contro di loro.
Al presidio alcuni cittadini consapevoli e preparati, tra cui un inglese professore di storia, si sono avvicinati e fermati a parlare con i presenti, fra i quali gli autori di questo articolo, condividendo il valore e la necessità dell’iniziativa al fine di divulgare tutta la storia anziché focalizzare un singolo evento isolandolo dal suo contesto.
Non sono mancati atteggiamenti e reazioni differenti, provocazioni da parte di alcuni, come di coloro che hanno inveito: «Lasciamo perdere queste zecche di merda, dovete vergognarvi!». Naturalmente non ci hanno intimidito, e continueremo l’iniziativa diretta a contrastare l’opera di revisione, anzi di rovesciamento, della realtà storica volta al fine di screditare la Resistenza antifascista e riconsiderare il fascismo. Anzi, ci proponiamo di “riportare alla luce” proprio ciò che, in seguito all’aggressione e occupazione italiana della Jugoslavia dal 1941, accadde qui a Parma nel 1942 e nel 1943: la deportazione e incarcerazione in San Francesco di centinaia di jugoslavi, sloveni in prevalenza, antifascisti, dodici dei quali in carcere morirono. Chiediamo che il Comune di Parma, medaglia d’oro della Resistenza e dai primi anni ’60 gemellato con Lubiana, non dimentichi questo fatto così importante per la nostra città e anzi proprio sulla base di questa memoria storica si attivi per trasformare “il giorno del ricordo” in “giorno dell’amicizia fra i popoli”.