di Cristina Quintavalla
Questo è forse l’8 marzo più violento e spaventoso di cui io abbia memoria. Quantomeno in occidente. Troppe donne riverse sui corpi di loro cari, barbaramente assassinati da una guerra imperialistica. Troppe donne disperate, in lacrime, le cui vite sono distrutte da bombe, stupri, carcere, naufragi, repressione.
Donne ucraine, palestinesi, kurde, iraniane, siriane, afghane, pakistane, africane: da un continente all’altro del pianeta, le donne, sopravvissute alla mostruosa violenza bianca-patriarcale-capitalista, segnano i territori della devastazione e della morte coi loro corpi martoriati, coi loro occhi che hanno visto ciò che nessuno dovrebbe vedere, ritte sulle macerie, con le mani al volto a strozzare le loro urla al cielo.
Questo è un 8 marzo da non dimenticare, perché la violenza machista ha raggiunto il suo acme: riempie gli arsenali di armi sempre più sofisticate, distrugge tutto quello che il lavoro umano ha costruito, spezza famiglie, toglie futuro ai bambini nati dalla parte sbagliata della storia, permea i giornali, i media, i talk-show del mondo che soffiano sulla guerra, alimentandola e giustificandola, indulgendo sui caratteri tecnici delle armi più sofisticate, dispiegandosi nei macrabi dettagli della loro potenza di fuoco.
Quel “furore di sangue assassino”, denunciato da Romain Rolland alla vigilia della I guerra mondiale, che si avvalse dei “chierici” della guerra, ministri di un culto di morte che costò 60 milioni di caduti e 80 milioni di invalidi, sta nuovamente ammorbando le coscienze, come un virus letale e incontenibile, che vuole sdoganare la guerra, che pure era stata messa al bando dopo un Novecento grondante di sangue, come levatrice della storia.
Da essa – si lascia intendere- nascerà un nuovo ordine mondiale, nuovi rapporti di potere, nuove egemonie economico-finanziarie. Niente di nuovo, beninteso: si tratta di un leit-motiv usato in tutte le guerre. Ma stavolta non bucherà le nostre coscienze così facilmente.
Audre Lorde, femminista afro-americana, poetessa, già nel gennaio 1989 scriveva:
“Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sono i paesi/ più potenti/nel mondo/ ma sono solo 1/8 della popolazione mondiale./ Il popolo africano/ è anch’esso 1/8 della popolazione/ mondiale./ Di questo 1/4 è nigeriano./ 1/2 della popolazione mondiale è asiatico./ 1/2 di esso è cinese./ Ci sono 22 nazioni in Medio Oriente./ La maggior parte delle persone nel mondo sono gialle,/ nere, marroni, povere, donne, non-cristiane/ e non parlano inglese./ Entro il 2000 le 20 città più grandi del mondo avranno una cosa in comune/ nessuna di esse sarà in Europa nessuna negli Stati Uniti”.
Il nuovo sistema di potere sarebbe comunque bianco, maschio, ricco, potente, rigorosamente controllato da una élite senza umanità, che non potrà più in alcun modo giustificare il suo dominio, né continuare ad esercitare a lungo la sua egemonia necrofila.
Il mondo vero sta da un’altra parte.
Sulla battigia di Cutro abbiamo colto la matrice patriarcale, bianca, borghese e capitalista di un potere che “maneggia persone come cose”, che non riconosce alcun valore alla vita umana che non conta, ma pontifica su valori pseudo-occidentali decadenti, presentandoli come universali a quanti appartengono a etnie, ceti sociali, generi ritenuti senza potere alcuno.
Monique Wittig diceva che dobbiamo “studiare politicamente dall’interno la scienza della nostra oppressione”.
Le faceva eco bell hooks: “È un modo di sapere che ci viene attraverso il corpo, ciò che quest’ultimo sa, ciò che viene scolpito profondamente in esso dall’esperienza”.
“La passione dell’esperienza, la passione del ricordo” sono le leve che possono renderci capaci di avere uno sguardo oppositivo sulla realtà, a interrogarci radicalmente per comprendere cosa sta accadendo intorno a noi e nel nostro“intimo”.
È il dolore prodotto dall’oppressione il punto di rottura del sistema. Lo sanno bene le femministe, che ascoltano, raccontano, condividono storie che vengono dai margini, che forniscono strumenti per smontare i fondamenti teoretici del sistema di potere bianco, patriarcale, capitalista, che disfano le grandi strutture del pensiero, imparando e insegnando a leggere il mondo in modo opportunamente rischioso, agendo di conseguenza.
A tuttx noi che restiamo ritte sulla porta, che vigiliamo e lottiamo contro il loro ordine ed il loro potere, che accogliamo e curiamo storie e relazioni, che costruiamo storie di resistenza nella solidarietà, ci accompagnino i versi di Audre Lorde in questo 8 marzo 2023 senza luce:
LITANIA PER LA SOPRAVVIVENZA
Per quelle di noi che vivono sul margine
Ritte sull’orlo costante della decisione
Cruciali e sole
Per quelle di noi che non possono lasciarsi andare
Al sogno passeggero della scelta
Che amano sulle soglie mentre vanno e vengono
Nelle ore fra un’alba e l’altra
Guardando dentro e fuori
E prima o poi allo stesso tempo
Cercando un adesso che dia vita
A futuri
Come pane nelle bocche dei nostri figli
Perché i loro sogni non riflettano
La fine dei nostri
Per quelle di noi
Che sono state marchiate dalla paura
Come una ruga leggera al centro delle nostre fronti
Imparando ad aver paura con il latte di nostra madre
Perché con questa arma
Questa illusione di poter essere al sicuro
Quelli dai piedi pesanti speravano di zittirci
Per noi tutte
Questo istante e questo trionfo
Non era previsto che noi sopravvivessimo
E quando il sole sorge abbiamo paura
Che forse non resterà
Quando il sole tramonta abbiamo paura
Che forse non si alzerà domattina
Quando abbiamo la pancia piena abbiamo paura
Dell’indigestione
Quando abbiamo la pancia vuota abbiamo paura
Di non poter mai più mangiare
Quando siamo amate abbiamo paura
Che l’amore svanirà
Quando siamo sole abbiamo paura
Che l’amore non tornerà
E quando parliamo abbiamo paura
Che le nostre parole non verranno udite
O ben accolte
Ma quando stiamo zitte
Anche allora abbiamo paura
Perciò è meglio parlare
Ricordando
Che non era previsto che noi sopravvivessimo