di Mario Amadei*
In Parlamento la Sinistra non c’è e anche fuori non se la passa benissimo, ma qualcosa sopravvive. (R)esistono in Italia forze, collettive e individuali, diffuse che operano coerentemente per costruire un argine all’avanzare dell’estrema destra ma che non accettano di abbandonarsi al meno peggio, opponendosi cioè alla proposta liberista del PD. Queste forze, ad oggi, non hanno rappresentanza in Parlamento e sono di fatto escluse dal dibattito politico mainstream.
Francamente mi sfugge cosa si stia aspettando a costruire una convergenza, in tempi brevi, almeno di quelle forze della sinistra radicale ancora attive, in un processo che possa almeno provare a rimettere in moto nuove energie, a riaggregare chi, scoraggiato e deluso, si é disperso in mille rivoli o si limita ad una militanza distaccata e individuale. Serve ricostruire una comunità politica nella quale in tant* possano tornare a riconoscersi, fidarsi, sentirsi parte ed essere protagonist*.
Serve mettere in campo uno strumento che sia percepito come utile per organizzarsi e per lottare per migliorare le proprie condizioni di lavoro e di vita, per quei milioni di persone che nel nostro Paese pagano sulla propria pelle gli effetti delle politiche liberiste e provano faticosamente a sopravvivere del proprio lavoro.
Ad oggi, queste persone, i cui interessi non sono rappresentati in Parlamento, si sentono giustamente tradite dal PD e rischiano sempre più di lasciarsi affascinare dalla propaganda populista della destra che soffia sul fuoco del razzismo e della guerra tra poveri. Serve darsi l’obiettivo di mettere in campo un’alternativa concreta e radicale, con un consenso di massa.
Ci sono riusciti persino in USA, mentre, noi, qui in Italia, a sinistra, anche nell’attuale crisi di governo non siamo all’altezza della sfida. Se si votasse domani, si ripresenterebbero di nuovo i soliti fallimentari due scenari, a sinistra: il tentativo improvvisato di costruire una lista unitaria all’ultimo momento con simbolo nuovo e senza radicamento, da un lato, oppure, la corsa in solitaria di partiti con programmi sovrapponibili che fanno a gara a chi prende lo 0,% in più rispetto all’altro, arrivando, in alcuni casi, a celebrare il risultato (disastroso) come una gloriosa vittoria sulla strada verso il socialismo.
Cosa stiamo aspettando? Per ora non si avverte nessun segnale, nemmeno timido, di ricomposizione, di riattivazione di un percorso largo che almeno avvii un dibattito sul che fare. Calma piatta. Non ci lamentiamo, poi, se nella debolezza del nostro campo, in tant* arriveranno a farsi convincere dal voto “utile”, intravedendo la possibilità di portare a casa l’obiettivo minimo, quanto fragile, di arginare (solo momentaneamente) la destra più becera.
L’attuale crisi di governo e le lodi sperticate a Mario Draghi, l’ennesimo banchiere presentato come salvatore della patria, ci dicono chiaro che quella che si apre é una stagione decisiva per il futuro del nostro paese. Le classi dominanti lo sanno bene e, Confindustria in prima linea, premono perché sia garantito che nella gestione della partita del Recovery Fund tutto vada a favore dell’impresa e del privato, non dei lavoratori e del pubblico (evidentemente nemmeno il governo Conte bis, nonostante il profilo moderato tale da respingere persino una blanda proposta di patrimoniale, offriva sufficienti garanzie in questo senso). Vogliono tutto, senza mediazioni. Già da Renzi a Letta, da Bonomi alla Bonino, si pretendono le solite politiche liberiste di taglio della spesa pubblica, nuove privatizzazioni, ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori. Già si insiste per rimuovere il blocco degli sfratti e dei licenziamenti.
La crisi a breve morderà ancora di più e, in assenza di una sinistra, verrà scaricata tutta in basso. A recitare la parte dell’opposizione al governo sembra ci sarà in Parlamento solo la destra fascistoide della Meloni e rischiamo di vederne crescere i consensi nella prateria del diffuso malcontento sociale.
La sfida che abbiamo di fronte é ampia, urgente, necessaria. Serve mettere in campo una forza che si dia l’obiettivo di determinare un’inversione di rotta rispetto al capitalismo neoliberista in crisi, rimettere al centro il ruolo del pubblico (sanità, scuola, servizi), interrompere processi di privatizzazione e rideterminare un nuovo intervento pubblico in economia.
Serve lottare per riconquistare e conquistare nuovi diritti per i lavoratori da sottrarre al ricatto della precarietà, del lavoro sfruttato, senza tutele e senza orari.
Va rimesso complessivamente in discussione un modello di sviluppo che ha il proprio motore nella legge predatoria del profitto, per mettere al centro del proprio agire politico una riconversione ecologica dell’economia che con urgenza affronti la drammatica crisi climatica e ambientale nella quale siamo immersi.
Serve allargare e non restringere gli spazi di partecipazione democratica, poter determinare come, cosa, perchè produrre.
Serve impegnarsi per politiche di pace, disarmo, cooperazione e solidarietà tra i popoli, che mettano il nostro Paese nelle condizioni di svolgere un ruolo di pace come la nostra Costituzione prevede.
Il lavoro da fare é immenso. Serve costruire questa proposta intrecciando le rivendicazioni e i saperi diffusi di tant* compagn*, mettendo in relazione, senza pregiudizi, appartenenze diverse, associative, di movimento, di partito, di sindacato e anche diverse sensibilità, comunist*, anticapitalist*, antiliberist*, femminist*, ambientalist*, pacifist*…
Penso non ci sia tempo da perdere. Se personalismi e trascorsi del passato creano ostacoli, mettiamo al centro non la riaggregazione a freddo di sigle e il solo confronto tra dirigenti, ma la costruzione concreta di un programma di fase collettivo.
Se fossimo al governo quale Recovery Plan alternativo proporremmo? Quali sono, a sinistra, le proposte per il prossimo decennio? Quali idee per cambiare in meglio le vite di milioni di lavoratori del nostro Paese? A quale orizzonte condiviso tendere per orientare queste politiche e inserirle in una più complessiva strategia politica comune?
Perché non partire dal provare a rispondere insieme a queste domande costruendo spazi diffusi di discussione, confronto ed elaborazione collettivi? Perché non partire da qui per avviare un percorso ricompositivo e momenti condivisi di mobilitazione e di lotta?
E chissà che, poi, alle prossime elezioni non ci si possa così trovare un minimo pronti, con un progetto unitario che abbia chiarezza programmatica, efficacia comunicativa, radicamento diffuso e che si sia guadagnato una certa credibilità…
Non possiamo stare a guardare, non ci si puó accontentare di stare fermi a verniciare steccati e fare a gara a chi ce l’ha più rosso.
* Segretario provinciale del Prc di Parma