di Andrea Bui e Latino Taddei
In occasione dell’incontro su Vittorio Bottego di giovedì 29 ottobre, alle ore 18, organizzato dal Centro studi movimenti sul suo canale youtube (in collaborazione con il festival Il Rumore del lutto e con il contributo di Azienda Selene), pubblichiamo un contributo di Andrea Bui e Latino Taddei che anticipa i temi trattati [ndr].
Il viaggiatore che arriva a Parma col treno, appena uscito dalla stazione, viene accolto da un monumento davvero particolare, rappresentante, all’interno di una grande fontana, un uomo bianco, un soldato, armato di spada (ma con l’altra mano in tasca) che domina due africani, rannicchiati e timorosi, vestiti di stracci. La targa recita “A Vittorio Bottego 1897-1907”. Oltre a questa imponente statua, nella nostra città altri luoghi ed altri spazi portano il nome di Vittorio Bottego: un museo (in cui sono conservati alcuni suoi “cimeli africani”), una scuola ed anche la via ed il piazzale vicini al monumento (e fino a qualche anno fa anche un ponte, ora rinominato “ponte delle nazioni”).
Una “copertura toponomastica” notevole, come si addice ai “grandi” della città; posizione del resto confermata anche dalla “Gazzetta di Parma”, che ha dedicato al soldato ed esploratore parmigiano un numero della collana di biografie intitolata appunto “I grandi di Parma”. Eppure, oggi poco si conosce del Bottego; il continuo flusso di persone che passa sotto il monumento non è interessata al bianco soldato che domina la scena, a chi fosse veramente, per quale motivo ha meritato tanta gloria e a quale storia appartiene.
Pensando al condottiero parmigiano i più visualizzeranno nella propria mente una sorta di “esploratore romantico”, una specie di Indiana Jones montanaro, che per amore di conoscenza e di avventura avanza verso l’ignoto, portando la civiltà laddove ancora non c’è, nelle ignote e tenebrose terre d’Africa, rimaste estranee al progresso e quindi primitive. Un’immagine distorta e davvero poco aderente alla storia di Vittorio Bottego; una ricostruzione parziale e poco obiettiva, che mette in primo piano il coraggio, l’eroismo ed il presunto “amor di scienza” e nasconde le crudeltà, l’esplicito razzismo ed in generale l’appartenenza ad un fenomeno storico con cui dobbiamo ancora fare seriamente i conti, ovvero l’espansione coloniale italiana.
Di questa infatti fu un protagonista di prim’ordine Vittorio Bottego; soldato, esploratore e massone esplorò parti dell’Eritrea, della Somalia e dell’Etiopia per accelerare l’espansione italiana nell’area dell’Africa orientale, e lo fece, animato dallo spirito di superiorità e dalla missione civilizzatrice nostrana, con l’attitudine di un soldato. Durante le sue due maggiori spedizioni (sempre composte da centinaia di uomini armati, eppure raccontate alla stampa come “gite scientifiche e commerciali”) non lesinò fucilate sugli indigeni, esecuzioni di suoi ascari “presunti disertori”, razzie di bestiame, sequestri di nativi; il tutto giustificato, oltre che dall’”italica superiorità”, soprattutto dalla fretta di arrivare alla meta stabilita prima di altri, non tanto per gloria imperitura quanto per un bieco interesse di stato. Al tempo infatti le potenze europee, desiderose di dividersi ogni lembo d’Africa, avevano tra loro stabilito che le zone ignote del continente nero sarebbero spettate a chi prima le “scopriva”: la prima orma di un piede bianco valeva un territorio.
Esploratore dell’influente Società Geografica Italiana (che, grazie al suo apparato mediatico, lo esaltò nelle sue pubblicazioni e nella stampa periodica) Bottego fu tra i personaggi di spicco del primo colonialismo italiano, quello che indicò la via dell’espansione e si pose ad Assab, Massawa e poco dopo in tutta l’Eritrea, e che, disfatta dopo disfatta, passerà alla storia come un colonialismo “straccione”, a denotare la sua povertà di mezzi, disorganizzazione e superficialità.
Alla sua morte, avvenuta in territorio etiope per mano di nativi ben coscienti delle reali intenzioni della spedizione, Vittorio Bottego divenne, per il blocco colonialista, un’eroe senza macchia e senza paura, simbolo della superiorità europea e del suo diritto di “liberare l’Africa dall’arretratezza”, portando loro la civiltà, il progresso e, in definitiva, il dominio italiano. Entrato così nel pantheon coloniale, Bottego divenne un mito; giornalisti, scrittori e poeti contribuirono a creare l’immagine distorta che ancora oggi domina nel sentire comune, facendone un campione dell’avventura, della scienza e della patria, ed escludendo dal discorso ogni riferimento alle pratiche, ai valori e alle finalità dell’epopea coloniale.
Riprendere in mano oggi i ragionamenti e gli studi su Vittorio Bottego, oltre a mettere sul tavolo le verità storiche che lo riguardano, ci permette di alzare per un attimo il velo di ignoranza e mistificazione che per decenni è stato posto sul colonialismo nostrano, costruito sull’assunto, quanto mai errato, degli “italiani brava gente”, portatori di civiltà, costruttori di strade e ponti più che soldati, comprensivi con i nativi e da questi, in definitiva, ben voluti ed apprezzati.
Una questione doverosa ed importante, sia per fare chiarezza sul nostro passato in maniera schietta, sincera e documentata, sia per capire, nell’Italia dei nostri giorni, quali retaggi del colonialismo italiano siano ancora presenti, nelle nostre teste così come nelle nostre strade, dove simboli di un passato che fu (e con cui dobbiamo ancora fare i conti) con la loro silenziosa presenza ci richiamano a questo compito, quanto mai urgente.