di Franco Ferrari
Nella prima metà di novembre del 1936 Guido Picelli partì da Parigi e arrivò a Barcellona, dove rimase per alcuni giorni, prima di trasferirsi ad Albacete per istruire e guidare un battaglione di volontari garibaldini da condurre al fronte a Madrid. Come e con chi arrivò in Catalogna? Chi incontrò in quei giorni? Quali erano le sue intenzioni e perché prese la decisione finale di aderire alle Brigate Internazionali? Attorno a questa vicenda si sono accumulate nel tempo ricostruzioni e testimonianze tra loro diverse e per molti versi contrastanti e incompatibili. L’obbiettivo di questo articolo è di provare a mettere in ordine tutte queste testimonianze e teorie, esaminarle criticamente, anche alla luce di documenti disponibili e finora mai esaminati, e provare a chiarire per quanto possibile alcuni aspetti importanti dell’azione di Picelli in un momento cruciale della sua vita politica.
Versioni e testimonianze comuniste
Dobbiamo iniziare con le versioni che vengono da parte comunista e che presentano due storie diverse: una contenuta in un testo pubblico e l’altra in un documento riservato, rimasto sconosciuto per molto tempo.
Nel primo caso abbiamo la ricostruzione di Mario De Micheli, storico dell’arte, scrittore, autore di un libro sulle “Barricate a Parma”, uscito per la prima volta nel 1960 per conto degli Editori Riuniti e poi ripubblicato nel 1972 dalla Libreria Feltrinelli di Parma con una prefazione di Giorgio Amendola.
Il testo di De Micheli ha un carattere divulgativo e in parte agiografico. Non ha un apparato di note quindi molte delle informazioni fornite non sono facilmente verificabili. Oltre alla ricostruzione delle cinque giornate di Parma del 1922, l’autore fornisce altri elementi biografici di Picelli sia precedenti che successivi ai giorni di agosto.
Per quanto riguarda il momento specifico che qui interessa, De Micheli scrive:
“Picelli, via terra, arrivò a Barcellona ai primi di novembre. La stazione rigurgitava di soldati malmessi che salivano sui treni in partenza per il fronte; fuori, la città era piena di bandiere rosse e di bandiere rosse e nere: le bandiere degli anarchici; persino i taxi e i tram erano verniciati di rosso e nero; le Ramblas, lo stupendo e spazioso corso centrale di Barcellona, apparivano invase da una folla di gente in blusa d’operai, in tuta, in strane divise soldatesche; e gli altoparlanti riversavano intorno canzoni rivoluzionarie.
Picelli sentì dentro di sé un’emozione profonda; un nodo, che da anni portava dentro, si stava sciogliendo. Questa era dunque la Spagna, questo era il popolo per il quale anche lui veniva a combattere. L’eccitazione che circolava nell’aria lo prendeva, gli dava quasi una leggera vertigine.
Era arrivato a Barcellona senza neppure una valigia, con l’abito malridotto, la camicia sporca, sgualcita, la barba di parecchi giorni. Gli anni lo avevano in parte mutato: i capelli adesso erano grigi, qualche ruga era apparsa; non erano però mutati gli occhi vivi e il modo rapido, quasi scattante, di muoversi e camminare.
Tirò fuori di tasca una striscia di carta: c’era sopra un timbro e sopra qualche riga. Tutti i volontari che arrivavano a Barcellona avevano una di quelle strisce: presentandola all’Ufficio informazione per gli stranieri, sarebbero stati avviati ad Albacete, centro di raccolta delle Brigate internazionali.
Avenida 14 avril: lì era l’ufficio. Quando Picelli vi giunse trovò, tra i responsabili di quel lavoro, dei compagni italiani, che lo accolsero con grandi manifestazioni di affetto. Gli offersero “un trattamento di lusso”, lo fecero lavare e ripulire e lo portarono anche a mangiare in un ristorante. Saputo del suo arrivo, erano venuti a salutarlo anche altri compagni tornati di fresco dal fronte. Ormai Picelli aveva trovato il suo clima, non si sentiva più stanco, non aveva più bisogno di nulla. Era solo smanioso di raggiungere la sua destinazione.
Due giorni dopo lasciava Barcellona alla volta di Albacete”.[1]
Un racconto ricco di pathos, di dettagli psicologici e riferimenti precisi. Ma andò veramente così?
Per provare a formulare una risposta dobbiamo confrontare quanto scritto da De Micheli con un documento riservato, contenuto nell’archivio del Comintern, tra i molti faldoni dedicati alle Brigate Internazionali, che porta la doppia firma di Pavanin e Edo (ovvero Edoardo D’Onofrio) ed è datato 21.8.1940.
Una volta terminata la guerra civile spagnola Pavanin aveva compilato una serie di brevi note caratteristiche su tutti i volontari italiani. Tra queste spicca quella dedicata a Picelli per la sua lunghezza (una intera pagina dattiloscritta), perché scritta in francese e non in italiano come le altre e anche perché veniva sottoscritta insieme a D’Onofrio (“Edo”), il cui ruolo politico era gerarchicamente superiore a quello di Pavanin.
Questo documento racconta un’altra storia. A Parigi, Picelli era entrato in conflitto col Centro Estero del Partito Comunista perché, “impaziente”, avrebbe voluto il comando di una Brigata per poter applicare “certe idee militari alla lotta di Spagna”. Questo scontro avveniva subito dopo la metà di ottobre. Picelli aveva attraversato in treno la frontiera tra l’Urss e la Polonia il 14 ottobre, quindi il suo arrivo in Francia deve essere collocato due o tre giorni dopo. In quel momento le Brigate Internazionali e il Battaglione Garibaldi non erano formalmente costituiti. Per le prime si attendeva l’autorizzazione del governo spagnolo dato che sarebbero state inserite nell’esercito repubblicano, per le seconde si procederà ad un patto sottoscritto da comunisti, socialisti (la fazione aderente all’Ios, guidata da Pietro Nenni) e repubblicani. “Non comprendendo che tutto questo (ndr: la realizzazione di determinati principi militari) non dipendeva solamente da noi egli si arrabbiò e si legò ogni giorno di più con degli elementi massimalisti e poumisti che gli promettevano di soddisfare i suoi desideri. E’ così che Picelli pur essendo d’accordo con noi per andare alla brigata “Garibaldi”, improvvisamente, senza avvertire nessuno partì per la Spagna con i massimalisti e i poumisti”.[2]
A parziale conferma di questa ricostruzione, nella documentazione del Comintern figurano due fogli contenenti la lista di coloro che dovevano partire per la Spagna il 30 ottobre del ’36. Nel primo foglio compare, aggiunto a mano, il nome di Picelli quale “capo gruppo”, successivamente cancellato con una riga a penna. Nel secondo foglio, redatto evidentemente dopo il precedente, il nome di Picelli compare tra coloro che quel giorno non erano partiti.[3]
Sulla presenza di Picelli a Barcellona, scrivono Pavanin e D’Onofrio: “Egli soggiornò qualche giorno nella caserma della divisione “Lenin” che era patrocinata dai poumisti e attendeva che le promesse che gli erano state fatte si realizzassero. Nel frattempo, i nostri compagni del Partito, a Barcellona riuscirono a contattarlo e a fargli comprendere la stupidaggine che aveva commesso. Picelli, immediatamente, partì per Albacete per andare nella Brigata “Garibaldi”.[4]
Ci troviamo in presenza di due ricostruzioni, in sé coerenti e lineari ma del tutto contrastanti. Nella prima Picelli si reca in Avenida 14 avril per poi andare ad Albacete. Nella seconda arriva a Barcellona per arruolarsi nella milizia del POUM e solo quando è sul posto si convince a tornare con le Brigate Internazionali che avrebbe dovuto raggiungere, con un gruppo di una decina di volontari italiani, già alla fine di ottobre.
Oltre a partire per Albacete, Picelli, secondo quanto riferito da un documento contenuto nel suo fascicolo presso il Comintern:
“sul suo errore ha scritto al Comitato Centrale del PCI, dichiarando i fatti e facendo autocritica. Il CC del PCI ha deciso di non adottare alcuna misura disciplinare e di aspettare quale sarebbe stato il suo comportamento al fronte – ha preso parte rilevante nella battaglia contro i fascisti spagnoli ed eroicamente morto tra le fila delle milizie spagnole.”[5]
Per cercare di completare questo quadro, dobbiamo inserire altre due testimonianze di volontari comunisti che hanno preso parte alla guerra civile spagnola.
Giovanni Pesce, che diventerà famoso come il partigiano “Visone”, in un libro intervista del 2005, racconta di aver incontrato Picelli a Figueras. Ricorda che il suo viaggio iniziò il 17 novembre 1936 con una ventina di altri compagni. “Partimmo in treno da Alès, divisi, io in uno scompartimento, altri in un altro e così via. Si doveva passare la frontiera sui Pirenei. Scendemmo a Perpignano, l’ultima tappa francese del viaggio. Un compagno ci accompagnò vicino alla rete. C’era uno spagnolo che parlava francese che era incaricato di controllare i documenti. Per il governo francese, andare a combattere con la repubblica spagnola, transitando per il suo territorio era un fatto illegale, ma fece finta di niente.”
Per questo viaggio, prosegue Pesce, “ci volle una giornata intera in treno” e la prima tappa fu Figueras, “una bella cittadina con le colline alle spalle e su quella più alta, un grande castello con le torri merlate e le mura di difesa. Il castello già zeppo all’inverosimile di volontari, ospitava la sede dell’Ufficio ricezione dei volontari dove Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Leo Valiani e Andrè Marty avevano il compito di arruolare i primi combattenti.” Tra i primi incontri di cui ricorda Pesce figurano quelli con Guido Picelli, Dario Barontini, Felice Platone. “Con Picelli – aggiunge – parlai in francese, perché l’italiano lo conoscevo, come detto, pochissimo.”[6]
Picelli si sarebbe quindi trovato nella cittadina di Figueras il 18 o il 19 novembre. Nel suo libro del 1955, “Un garibaldino in Spagna”, Pesce non fa riferimento ad incontri con Picelli o con gli altri esponenti comunisti di cui parlerà nella testimonianza più tardiva. La permanenza di Pesce a Figueras fu molto breve. Infatti, venne dato immediatamente il preavviso per la partenza per il giorno successivo, che avvenne in treno nel pomeriggio.[7] Poteva essere effettivamente presente Picelli in quelle giornate nella cittadina di confine? Nel caso di un altro tra coloro che Pesci nominerà nei suoi ricordi, la contemporanea presenza a Figueras si può escludere perché Barontini (“Ilio”) figura nella lista dei partenti da Parigi del 21 novembre.[8] Quindi non avrebbe potuto trovarsi a Figueras prima del 22 o del 23, quando Pesce era già partito. Più difficile dare una risposta nel caso di Picelli ma non si può escludere che il garibaldino abbia collocato in quel momento un incontro avvenuto successivamente ad Albacete.
Prima di trarre una conclusione definitiva su questo punto dobbiamo però dar conto di un’altra testimonianza: quella di Vittorio Bardini, un comunista toscano che nel dopoguerra avrà importanti incarichi politici, tra cui quello di parlamentare. In occasione della commemorazione di Picelli organizzata dall’ANPPIA a Parma nel 1967 alla presenza di Umberto Terracini, Bardini, impossibilitato a partecipare, ricordava di avere avuto una sola occasione per conoscere il comunista parmense. “Lo incontrai personalmente quando dalla Francia si passò la frontiera per andare in Spagna a combattere nelle fila delle Brigate internazionali. Guido Picelli raggiunse il Battaglione Garibaldi ed io la Batteria A. Gramsci. Da quel momento non lo rividi più perché quando ci incontrammo col Battaglione Garibaldi per trasformarsi in Brigata egli era già caduto sul fronte di Madrid e da valoroso capitano.”[9]
Secondo le liste dell’archivio del Comintern, Bardini figura fra coloro che partirono dalla Francia il 21 ottobre (nello stesso gruppo di Barontini). Quando indica come luogo dell’incontro “la frontiera per andare in Spagna” si pensa ancora alla cittadina di Figueras anche se in un momento di qualche giorno successivo a quello del passaggio di Pesce.
Nella sua autobiografia, pubblicata nel 1977, Bardini non fa riferimento all’incontro con Picelli e in ogni caso non fa cenno ad una fermata a Figueras. Nel ricostruire il suo viaggio dalla Francia alla Spagna scrive:
“Partimmo da Parigi nottetempo, a gruppi, dalle varie stazioni della capitale francese. Noi partimmo dalla stazione Saint Lazaire diretti a Perpignano nei Pirenei orientali al confine con la Catalogna. Eravamo circa un migliaio. Ci fecero sostare in grandi fondi. Partimmo il giorno successivo per Barcellona, pernottammo per poi successivamente partire per Albacete, città sede della Brigate internazionali. Dopo pochi giorni, con altri italiani e francesi, si formò una batteria d’artiglieria comandata da un capitano proveniente dall’esercito italiano, un certo Perugini di Borgo San Sepolcro. Raggiungemmo il fronte di Teurel in Aragona.”[10]
Pesce partecipò all’attività del Battaglione Garibaldi ed è quindi molto probabile che abbia avuto un contatto diretto con Picelli ad Albacete o successivamente. Non sarebbe quindi strano che, ricostruendo quegli avvenimenti diversi decenni dopo abbia potuto confondere la sede di quell’incontro. Per quanto riguarda Bardini dal confronto delle due ricostruzioni non si scioglie interamente il dubbio su dove possa essere avvenuto questo incontro, ma la sede più probabile anche in questo caso è Albacete.
Gli informatori fascisti
Il regime fascista poteva contare su un gran numero di informatori che seguivano ossessivamente tutto ciò che avveniva nell’emigrazione antifascista, gran parte della quale era concentrata in Francia. Le notizie che venivano inviate a Roma erano a volte contraddittorie anche perché frutto di voci e pettegolezzi raccolti nei vari ambienti degli oppositori al fascismo, se non vere e proprie invenzioni.
Occorre quindi considerare che agenti e informatori forniscono informazioni quasi certamente deformate ma avevano sicuramente raccolto voci sul conflitto che si era aperto tra Picelli e il Centro estero comunista, di cui darà conto il documento postumo di Pavanin e D’Onofrio che abbiamo esaminato sopra. Il brigadiere della polizia italiana Pietro Francolini scriveva il 3 novembre da Parigi:
“da qualche giorno il famoso ex deputato Picelli Guido fu Leonardo è giunto a Parigi, proveniente da Mosca. Dicono che abbia una buona istruzione militare. Partirà fra breve per la Spagna. Il Picelli si spaccia però come dissidente verso la politica moscovita e cerca di farsi incorporare nel POUM. Si è recato da Mariani (ndr, pseudonimo di Elmo Simoncini, segretario del PSI Massimalista) per parlare con Gorkin il quale però si trova già a Bruxelles. Così Picelli partirà per detta città onde avere un abboccamento con Gorkin e quindi farsi raccomandare per entrare nel POUM. Ciò è stato deciso il giorno 31 nella sede del partito socialista massimalista. Dunque il governo di Mosca manda anche funzionari italiani in mezzo al POUM per assorbirlo e crearlo strumento della volontà.”[11]
Questa tesi del Picelli infiltrato per ordine di Mosca viene ribadita anche da Bellavia, altro informatore, in un rapporto del 10 novembre: “Il Picelli avrebbe avuto da Mosca l’incarico d’influenzare il POUM e orientarlo verso la politica moscovita”.[12] Si tratta però di un’ipotesi scarsamente credibile, mentre sono indubbiamente confermati e coincidenti con altre fonti, tra cui quelle interne al Partito Comunista, i contatti con i Socialisti Massimalisti e attraverso questi con il POUM.
Alcune informazioni vengono fornite da Alessandro Consani, che era uno dei massimi dirigenti dei Massimalisti, ma anche “spia” dell’OVRA. Ai primi di novembre scriveva che “la sua partenza per la Spagna è stata facilitata dal partito massimalista e da Gorkin.” In un messaggio successivo alla morte ricordava che Picelli “era partito con lettere massimaliste di presentazione per il POUM che lo aveva incaricato di comandare una sua colonna.” [13]
Sulla data esatta della partenza di Picelli per la Spagna, gli informatori fascisti forniscono elementi contraddittori. Bellavia scrive che sarebbe partito il 31 ottobre, mentre Consani scriveva il 9 novembre che la partenza per Barcellona era avvenuta “ieri l’altro”, quindi il 7 novembre.[14]
A queste informazioni dobbiamo aggiungere quella contenuta in un documento che porta la firma del Direttore Capo Divisione della Polizia Politica De Stefani, datato 13 novembre. In coda ad altre notizie relative alle attività dei Massimalisti, De Stefani scrive: “Gorkin, rientrato a Parigi, ha preso accordi coll’ex deputato comunista Picelli Guido nel senso che il Picelli partirà quanto prima per Barcellona per prendervi il comando di una compagnia di miliziani.”[15]
Questo documento, molto circostanziato, consente di collocare l’incontro tra Gorkin e Picelli agli inizi di novembre, tra il ritorno del dirigente poumista da Bruxelles dove aveva partecipato al Congresso del Bureau dei partiti e gruppi “socialisti rivoluzionari” (dal 31 ottobre al 2 novembre) e il 13 novembre, data di stesura di questo appunto. Pertanto la notizia fornita dal Bellavia, che forse ha raccolto voci sulla prevista partenza di Picelli per le Brigate Internazionali d9i fine ottobre, poi saltata sembra poco affidabile. Gorkin in una successiva testimonianza, sulla quale torneremo, riferendo dell’incontro di Parigi scrive: “gli fissai un appuntamento per qualche giorno dopo.”
Un rapporto di Consani ci fornisce un’altra informazione importante relativa al comportamento di Picelli quando si trovava a Barcellona. Il 7 gennaio 1937 scriveva: “poche ore prima della sua partenza per Huesca ha incontrato non sappiamo quale suo amico comunista e, piantando in asso gli impegni assunti col POUM, si è recato a Madrid, nella colonna internazionale”. Dove per “colonna” si intendono evidentemente le Brigate internazionali.[16] Per Consani quindi non vi sono dubbi che la decisione di Picelli sia del tutto volontaria. Il brigadiere Francolini, sempre da Parigi dove raccoglie voci che circolano negli ambienti antifascisti (e che forse gli stessi informatori fascisti contribuiscono a far circolare): “dicono che appena arrivato a Barcellona, dove doveva combattere per il POUM, una misteriosa automobile l’abbia immediatamente trasportato a Madrid”.[17]
L’Avanti!, giornale rimasto sotto il controllo dei massimalisti dopo le varie scissioni che hanno colpito il vecchio PSI, sollevò pubblicamente il tema dei rapporti intrattenuti con Picelli tra la Francia e la Spagna nel necrologio che dedicherà a Picelli dopo la morte.
L’articolo, anonimo, racconta che “Picelli era stato fra noi fino al momento della sua partenza. Qualche dissidio tattico col suo Partito (ndr ovvero il Partito Comunista) e la sua irriducibile volontà di accorrere a combattere per la causa della Rivoluzione Spagnola l’avevano avvicinato a noi, alla ricerca del mezzo migliore per realizzare il suo sogno. In Spagna s’era riconciliato col suo partito ed è caduto da eroe alla testa del battaglione di cui era vice-comandante, nei dintorni di Madrid (…) Era tornato dalla Russia più ardente che mai per la causa della Rivoluzione proletaria, irrequieto e preoccupato per gli errori del suo partito, ma deciso a dare tutto sé stesso per la causa.” [18]
Una ricostruzione del tutto compatibile con quella fornita nel documento riservato di Pavanin e D’Onofrio ed anche con l’informativa di Consani. Un riconoscimento importante perché proviene da una fonte che sostiene apertamente la politica del POUM, con il quale intrattiene stretti contatti.
Questo commento pubblicato dai Massimalisti è tanto più significativo perché, come scrive Sigfrido Sozzi: “A Barcellona (ndr. Simoncini alias Mariani) giunge proprio il giorno in cui viene diffusa la notizia della morte di Guido Picelli, vicecomandante del battaglione Garibaldi e comandante della prima compagnia. Con mestizia avrà ripreso il ricordo della snella, alta figura del nobile parmigiano, da lui incontrato presso Gorkìn a Parigi, quando presero accordo per affidargli <il comando di una compagnia di miliziani>”.[19]
Mariani rientra a Parigi il 24 gennaio dove presenta alla sezione del Massimalisti parigini una relazione critica dell’atteggiamento del governo sovietico, in linea con la posizione del POUM. Non riporta alcuna informazione di sospetti sulla morte di Picelli che sarebbero in evidente contrasto con quanto scritto pochi giorni prima sul giornale massimalista.
Le voci della “guerra fredda”
Allontanandosi nel tempo dagli eventi, le giornate di Picelli diventano oggetto di ben altre e più sinistre ricostruzioni, soprattutto da parte di coloro che sostengono la teoria del complotto in relazione alla sua morte.
Nel 1953, in occasione della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento italiano, venne portato in Italia, per una tournée di conferenze stampa e comizi, Valentin Gonzales, detto “el Campesino”. Nella guerra civile spagnola era stato uno dei più noti comandanti comunisti, anche se poi era stato progressivamente allontanato da ruoli di primo piano per la sua brutalità e per la scarsa competenza militare. Esiliato in Unione Sovietica era entrato in conflitto con le autorità e si era trovato spedito in estremo oriente. La sua emarginazione non era dovuta tanto ad un suo “antistalinismo”, più presunto che reale, quanto ad un comportamento che lo avvicinava al sottobosco criminale [20].
Era riuscito ad attraversare la frontiera e a fuggire in Iran, dove i locali servizi segreti lo “cedettero” a quelli degli Stati Uniti. Fu Julian Gorkin, ex dirigente del POUM, espulso dal partito nel 1949, passato a lavorare per il Congresso per la Libertà della Cultura, una struttura finanziata e diretta dalla Cia destinata ad arruolare intellettuali, preferibilmente di sinistra, nella Guerra Fredda con l’Unione Sovietica, ad accertarne l’identità in Germania.
Gorkin era il vero autore della autobiografia firmata da Valentin Gonzales che era stata ampiamente diffusa a livello mondiale grazie alla rete di contatti di cui disponevano i servizi statunitensi.[21] L’evoluzione dell’ex dirigente poumista da militante della sinistra antistalinista marxista a propagandista anticomunista della guerra fredda gli procurò il disprezzo di alcuni dei suoi ex compagni come Juan Andrade che, in una lettera del luglio del 1949 scriveva: “E’ disposto a vendersi al miglior offerente pur di ottenere denaro. La vera vergogna è che un tipo simile abbia potuto essere segretario generale del nostro partito.”[22]
Valentin Gonzales, fra le sue varie dichiarazioni, tutte finalizzate a portare elementi alla campagna anticomunista della Democrazia Cristiana, tirava in ballo anche Picelli. In particolare raccontava la sua versione su quanto sarebbe accaduto a Picelli nei giorni di Barcellona. Secondo il Corriere della Sera del 6 maggio 1953, Gonzales sosteneva che “Giulio Gorkin (un altro ex-comunista) dovette farlo proteggere e condurlo a Barcellona per una via segreta. Ma non servì. Bastò che la scorta lo abbandonasse per un attimo: egli venne prelevato e portato via da tre uomini, fra i quali il Vidali.”[23]
Gonzales, che non poteva essere un testimone diretto di questi eventi, era accompagnato nel suo giro propagandistico dallo stesso Gorkin. Si può ragionevolmente ritenere, quindi, che il vero autore di questa narrazione fosse quest’ultimo, che svolgeva il ruolo di suggeritore del primo.[24]
Questa precisazione è importante, perché poi Gorkin, presenterà a suo nome una testimonianza dello stesso evento diversa da quella esposta dal “Campesino”. Questa versione è contenuta in vari libri pubblicati dall’ex dirigente del POUM. Riprendiamo la versione contenuta in “El proceso de Moscù en Barcelona: el sacrificio de Andres Nin”, pubblicato nel 1974.
Scrive Gorkin:
“lo incontrai al nostro Comitato Esecutivo il giorno stabilito. E decidemmo di mandarlo al fronte col grado di capitano. Poteva già partire, due ore dopo, con l’aiutante del nostro comandante José Rovira, che si trovava casualmente lì. Si mostrò d’accordo su tutto. Mentre metteva il piede sulla predella dell’automobile, non lontano dall’Hotel Colòn, dov’era insediato il Comitato Centrale dello PSUC, si avvicinò a lui uno straniero che lo invitò a seguirlo un attimo. Non lo vedemmo più.”
Gorkin sosteneva che l’NKVD avrebbe pedinato Picelli dopo il colloquio avuto a Parigi con l’esponente del POUM e aggiunge:
“Non avevo dubbi nemmeno sul fatto che lo avessero obbligato con le peggiori minacce, a trasferirsi ad Albacete, dove era rimasto circa un mese e mezzo sottoposto alla disciplina delle Brigate Internazionali. Lo avevano mandato a combattere sul fronte di Madrid, dove era caduto il giorno stesso in cui era entrato in battaglia”[25].
La seconda versione di Gorkin differisce sensibilmente dalla prima riferita da Valentin Gonzales. Scompare la scorta che doveva difendere Picelli. I tre uomini, tra cui Vidali, diventano uno solo, un anonimo “straniero”. Definizione per altro ambigua: straniero per Gorkin, quindi poteva essere anche un italiano, o straniero per Picelli, quindi non si può escludere nemmeno che fosse uno spagnolo? Tutta la ricostruzione, che affida un ruolo di primo piano all’NKVD, i servizi segreti sovietici, sembra alludere ad un agente di Mosca.
Sappiamo che tutte le affermazioni successive di Gorkin su Picelli tenuto quasi prigioniero per un mese e mezzo ad Albacete, così come la morte avvenuta il primo giorno di entrata in battaglia e il carattere “minaccioso” del suo funerale a Barcellona sono pure invenzioni.
Va rilevato che, a nostra conoscenza, questa ricostruzione sul passaggio di Picelli a Barcellona non è mai stata avanzata da Gorkin nelle settimane o nei mesi successivi agli eventi. E come abbiamo visto contrastano anche con quanto scritto subito dopo la morte di Picelli dall’Avanti! massimalista nel momento in cui il segretario di questo Partito si trovava proprio nella città catalana.
D’altra parte Gorkin non è considerato un autore particolarmente attendibile dato anche il suo impegno diretto nella propaganda ideologica anticomunista. In riferimento ad altre vicende, relative ai presunti crimini di Vittorio Vidali, Patrick Karlsen, rileva come “più avanti negli anni, Gorkin avrebbe arricchito il nucleo del suo racconto con ulteriori dettagli romanzeschi, che avrebbero esercitato una forte presa sull’immaginazione di artisti e storici”. Lo storico aggiunge anche una considerazione di ordine generale che, benché non riferita specificamente alla biografia di Picelli, può valere come criterio per valutare le varie ricostruzioni dei teorici del complotto.
“La disciplina vorrebbe che al genere della memorialistica ci si accosti con filtro critico e specifiche metodologie di analisi, in grado di cogliere sia le potenzialità sia le ambiguità inerenti all’oggetto. Se nei confronti della memorialistica comunista tale atteggiamento critico è stato spesso correttamente applicato alla storiografia, non si può dire lo stesso della memorialistica trockista-libertaria (inserirei in questo genere le opere di Gorkin, malgrado l’apparenza di ‘inchieste’), nei confronti della quale la soglia di ‘indulgenza’ e preventiva disponibilità ad accordare attendibilità è stata in generale assai più alta.”[26]
Se confrontiamo la testimonianza di Gorkin, depurata dalle probabili invenzioni, con il documento di Pavanin e D’Onofrio sembra confermato che la decisione di Picelli di rinunciare ad andare a combattere nelle milizie del POUM a Huesca sia stata improvvisa e seguita ad un colloquio con qualche esponente del Partito Comunista.
Una versione anarchica
Dobbiamo ora esaminare un’altra testimonianza che ci porta agli stessi momenti ma ci indica una direzione completamente diversa. Si tratta in questo caso di una fonte anarchica, riportata da Gianni Furlotti nel suo libro “Parma libertaria”.
Il testimone è Francesco Fortini, triestino che scrive al suo concittadino Umberto Tommasini, anarchico, in data 19 febbraio 1967. L’incontro fra Fortini e Picelli avrebbe avuto luogo a Barcellona ed è collocato a metà dicembre del ’36. Si può escludere che quella possa essere la data corretta, perché in quei giorni Picelli era impegnato in battaglia con il Battaglione Garibaldi.
Scrive Francesco Fortini, secondo quanto riportato da Furlotti:
Caro Umberto, (…) tu mi dici di spiegarti cosa è passato fra me e il povero Picelli. Ora ti spiego come si passò il fatto. Veniva da arrivare me e Mutelo in permissione di 8 giorni e andavamo a mangiare in un ristorante in Caglié Scordiglieri a qualche metro del Hotel Falcon dove vi era la centrale del POUM e lì si trovava(no) tutti i compagni che lavoravano a Barcellona fra questi (Pace) e (Giechetta il veneziano).
Stavamo mangiando quando un compagno socialista mi presentò Picelli e (ci) mettiamo a parlare, e quando il compagno le disse chi ero mi disse che mi conosceva per aver sentito parlare di me a Mosca. Ma quando seppe che il mio comandante era C(i)eri venne tutto rosso dalla gioia e mi disse che sarebbe partito con me al fronte. Io le risposi che venivo da arrivare, ma che se voleva partire in serata, lo avrei accompagnato alla Caserma Pedralpe, e di lì i compagni lo avrebbero fatto partire, e fu d’accordo che dopo mangiato (ci) sarebbe andato. Perché come ho compreso era pressato di scomparire da Barcellona.
Quando in un colpo la porta si apre e due staliniani che tu conosci bene essendo due triestini, uno è Lino il Biondo, e l’altro mi sfugge il nome.
Vennero subito al mio tavolo salutarono solo me e ordinarono a Picelli di seguirli all’Hotel Colon.
Nel locale vi fu un silenzio terribile e Picelli venne bianco, e li seguì docilmente, senza aver finito di mangiare e fu Lino che pagò.
Fu solo una settimana dopo che seppi che fu ucciso alle spalle alla moda dei Gangster di Chicago. (…)
Quando ti dico che li conosci è perché a Parigi vivevano in Rue Crimea sopra dove Guerino il sarto Triestino aveva la Botega. Ti ricordi? erano sempre lì da lui.”[27]
Quanto è affidabile questa testimonianza oculare? Abbiamo già rilevato che la tempistica è incompatibile con fatti assolutamente certi. Un incontro siffatto potrebbe essere avvenuto solo attorno alla metà di novembre, quando Picelli si trovava effettivamente a Barcellona. Anche se a novembre Fortini aveva lasciato la Colonna Italiana dell’Ascaso ed era stato incorporato nel battaglione Pi y Margall, quindi Cieri non era più il suo comandante.[28]
Nei giorni in cui Picelli era a Barcellona e presumibilmente si trovava presso l’Hotel Falcon avrebbe potuto benissimo recarsi in una trattoria di Calle Scordiglieri, che è effettivamente vicina, accompagnato da un altro militante socialista (massimalista). Sappiamo che Picelli era a conoscenza della presenza di Cieri in Spagna, perché è lo stesso miliziano anarchico, che aveva partecipato alle Barricate del ’22, a scrivere sul giornale comunista pubblicato a Parigi “Il Grido del Popolo” nel marzo del ’37: “In novembre scorso, l’amico Rosselli (ndr: Carlo, leader di Giustizia e Libertà) mi informava di aver parlato con Picelli, a Barcellona e mi portava i suoi saluti.” [29] Sembra improbabile che essendo a conoscenza di questo fatto, Picelli abbia poi deciso improvvisamente, dopo aver lasciato le Brigate Internazionali per il Poum, anche a lasciare, su due piedi, il Poum per l’Ascaso. La Caserma Pedralbes era nota anche come Caserma Bakunin, in quanto principale punto di riferimento per i volontari anarchici.
La ricostruzione di Fortini va considerata una testimonianza diretta di qualcuno che racconta ciò che avrebbe visto ma risulta incompatibile con quella di Gorkin, anch’egli dichiaratamente testimone oculare del momento in cui Picelli sarebbe stato contattato e convinto o piuttosto costretto ad entrare nelle Brigate Internazionali.
Ci si deve chiedere anche come mai questa vicenda rappresentata a tinte forti e che sarebbe avvenuta in un contesto pubblico, in presenza di molti testimoni, non trovi alcuna eco tra i miliziani anarchici dell’Ascaso. Non abbiamo solo l’articolo scritto da Cieri per il settimanale comunista “Il Grido del Popolo”, ma anche la più tardiva testimonianza di Giuseppe Bifolchi, anch’egli anarchico, che combatteva con la colonna italiana sul fronte di Huesca. In un articolo pubblicato negli anni ’80, Bifolchi scrive:
“Ai primi di dicembre la Colonna entrò in crisi. Molti dei volontari erano abbagliati dalle notizie ch’essi leggevano sugli avvenimenti delle Brigate Internazionali ed in particolare del loro “Battaglione Garibaldi”, che aveva avuto il battesimo del fuoco in Madrid. Alcuni di loro avrebbero voluto andarsene lì; e subivano inoltre pressioni per farlo.
Alcuni, approfittando del passaggio da Barcellona dell’avvocato comunista Guido Picelli, si recarono a lui per con lui marciare ad incorporarsi nelle Brigate. Tra di essi il professore Jacchia.”[30]
Anche qui la datazione dei fatti, affidata alla memoria, presenta qualche incongruenza. Inoltre sappiamo che Picelli non era avvocato (forse Bifolchi confonde con deputato), ma risulta evidente che fra i combattenti dell’Ascaso non arrivò notizia di un presunto desiderio di Picelli di andare a combattere con loro, ma semmai accadde l’esatto contrario.
C’è un ultimo punto, del racconto di Fortini, che dobbiamo esaminare. E’ possibile che effettivamente a parlare con Picelli a convincerlo (non certamente ad ordinargli) di rientrare nelle Brigate Internazionale fossero due comunisti triestini, tra cui “Lino il Biondo”?
Dall’esame del database dell’Aicvas, l’unico Lino comunista triestino è Lino Zocchi. Difficile dalle foto capire se potesse essere considerato “biondo” (forse castano chiaro), sappiamo però che attorno alla metà di novembre si trovava effettivamente a Barcellona per farsi curare dopo essere stato ferito in combattimento. Lo scrive sul “Grido del Popolo”, annunciando che poco dopo se ne sarebbe andato a Mosca, così come avevano deciso “i compagni”[31]. Ma Zocchi era un giovane combattente senza ruoli significativi nel partito. Improbabile che avesse l’autorità per parlare a Picelli, molto più anziano di lui e con un curriculum politico ben altrimenti significativo.
Si potrebbe pensare che l’altro triestino citato da Fortini possa essere Vittorio Vidali. Si tratta però di figura troppo nota, soprattutto a Trieste, per potersene scordare il nome. Inoltre Vidali non arrivò in Spagna da Parigi bensì da Mosca.
Con chi parlò Picelli a Barcellona?
La domanda: “chi parlò con Picelli per convincerlo a riprendere i contatti col PCI?” trova quindi molteplici e contraddittorie risposte.
Per Alessandro Consani aveva incontrato “un suo amico comunista”. Per Pavanin e D’Onofrio erano stati “i nostri compagni del Partito”, si direbbe già presenti a Barcellona, a contattarlo. Nella prima versione di Gorkin (detta tramite Gonzales) era stato praticamente rapito da “tre uomini, uno dei quali Vidali”. Nella seconda versione di Gorkin si tratta di “uno straniero” (presumibilmente un agente sovietico dell’NKVD) che lo porta nelle Brigate Internazionali con “le peggiori minacce”. Per la versione diffusa dall’anarchico Furlotti, erano stati “Lino il Biondo e un altro triestino” ad ordinargli di seguirlo.
A questa lista dobbiamo aggiungere un’altra versione fornita da Giancarlo Bocchi, il quale scrive, nel suo volumetto che accompagna il documentario dedicato a Picelli:
“Il vecchio compagno e amico Ottavio Pastore, viene mandato in missione a Barcellona per convincere “Il Ribelle”, l’unico vero comandante militare del Partito Comunista d’Italia, ad aderire alle Brigate Internazionali. Picelli, pur consapevole dei rischi che ormai corre con gli stalinisti dopo i suoi contatti con il Poum, accetta l’offerta di comandare una formazione italiana, espressione di quel Fronte unico antifascista nel quale ha sempre creduto e dove sono arruolati molti dei suoi Arditi del popolo di Parma.”[32]
Abbiamo quindi l’ingresso sulla scena di Ottavio Pastore, ex redattore dell’Ordine Nuovo, che si trovava a Mosca, dove aveva avuto anche occasione di insegnare alla Scuola Leninista Internazionale e dove utilizzava lo pseudonimo di “Carlo Rossi”. Bocchi non fornisce alcuna fonte a supporto di quanto scrive.
Riprendendo il tema in un articolo successivo sulla Gazzetta di Parma, conferma l’arrivo di Pastore, in questo caso aggiungendo però un, vago, riferimento alla fonte.
“Nessun mistero – scrive – anche sul successivo passaggio di Picelli dal Poum alle Brigate Internazionali (ndr Bocchi omette che Picelli non passò solo alle Brigate Internazionale ma riprese contatto con il Partito Comunista). Non fu organizzato da “misteriosi personaggi” come scritto in un libro sui volontari in Spagna, uscito di recente con un’antologia di errori. Fu Ottavio Pastore, che conosceva Picelli fin dalle Barricate di Parma, che convinse il comandante parmigiano a lasciare il Poum. Quello che si dissero fu pubblicato negli anni ’50 su l’Unità, il giornale che Pastore dirigeva all’epoca”[33].
Pastore, per la precisione, diresse l’edizione piemontese dell’Unità nel 1947 e 1948. Da una nostra ricerca della collezione digitalizzata dell’Unità nazionale, come dell’edizione torinese (anch’essa digitalizzata), non è risultato alcun articolo in cui si facesse riferimento a questo colloquio fra Pastore e Picelli a Barcellona. E’ invece verificabile quanto scrive Ottavio Pastore nel 1953 sull’Eco del Lavoro, il settimanale della federazione comunista parmense:
“Guido Picelli l’ho visto l’ultima volta a Mosca quando mi chiese di aiutarlo ad affrettare la sua partenza per la Spagna. Nel tranquillo ed elegante caffè Puskin parlammo a lungo, rievocando fatti e uomini, ricordando Roma e i suoi tiepidi inverni- attraverso le doppie vetrate intravvedevamo la neve cadere senza posa e discutemmo dell’avvenire.” [34]
Si può escludere che Pastore, nello stesso torno di tempo, abbia potuto dare due versioni contrapposte dei suoi contatti con Picelli, sostenendo da un lato di averlo incontrato per l’ultima volta a Mosca e dall’altro di avergli poi parlato a Barcellona.
Nella versione di Bocchi, a differenza di quella di altri teorici del complotto sulla morte di Picelli che abbiamo citato (Gonzales, Gorkin e Fortini), Picelli rinuncia spontaneamente ad entrare nelle milizie del POUM per recarsi ad Albacete e far parte di una formazione italiana delle Brigate Internazionali. Non vi è quindi né rapimento, né minaccia. Lo avrebbe fatto per due ragioni: perché tale scelta sarebbe stata coerente con l’idea del “Fronte unico antifascista” e “dove si sono arruolati molti dei suoi Arditi del popolo di Parma”[35]. Su questo secondo punto, lo stesso autore, in un’intervista a Repubblica Parma del giugno 2022, smentirà se stesso sostenendo che: “in passato alcuni storici locali accreditarono la storia che l’eroe delle Barricate in Spagna fosse circondato da antifascisti parmensi. Stando al documento (una lista dei componenti della prima compagnia del Garibaldi ritrovata nell’Archivio generale militare di Avila) invece nella sua compagnia vi erano solo tre parmensi.”[36]
Un tentativo di ricostruzione dei fatti
A Parigi, Picelli entra in contrasto con i dirigenti del PCI. “Dissensi tattici” col suo partito, scriverà l’Avanti massimalista. Volontà di portare in Spagna alcune sue idee sul modo migliore per combattere il fascismo sul piano militare e desiderio di disporre con questo obbiettivo di un ruolo adeguato. Dopo essere riuscito a lasciare l’Urss per potersi recare finalmente in prima fila per combattere il fascismo sul terreno che riteneva più congeniale e necessario, Picelli evidentemente mal sopportò gli inviti alla prudenza da parte dei dirigenti del suo Partito. D’altra parte in quel torno di tempo si era ancora in una fase di trattative su come organizzare la presenza dei volontari internazionali in Spagna. Si trattava con il governo spagnolo che diede il suo assenso il 20 ottobre e fra partiti dell’emigrazione italiana che siglarono il loro patto, da cui scaturì la nomina di Pacciardi alla guida del Battaglione Garibaldi, solo il 27 ottobre successivo.
Nelle settimane di Parigi, Picelli stringe rapporti più stretti con i dirigenti del piccolo PSI Massimalista che si considera partito “fratello” del POUM spagnolo. Incontra a Parigi, nei primi giorni di novembre, Gorkin che gli promette di metterlo alla guida di una compagnia di miliziani e presumibilmente anche di consentirgli di mettere in pratica le sue idee militari.
Picelli parte da Parigi molto probabilmente il 7 novembre (come scrive l’informatore Consani).
Arrivato a Barcellona l’8 o il 9, risiede per alcuni giorni presso una delle sedi del POUM (la Caserma Lenin, principale sede militare o l’Hotel Falcon dove in genere si trovavano i volontari provenienti da altri paesi). Prende contatto con Gorkin, come avevano concordato qualche giorno prima a Parigi, mentre non esistono riscontri che incontri anche Nin, benché non si possa escludere. Da Barcellona avrebbe dovuto recarsi a Huesca, dove si trovavano le truppe poumiste comandate da Josep Rovira. In quei giorni viene contattato da esponenti del PCI presenti a Barcellona che lo convincono di aver commesso una “stupidaggine”, rinunciando ad aderire alle Brigate Internazionali. Decide quindi di lasciare Barcellona e di recarsi ad Albacete, base delle Brigate, dove si stanno formando nuove compagnie e battaglioni.
Sembra di poter escludere che arrivato a Barcellona si sia presentato in Avenida 14 avril, dove venivano accolti i volontari, come raccontato da De Micheli, e anche che sia stato costretto con la forza o con le minacce ad andare nelle Brigate Internazionali (come hanno sostenuto Gonzales, Gorkin e Fortini).
Resta indefinito chi sia stato a contattare e convincere Picelli ad abbandonare le milizie del Poum. Si può escludere Vidali (citato da Gonzales per mere ragioni di propaganda elettorale), ma anche Pastore alla luce della sua testimonianza pubblicata sull’Eco del Lavoro. Può essere stato un comunista triestino come nel racconto, un po’ troppo fantasioso, di Fortini? Difficile che fosse un giovane come Lino Zocchi, l’unico triestino di un certo peso politico (era stato anche a Mosca alla Scuola Leninista Internazionale e avrebbe potuto conoscere Picelli), se si deve dare credito per questa parte alla testimonianza di Francesco Fortini sull’incontro con “due triestini”, avrebbe potuto essere Antonio Ukmar che si trovava in Spagna ma, in assenza di altri dati documentali o testimoniali, si tratta di una mera supposizione.
In ogni caso è molto probabile che il misterioso contatto fosse qualche esponente comunista già presente a Barcellona o comunque in Spagna in quel momento. Abbiamo visto che il tutto si svolge nel giro di pochi giorni e il centro parigino del PCI aveva probabilmente perso le tracce di Picelli con la sua partenza per Barcellona. Troppo complicato far venire apposta qualcuno da Mosca, come avrebbe dovuto avvenire nel caso di Pastore.
Se valutiamo la situazione politica e militare nei giorni in cui Picelli si trova a Barcellona dobbiamo considerare diversi fattori che devono avere certamente influenzato la sua visione delle cose e le sue, per quanto impulsive, decisioni.
Il ruolo militare del POUM si stava dimostrando piuttosto marginale. L’area di Huesca sarà sede di un lungo fronteggiarsi di trincee con occasionali sparatorie, come descrive lo stesso Orwell che si era arruolato nelle milizie del partito di Nin e Maurin.[37] Inoltre, la colonna internazionale del POUM era entrata in crisi in ottobre, perché una parte dei suoi componenti si erano opposti al processo di subordinazione delle milizie di partito ad un regolare esercito popolare repubblicano. Situazione di cui forse Picelli aveva potuto prendere conoscenza già a Parigi, quando, pochi giorni prima di partire, aveva incontrato Enrico Russo, il bordighista dissidente che aveva guidato militarmente la colonna fino a qualche settimana prima.[38]
Il cuore del conflitto militare, era in quel momento a Madrid, sottoposta agi attacchi delle truppe franchiste che, occupando la capitale, speravano di stroncare rapidamente la resistenza repubblicana. Le Brigate Internazionali vennero mandate al fronte proprio mentre Picelli arrivava a Barcellona. La situazione era quindi molto diversa da quella che aveva trovato a Parigi quando i dirigenti comunisti gli consigliavano prudenza e pazienza. A Picelli si era aperta finalmente la prospettiva che inseguiva da tempo di tornare sul terreno del conflitto militare contro il fascismo, terreno che aveva dovuto lasciare con la sconfitta del movimento operaio italiano più di dieci anni prima.
Dal punto di vista militare era fuor di dubbio che la vera partita si giocava a Madrid e non a Huesca ed è del tutto possibile che Picelli se ne sia reso conto in quei pochi giorni in cui si trovò a Barcellona.
Più difficile da valutare il lato politico della vicenda. Picelli aveva scritto ai primi d’agosto ai parmensi esiliati a Parigi sostenendo di voler lasciare l’Unione Sovietica per difendere in prima linea la politica di “fronte popolare”. Una politica che in realtà il POUM avversava, anche se per ragioni tattiche aveva aderito elettoralmente all’accordo che aveva consentito la vittoria delle sinistre nel febbraio precedente. E’ quindi possibile che una volta giunto a Barcellona, Picelli abbia avuto più chiaro che la politica del POUM e della sua variegata colonna internazionale nella quale confluivano bordighisti dissidenti, trotskisti di varie affiliazioni, massimalisti, brandleriani e militanti di altre piccole tendenze, non corrispondeva in realtà alle sue idee di larga unità nella lotta antifascista.
Picelli ad Albacete
Quando possiamo collocare l’arrivo di Picelli ad Albacete, la base delle Brigate Internazionali? Abbiamo delle indicazioni fornite dai documenti dell’archivio del Comintern che ci consentono anche di affrontare un altro punto controverso: quali ruoli di comando vennero affidati a Picelli all’interno delle Brigate Internazionali.
Il 9° battaglione composto da italiani venne costituito il 15 novembre, come specifica in una sua ampia relazione, il Comandante Vidal, responsabile militare della base di Albacete[39]. Il Comandante Vidal è in realtà il comunista francese Vital Gayman, che aveva sostituito un altro francese, che utilizzava il nome di Jean Marie (il cui nome completo era Jean Marie François)[40]. Quest’ultimo avrebbe voluto essere mandato al fronte a guidare la XI Brigata Internazionale e quando invece gli venne preferito il Generale Kleber abbandonò la base e le Brigate.
Gayman spiega come avveniva la costituzione dei battaglioni e venivano scelti i comandanti. In teoria la decisione spettava al governo spagnolo, ma dal punto di vista pratico, nel caso degli internazionali, questo si rilevava impossibile in una prima fase. Con il continuo afflusso di volontari (6-700 a settimana) si trattava di inquadrarli, per lo più sulla base della nazionalità e delle affinità linguistiche. I primi gruppi di italiani vengono raccolti nel Battaglione Garibaldi sotto la guida di Pacciardi e vengono inseriti, insieme ad un battaglione francese e ad uno polacco, nella XII Brigata Internazionale (la seconda ad andare al fronte).
I comandi – spiegava il Comandante Vidal – erano scelti tra coloro che avevano avuto esperienze militari. In primo luogo ovviamente coloro che erano già stati inquadrati, soprattutto durante la Grande Guerra, come ufficiali nei rispettivi eserciti nazionali. Vidal sottolinea anche che il nuovo battaglione italiano soffriva di una importante carenza di quadri militari. Risulta evidente che Picelli in questa situazione, complicata dalla sollecitazione dello Stato Maggiore spagnolo per fare entrare in linea prima possibile le nuove Brigate internazionali, era naturalmente destinato ad un ruolo di comando. Picelli poteva contare sulla sua esperienza nella prima guerra mondiale (che alla fabbrica Kaganovic gli era stata rimproverata come fonte di sospetto nella “purga” di pochi mesi prima), e sul suo ruolo nelle barricate di agosto del 1922. Ma gli verrà anche attribuito un’ulteriore competenza acquisita in Urss. In un articolo di Canapino su “Noi passeremo”, il giornalino ciclostilato del “Garibaldi”, nel quale si presenta il nuovo arrivo nel Battaglione, si sostiene che dopo essere espatriato dall’Italia, “andò in Russia, dove si specializzò in scienze militari, frequentando le scuole dell’Armata Rossa”[41]. Anche se sappiamo che questa sua aspirazione non si era mai realizzata. I documenti ci dicono che la sua “sbandata” per il POUM, ammesso che fosse conosciuta al di fuori di una ristretta cerchia di dirigenti comunisti, non determinò alcuna conseguenza negativa sulle decisioni prese dal Comandante Vidal.
In data 16 novembre abbiamo una nota di servizio, firmata dal comandante della base, che cita Picelli, pur storpiandone il nome in Pacelli:
“Il compagno PACELLI comandante la compagnia E assumerà provvisoriamente il comando dell’8° battaglione, assistito dal compagno Helke, comandante la prima compagnia dell’8° battaglione. [42]
L’8° battaglione è costituito con la stessa nota di servizio del 16 novembre, assieme al 7°, ed è composto dalla compagnia C, D, E, CM-2 che diventeranno rispettivamente la prima, seconda, terza compagnia del nuovo battaglione e compagnia mitraglieri.
Da questo documento apprendiamo che a Picelli, appena arrivato ad Albacete (probabilmente già prima del 16 novembre), viene affidata la guida di una compagnia di italiani e immediatamente dopo anche il comando provvisorio dell’8° battaglione che è misto per quanto riguarda le nazionalità.
I primi incarichi militari gli vengono affidati immediatamente e sono dovuti come detto alla decisione del comando della base di Albacete (forse concordati anche a livello politico, ma di questo non abbiamo traccia). La situazione è però estremamente fluida per il continuo afflusso di nuovi volontari e per l’evoluzione del conflitto militare che coinvolge Madrid e che vede dall’8 novembre impegnata l’XI Brigata Internazionale.
Solo quattro giorni dopo viene formalizzata una nuova decisione: “la terza compagnia dell’8° battaglione, comandante Picelli, diventa a partire dal 21-11-1936, la prima compagnia del 9° battaglione”. In questo documento non viene specificato, ma sappiamo che a Picelli viene anche affidato il comando del 9° battaglione, suddiviso in tre compagnie e che risulta composto esclusivamente da italiani. Questo risulta da uno specchietto riepilogativo datato 4 dicembre, ma anche dalle diverse testimonianze.
E’ interessante rilevare che nel foglio del 4 dicembre dove sono elencati vari battaglioni, qualcuno ha appuntato a mano la Brigata Internazionale a cui sono destinati. Per l’8°, 10° e 11° battaglione si indica la XIII, mentre per quello di Picelli è stato prima aggiunto e poi cancellato il numero romano XIV.
La situazione si chiarisce il successivo 6 dicembre, perché una nota di servizio firmata da Vidal, informa della decisione del Presidente del Consiglio e Ministro della Guerra, il socialista Largo Caballero, di costituire la XIII Brigata Internazionale (che è di fatto la terza dato che la numerazione tiene conto della numerazione delle Brigate spagnole). In questa XIII sono inserite l’8°, il 10° e l’11° Battaglione, ma non il 9° di Picelli.
Per gli italiani comandati da Picelli arriva un altro ordine datato 10 dicembre, nel quale si comunica che il giorno successivo dovrà essere composto un distaccamento di 300 uomini del 9° battaglione italiano che dovrà mettersi a disposizione della XII Brigata Internazionale, quella che include il Battaglione Garibaldi. L’ordine comunica che “il compagno PICELLI, comandante del 9° battaglione e il compagno JOFFROY, ufficiale messo a disposizione del 9° battaglione parteciperanno al movimento e si metteranno a disposizione del generale comandante della 12a Brigata mobile”, ovvero del generale Lukacs (Mate Zalka).
La nota di servizio specifica che gli uomini in soprannumero ai 300 richiesti dovranno restare a La Roda, una località vicina ad Albacete, dove erano stati accasermati gli uomini di Picelli. Tra loro anche “il compagno Platone” e “il compagno Morandi”.
Va sottolineato, come precisa nella sua relazione il Comandante Vidal, che anche il 7° battaglione e non solo il 9°, costituito provvisoriamente ad Albacete, viene sciolto per andare a rafforzare le Brigate già esistenti.
I 300 italiani di Picelli arriveranno al Pardo il 13 dicembre. L’Ordine di Movimento n.34 che abbiamo citato non specifica né la collocazione di questi volontari all’interno della XII Brigata, né l’eventuale ruolo da affidare a Picelli. Dal punto di vista della gerarchia spetterà al generale Lukacs prendere queste decisioni e poi una volta deciso di affidare gli italiani al Battaglione Garibaldi, come sembra inevitabile, ulteriori eventuali scelte toccheranno a Pacciardi.
Sulle ragioni della decisione di scioglimento del 9° battaglione abbiamo quanto scriverà nel gennaio 1938, Anacleto Boccalatte sul “Volontario della Libertà” in un articolo di commemorazione di Picelli:
“Alcuni giorni dopo la formazione del Battaglione Garibaldi, giunsero in Ispagna nuovi volontari italiani. Vennero riuniti a A… (ndr: Albacete) dove li si istruì alla tecnica militare e al maneggio delle armi. Dovevano formare un altro battaglione italiano, ma la pressione che il nemico esercitava sui settori madrileni, le perdite registrate nelle nostre formazioni, determinarono la decisione dello S.M. delle Brigate Internazionali di inviarli a rafforzare il nostro battaglione Garibaldi”.[43]
Ne aveva già scritto anche “Noi passeremo” il bollettino del Battaglione Garibaldi, quando spiegava che “venuto in Ispagna, Guido organizzò e istruì i compagni che dovevano fare parte del 9° Batt(aglione), ma circostanze indipendenti dalla nostra volontà fanno soprassedere alla formazione stessa.
Esempio mirabile di modestia e di disciplina antifascista, Picelli accettò di succedere al valoroso compagno Bravin (ndr: nel ruolo di comandante della prima compagnia), chiamato allo S.M.
Questi i nostri comandanti!”[44]
Sulla decisione di sciogliere il 9° Battaglione guidato da Picelli e su chi abbia deciso la sua nomina a comandante della prima compagnia del Garibaldi esistono testimonianze contrastanti ed anche ipotesi che vale la pena di esaminare, benché non siano suffragate da documentazione verificabile.
Nella versione russa del 1990 del libro di memorie di Aleksej Eissner, che era allora aiutante del comandante Lukacs, si legge quanto segue:
“Come vedete, Picelli è un rivoluzionario temprato e il suo ingresso nella nostra brigata è un acquisto preziosissimo. Purtroppo, mi dicono che egli un tempo ha peccato di trotzkismo e sarebbe venuto in Spagna per lavarsi questa macchia. Sebbene io abbia ricevuto istruzioni precise – ve lo dico in estrema confidenza – che proibiscono di fidarsi dei trotzkisti pentiti e di assegnare loro incarichi di comando, ufficialmente io non ne so niente del suo passato di trotzkista. Perciò, d’intesa con Gallo (ndr: Luigi Longo) ho raccomandato a Pacciardi di dargli una compagnia.”[45]
Randolfo Pacciardi, comandante del Battaglione Garibaldi, ha fornito la sua versione della storia nel suo libro “Il Battaglione Garibaldi” uscito a poca distanza dagli eventi. Il futuro Ministro repubblicano scrive:
“Dopo le perdite subite alla Città Universitaria e a Pozuelo le nostre truppe debbono essere riorganizzate.
Dalla base di Albacete arrivano i rinforzi il giorno 13.
Sono 300 nuovi volontari al comando di Guido Picelli.
Disgraziatamente arrivano senza armi, ma le armi si debbono trovare; si deve formare un battaglione di ferro.
Offro a Picelli il comando della prima compagnia. Marvin che la comandava a Pozuelo, sostituirà Leone nel posto di aiutante.” [46]
Per Pacciardi non c’è quindi alcuna motivazione politica nella decisione di far affluire gran parte dei militi che si stavano addestrando con Picelli alla Roda per coprire le perdite del “Garibaldi”. Inoltre attribuisce a sé stesso la decisione di affidare a Picelli il comando della prima compagnia. Non fa riferimento a raccomandazioni di Lukacs e di Longo che comunque non si possono escludere.
Quanto al racconto di Eissner sulla presunta diffida a dare comandi a sospetti di trotskismo va presa con molta prudenza. Va comunque sottolineato che questi sospetti farebbero riferimento a quanto accaduto a Mosca e non ai contatti col POUM. Picelli, come abbiamo visto, era stato nominato comandante di compagnia sin dal primo momento in cui era arrivato ad Albacete e pochi giorni dopo gli era stato dato il comando provvisorio prima dell’8° e poi del 9° battaglione. Arrivava alla XII Brigata già alla guida del distaccamento dei 300 uomini inviati come rinforzi, come risulta dall’Ordine di Movimento. Lukacs, anche nel caso in cui sia effettivamente intervenuto nella decisione, non doveva violare alcun tabù.
Qualche allusione a motivazioni politiche per lo scioglimento del 9° Battaglione l’ha avanzata Giorgio Braccialarghe, allora giovane anarchico e dopo la seconda guerra mondiale dirigente repubblicano con Pacciardi scrive nel suo “Diario spagnolo”:
“Di ritorno dal comando Felice Platone ci trasmette l’ordine, arrivato da Albacete di disciogliere il nostro Battaglione perché il Garibaldi ha bisogno di rinforzi.
Si dice che all’attacco di Cerro Los Angeles i garibaldini hanno avuto ingenti perdite.
Trecento di noi andiamo a Madrid, gli altri tornano alla base delle Brigate Internazionali.
Ci sembra un’ingiustizia, ci sembra che il lavoro di questi giorni sia stato compiuto invano. (…)
Chi deve soffrire di più è Picelli. Il suo battaglione che si sfascia, la sua creazione che crolla. Chi può escludere che il partito comunista intenda punirlo della presunzione di voler essere un uomo libero?”[47]
Come si vede Braccialarghe non porta alcun elemento a sostegno del suo sospetto, formulato in modo vago (“chi può escludere”). Resterebbe comunque poco comprensibile perché il PCI avrebbe dovuto punire Picelli a dicembre, dopo averlo promosso a novembre, sulla base di comportamenti o dubbi che a novembre erano già noti.
Nel suo libretto, Giancarlo Bocchi, su questo argomento, propone la seguente ricostruzione:
“Per definire il suo incarico militare, Picelli incontra a Madrid Vladimir Eisner, uno dei comandanti degli Internazionali. Anche se Eisner ha ricevuto disposizioni severe di diffidare di chi ha avuto contatti coi trotskisti e con gli odiati compagni del POUM, considerati dagli stalinisti dei nemici, gli affida il comando del 9° battaglione delle Brigate Internazionali, 500 uomini da addestrare alla Roda, nella regione della Mancia.”[48]
Si potrà verificare, da quanto ampiamente documentato sopra, che nulla di quanto contenuto in questo capoverso corrisponde ai fatti accertati, anche quelli più banali. Eissner si chiama Aleksej e non Vladimir. Non comandava nulla ma era l’aiutante del comandante Lukacs e il suo compito principale era svolgere il ruolo di traduttore dal francese al russo e viceversa. I contatti col POUM non furono in realtà di alcun ostacolo all’affidamento di incarichi militari significativi, tant’è vero chevenne subito fatto comandante di compagnia e immediatamente dopo di battaglione.
Una volta arrivato al Pardo, Picelli possedeva il grado militare più alto dopo Pacciardi. In quelle settimane era infatti l’unico Capitano tra le fila garibaldine. Nella battaglia di Mirabueno gli venne affidato il compito di comandante del “Garibaldi” in sostituzione di Pacciardi che, in quell’operazione militare, doveva invece guidare tutta la XII Brigata Internazionale.
Ci pare che quanto sopra esposto consenta di ridimensionare, se non escludere l’ipotesi che le decisioni prese in sede militare sul ruolo di Picelli possano essere stato determinate da una qualche forma di persecuzione o emarginazione.
[1] De Micheli, Mario, Barricate a Parma, Libreria Feltrinelli di Parma (seconda edizione riveduta), Parma, 1972, pp. 163-164.
[2] RGASPI, 495.221.1245.
[3] Tutti riferimenti alle liste delle partenze fanno riferimento a RGASPI,545.6.476.
[4] RGASPI, 495.221.1245.
[5] Dundovich, Elena, Gli anni di Guido Picelli in Unione Sovietica, in Storia di ieri, Istituzione Biblioteche del Comune di Parma. Il documento citato è in RGASPI, 495.221.1245, pp. 9-10.
[6] Giannantoni, Franco – Paolucci, Ibio, Giovanni Pesce “Visone” un comunista che ha fatto l’Italia, Edizioni Arterigere-EsseZeta, Varese, 2005, pp. 38-42.
[7] Pesce, Giovanni, Un garibaldino in Spagna, Editori Riuniti, 1955, Roma, pp. 27-31.
[8] RGASPI, 545.6.476.
[9] Testimonianza di Bardini Vittorio in Terracini, Umberto, Guido Picelli nel 30° anniversario della sua scomparsa. Conferenza tenuta il 12 febbraio 1967 al Teatro Regio di Parma, a cura dell’ANPPIA, Parma, 1969.
[10] Bardini, Vittorio, Storia di un comunista, Guaraldi, Firenze, 1977, pp. 46-47.
[11] Cit. in Sicuri, Fiorenzo, Il guerriero della rivoluzione, Uni.Nova, Parma, 2010, p. 254.
[12] Cit. in Sicuri, Fiorenzo, Il guerriero della rivoluzione, cit., p. 254.
[13] Cit. in Sicuri, Fiorenzo, Il guerriero della rivoluzione, cit., p. 255
[14] Cit. in Sicuri, Fiorenzo, Il guerriero della rivoluzione, cit., p. 254.
[15] Appunto n. 500/32818, 13 novembre 1936, A.C.S., C.P.C. Simoncini.
[16] Cit. in Sicuri, Fiorenzo, Il guerriero della rivoluzione, cit., p. 256
[17] Cit. in Sicuri, Fiorenzo, Il guerriero della rivoluzione, cit., p. 257
[18] Avanti!, “Guido Picelli”, Parigi, 17 gennaio 1937.
[19] Sozzi, Sigfrido, Il P.S.I. massimalista ed Elmo Simoncini, in AA.VV., Antifascisti romagnoli in esilio, La Nuova Italia, Firenze, 1983, p. 280.
[20] Sanchez, Fernando Hernandez, Orto i ocaso de Valentìn Gonzales, El Campesino, Biblioteca Omegalfa, 2019.
[21] Sui rapporti tra Gonzales e Gorkin si veda Southworth, Herbert Routledge, <El gran camuflaje>: Julian Gorkin, Burnett Bolloten y la Guerra Civil espanola, in Preston, Paul (ed.), La Republica asediada, Ediciones Peninsula, Barcelona, 1999, pp. 417-491.
[22] Ortì Buig, Andres, Julian Gorkin (1901-1987) un viaje a lo opuesto, tesi di dottorato, Castello de la Plana, giugno 2020.
[23] Corriere della sera, 6 maggio 1953.
[24] Southworth, Herbert Routledge, <El gran camuflaje>: Julian Gorkin, Burnett Bolloten y la Guerra Civil espanola, in Preston, Paul (ed.), La Republica asediada, Ediciones Peninsula, Barcelona, 1999, pp. 421-422. L’autore riposta una lettera di Gorkin nel quale fa esplicito riferimento al viaggio in Italia del Campesino.
[25] Gorkin, Julian, El proceso de Moscù en Barcelona: el sacrificio de Andrés Nin, Barcelona, 1974, p.54 cit. in Sicuri, Fiorenzo, Il guerriero della rivoluzione, cit., p. 256
[26] Karlsen, Patrick, Vittorio Vidali. Vita di uno stalinista (1916-1956), Il Mulino, Bologna, 2019, p. 221.
[27] Furlotti, Gianni, Parma libertaria, Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2001, p. 201.
[28] AICVAS, La Spagna nel nostro cuore 1936-1939, Roma, 1996, p. 198.
[29] Cieri Antonio, Un compagno di lotta in memoria di Guido Picelli, “Il Grido del Popolo”, Parigi, 28 marzo 1937.
[30] Bifolchi, Giuseppe, La Colonna Italiana sul fronte di Huesca, Rivista abruzzese di studi storici sul fascismo e la resistenza, novembre 1980, pp. 141-151.
[31] Zocchi, Lino, I giovani nel fuoco, “Il Grido del Popolo”, Parigi, 5 dicembre 1936.
[32] Bocchi, Giancarlo, Il ribelle, IMP, s.l. , p. 112.
[33] Bocchi, Giancarlo, Quelle bugie sulla morte di Picelli e i sospetti su un volontario stalinista, “Gazzetta di Parma”, 5 dicembre 2017
[34] Pastore, Ottavio, Guido Picelli eroe della libertà, “L’Eco del Lavoro”, Parma, 23 gennaio 1953.
[35] Bocchi, Giancarlo, Il Ribelle, IMP, s.l. , p. 112.
[36] Castagno, Raffaele, Chi ha tradito Guido Picelli? Un giallo dagli archivi spagnoli, parmarepubblica.it , 08.06.2022.
[37] Orwell, George, Omaggio alla Catalogna, Oscar Mondadori, Milano, 2016.
[38] Bucci, F. – Quiriconi, R. (con la collaborazione di Carboncini, C.), “La disfatta di Franco è la vittoria del proletariato…”. Mario De Leone e la guerra civile spagnola, , La Ginestra – Comitato pro ex-Ilva, Follonica, 1997, p. 82. Si può rilevare, almeno come curiosità, che sia per Picelli (da parte di Giancarlo Bocchi) che per Enrico Russo (da parte di un suo approssimativo biografo, Antonio Alosco) è stato usato lo stesso anacronistico paragone con Che Guevara. Si veda Alosco, Antonio, Rosso napoletano. Vita di Enrico Russo, il Che Guevara italiano. Piero Lacaita editore, Manduria, 2007. In quei giorni a Parigi, si sarebbe realizzato il caso straordinario di un incontro tra ben due inconsapevoli “Che Guevara italiani”.
[39] RGASPI, 545.2.32
[40] Tremlet, Giles, Las Brigadas Internacionales, Penguin Random House, Barcelona, 2020, p. 92.
[41] Ganapino (Calandrone, Giacomo), Saluto all’eroico capitano Picelli, Noi Passeremo. El Pardo, 19 dicembre 1936, p. 1.
[42] Tutti i riferimenti alle nomine di Picelli ad Albacete sono contenuti in RGASPI, 545.2.44.
[43] Boccalatte, Anacleto, L’eroica morte del nostro capitano…, Il Volontario della Libertà, 15 gennaio 1938, p.8.
[44] Ganapino (Calandrone, Giacomo), Saluto all’eroico capitano Picelli, Noi Passeremo. El Pardo, 19 dicembre 1936, p. 1
[45] Citato in Kolpakidi, Aleksander, La barricata spagnola (1936-1939), in Bertelli, Sergio – Bigazzi, Francesco, PCI: la storia dimenticata, Mondadori, Milano, p. 145.
[46] Pacciardi, Randolfo, Il Battaglione Garibaldi, Edizioni della Lanterna, Roma. 1945, p. 103.
[47] Braccialarghe, Giorgio, Diario spagnolo, Roma, 1982, S.E.G.E., pp. 71-72
[48] Bocchi, Giancarlo, Il Ribelle, IMP, s.l. , p. 112.