Elisabetta Salvini

Sabato scorso, 31 maggio, in via Melloni, a Parma, è stata inaugurata la Casa delle donne. Dopo sei anni di iniziative e trattative con il Comune di Parma, il collettivo transfemminista apre questi nuovi spazi per nuove mobilitazioni. Di seguito pubblichiamo l’intervento di Elisabetta Salvini, presidente dell’associazione, all’inaugurazione [ndr].
Abbiamo avuto tanto tempo a disposizione per prepararci e, tra le tante cose che abbiamo pensato per questa serata, c’è anche una cartolina che contiene una frase che ci sembrava perfetta per l’occasione. “Una selvaggia pazienza ci ha condotte fin qui”. Una frase che insieme al sottotitolo Storia di un gruppo di donne a Bologna negli anni ’70 e ’80, era il titolo di una ricerca edita nel 1991 dall’associazione Lavinia Fontana di Bologna. E noi l’abbiamo scelta per due motivi.
Innanzitutto perché crediamo racconti tanto di noi e di questi lunghi sei anni che la Casa ha vissuto senza Casa. Sei anni di selvaggia pazienza e di attesa che non è mai stata remissiva, mai rassegnata, mai silente, sebbene il nostro progetto sia stato deliberatamente silenziato dalla “Gazzetta di Parma” e dal suo direttore perché scomodo, impertinente, non disponibile a farsi ammansire.
Una selvaggia pazienza che ci ha portato a costruire relazioni e progetti anche in assenza di una sede e, nel periodo di lockdown, persino in apparente assenza di relazioni, ma che ci ha sostenuto nel perseguire un obiettivo che vedevamo – e vediamo ancora – come urgente e indispensabile.
Perché noi pensiamo che ogni città abbia bisogno di una Casa delle donne. Ne ha bisogno Parma e per questo abbiamo sempre preteso che fosse il Comune ad assegnarci uno spazio da abitare, perché crediamo che il valore politico che questo spazio porta con sé debba essere riconosciuto anche dalle istituzioni.
La Casa delle donne non è un nostro capriccio, non è solo un nostro desiderio ma è un bene comune.
Angela Davis dice che “è nella collettività che troviamo risorse di speranza e di ottimismo”, ecco la Casa è una di queste risorse. È energia generativa e aprirla significa prima di tutto aprire un luogo collettivo di cura e di lotta. Di cura delle nostre relazioni che dobbiamo imparare a costruire libere, non tossiche, non violente, non patriarcali. Di lotta verso le discriminazioni e i pregiudizi a cui tanti e tante di noi ancora, purtroppo, danno corpo. Lotta verso la violenza che continua a segnare le nostre relazioni.
La Casa delle donne non è la sede della nostra associazione, non è il nostro ufficio, ma deve essere uno spazio aperto, condiviso, uno spazio di libertà, di ascolto non giudicante, di costruzione di relazioni. Uno spazio diverso da tutti gli altri, perché questo è uno spazio femminista e transfemminista, aperto a tutte le persone che lo vorranno abitare e che insieme a noi si impegneranno nella nostra quotidiana lotta al patriarcato.

Questo è il secondo motivo per cui abbiamo scelto quella frase, perché è una frase che viene dal femminismo e ci ricorda che anche noi veniamo da quella storia lì. Veniamo da donne che prima di noi hanno lottato per sovvertire sé stesse e il mondo e che ci hanno permesso, oggi, di essere uomini e donne, persone, molto diverse da quelle che ci hanno preceduto. Uomini e donne, anzi persone, perché anche se ci chiamiamo Casa delle donne, la nostra lotta oggi non può che essere transfemminista, e intrecciarsi con quella di tutte le soggettività queer e non binarie che ancora subiscono ogni genere di discriminazione.
Non solo: la Casa delle donne è aperta a tuttu, anche agli uomini etero che desiderano posizionarsi altrove rispetto al sessismo e riflettere sulla mascolinità che hanno ereditato per decostruirla e sovvertirla, esattamente come le femministe hanno saputo fare con la femminilità.
A differenza di altri in questa città, infatti, pensiamo che la violenza non sia determinata dalla devirilizzazione maschile, ma che sia proprio il virilismo machista la causa della violenza che si annida dentro le nostre relazioni, per questo continueremo a denunciarlo, certe che il cambiamento culturale sia non solo possibile ma indispensabile, per non dover continuare ad aspettare passivamente il prossimo femminicidio.
Sebbene questo sia un momento di festa, infatti, non possiamo non essere sconvolte per il femminicidio di Martina Carbonaro e anche un po’ incazzate perché, nonostante tutto, questa società sta continuando a far crescere uomini incapaci di accettare il fallimento, l’abbandono, il rifiuto; di accettare semplicemente un NO.
E questo non è più accettabile, come non è accettabile pensare che questa violenza si risolva con le pene severe, i braccialetti, le denunce, le forze di polizia. È tutto sbagliato e lo sappiamo tutte e tutti. Eppure lo spazio mediatico viene solo dato a chi spara queste fandonie (come fa la nostra cara “Gazzetta”).
Eppure le persone danno fiducia a chi spara queste fandonie. E gli danno fiducia perché c’è troppa ignoranza, inconsapevolezza, incapacità di centrare il cuore delle questioni. È per questo che servono luoghi come questo, in cui portare riflessioni serie, meditate, pratiche e confronti che interroghino le nostre relazioni e le rendano più umane.
Michela Murgia ce lo ha insegnato bene che «Il sessismo, come il razzismo, è una cultura aggressiva e che pensare che basti viverci dentro passivamente per non averci niente a che fare è un’illusione che nessuno può permettersi di coltivare».
Noi non coltiviamo illusioni, coltiviamo cambiamento e rivoluzione, per questo le nostre vetrine urleranno, non saranno né comode né educate, perché il femminismo educato è capitolazione e noi non vogliamo capitolare, ma scuotere questa nostra città silente e perbenista, che ne ha un gran bisogno!
E per fortuna sappiamo che non saremo da sole a farlo, non lo siamo mai state in questi sei anni.
La Casa è da sempre in rete con le tante realtà che lavorano per la difesa dei diritti e la tutela degli ultimi. E con chi difende la pace e sostiene le tante lotte per la libertà, la giustizia e l’equità.
Quando, il 25 gennaio 2020, ci siamo presentate pubblicamente per la prima volta, lo abbiamo fatto organizzando una serata dedicata alle lotte delle donne nel mondo. (un mondo di donne in lotta)
Stasera vorremmo tornare a quella serata e continuare a sconfinare per sostenere e stare dalla parte di chi resiste.
Stasera il nostro cuore non può che essere a Gaza. La Casa è con Gaza e lo è sempre stata, è contro il genocidio del popolo palestinese che il governo di Benjamin Netanyahu sta compiendo impunemente ed è per questo che la bandiera palestinese sta appesa sul nostro muro insieme a quella della pace.
La Casa delle donne non sarà mai neutrale, perché per noi essere femministe significa posizionarsi, prendere una parte, fissare dei paletti che sappiano indicare chiaramente quale sia la direzione che vogliamo seguire e la nostra direzione è molto semplice: ANTIFASCISMO; ANTIRAZZISMO; ANTISESSISMO.
Infine, vorremmo fare i nostri ringraziamenti.
Non li farò individualmente perché ho paura di dimenticarmi qualche pezzo e allora li faccio così.
Quando le mondine hanno dovuto creare una loro bandiera, lo hanno fatto mettendo insieme tante pezze di stoffa con scritto sopra i propri nome e unendoli hanno cucito una bandiera bellissima.
Ecco, ce l’abbiamo anche noi quella bandiera lì, perché basta guardare questo luogo per trovare i nomi di chi la Casa l’ha desiderata, di chi ce l’ha consegnata, di chi l’ha resa abitabile, di chi l’ha progettata, dipinta, pulita, abbellita, decorata e quelli di chi l’abita e di chi l’abiterà, portando qua dentro un pezzettino di sé, esattamente come facciamo noi, ogni volta che arriviamo qui.
Se questo posto è bello, è perché ciascun3 ci ha messo il suo pezzettino e ogni parte parla di noi: lo fanno i video e le foto che abbiamo preparato per presentarci, lo fanno i muri con i colori, lo fa il nostro logo gigante.
In una serata che organizzammo qualche anno fa, una donna di Milano che non ci conosceva, si è avvicinata e ci ha detto che lei non aveva mai visto così tante donne sorridere tutte insieme.
Ecco, la Casa è anche questo. Un luogo di sorrisi. Uno spazio di gioia e rivoluzione.