di Samuela Frigeri
In piazza Garibaldi a Parma, la mattina del 25 novembre scorso, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, di fronte ad almeno 7 mila persone, soprattutto giovani e giovanissime studentesse, si sono alternati sul palco diversi interventi. Tra i quali quello di Samuela Frigeri del Centro Antiviolenza di Parma che pubblichiamo per chi non avesse potuto ascoltarlo. E per ricordarci che intanto la violenza contro le donne continua: altre due donne sono state uccise in questi giorni a Salsomaggiore Terme e Andria [ndr].
Oggi in molti/e sono qui per Giulia e per le donne che come lei non sono riuscite a sopravvivere alla violenza maschile. Perché di fronte ad un femminicidio, la rabbia è forte e lo sdegno si manifesta, e tutte e tutti veniamo travolti dalle parole di tanti che trovano ragioni, che spiegano cosa è successo e perché è successo, tanti ne parlano incuranti della storia di quelle donne e delle ragioni della violenza e senza conoscere come nasce e come si alimenta la violenza maschile sulle donne, senza conoscere le storie delle migliaia di donne che ogni giorno cercano di uscire dalla violenza rivolgendosi ai Centri Antiviolenza e di molte altre che non hanno neppure la forza di chiedere aiuto ai Centri.
Per questo noi oggi dobbiamo e vogliamo essere qui per parlare prima di tutto delle sopravvissute, per parlare delle donne che ogni giorno si recano ai Centri Antiviolenza per chiedere aiuto, per raccontare di come queste donne chiedano solo di essere ascoltate e di essere credute e non giudicate.
Perché spesso tutto ciò non avviene e le donne continuano ad essere colpevolizzate, accusate di denunce strumentali, continuano ad essere giudicate come donne e madri proprio nei luoghi, anche istituzionali, in cui, al contrario, dovrebbero trovare supporto ed ascolto.
Vogliamo parlare di quelle donne che vengono discriminate, oppresse e penalizzate ogni giorno a casa, sul lavoro, nelle relazioni affettive ecc.
Perché è per quelle le donne che oggi noi siamo scese in piazza, per dare loro voce là dove voce non hanno e per non doverle ancora sentire: “ma devo morire perché mi credano”!!
Siamo qui per non dover più parlare in futuro di altre donne Giulia, di altre donne uccise in quanto donne.
Ogni donna che chiede aiuto e sostegno per la violenza subita dovrebbe poter contare ogni giorno sulla rabbia e l’indignazione di tutti/e coloro che oggi sono qui in piazza; dovrebbe poter contare su centinaia e migliaia di voci che si uniscono alla sua, dovrebbe contare su istituzioni e presidi fatti da personale informato e formato su cosa significhi violenza sulle donne e dovrebbe poter contare su un racconto di quella violenza patita che rifugge le parole come “raptus” o “depressione” del maltrattante e di chi le uccide.
Allora cominciamo dalle parole perché le parole hanno un valore e le parole nominano le cose e le persone: noi non vogliamo parlare di vittime ma di sopravvissute, di donne che possono ancora trovare in sé la forza per uscire dalla situazione di violenza perché nei loro percorsi troveranno ascolto e saranno credute.
Noi siamo qui perché le migliaia di storie di violenza contro le donne possano emergere e uscire dal silenzio e dalla paura: perché le donne possano smettere di sentire su di loro il peso del giudizio, il peso di una cultura che le costringe a stare dentro “pregiudizi”, dentro a schemi e “gabbie” che altri hanno costruito e definito, siamo qui perché vogliamo dire loro: potete uscire, potete urlare la vostra rabbia e ci troverete lì con voi, al vostro fianco, per sostenervi nella vostra scelta di libertà e autodeterminazione e nel vostro desiderio di esprimere voi stesse.
Alle donne non interessano pene più severe ma la possibilità di scegliere quando e se denunciare e di poter essere messe in sicurezza anche prima di denunciare perché sono credute e non giudicate e non ostacolate nel loro percorso di uscita dalla violenza.
Alle donne non interessano norme emergenziali e securitarie ma vogliono che quelle che ci sono siano conosciute e applicate. Non vogliamo che l’Italia continui ad essere condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) per le sue sentenze misogine o perché non sono state approntate le giuste ed opportune misure a tutela delle donne che hanno denunciato ma che sono state uccise o per la mancata attuazione delle leggi che già ci sono.
Siamo qui perché ci vogliamo vive, libere e in pace.