da Potere al Popolo Parma
Venerdì pomeriggio di fronte al Teatro Regio ci sono un centinaio di persone, bandiere di sindacati di base, striscioni. È l’iniziativa organizzata dalla Risp, la rete intersindacale dei lavoratori dello spettacolo. Mentre si è in attesa del primo intervento al microfono, l’occhio cade sulla presenza della polizia, numerosi agenti all’ombra di un mezzo blindato, una presenza che potremmo definire non discreta, vista anche la sostanziale inutilità se non forse quella di comunicare alla cittadinanza che sotto al teatro si sta consumando qualcosa di poco raccomandabile. In effetti, c’è qualcosa che non va, ma non nel senso che le divise sembrano suggerire: i lavoratori dello spettacolo vivono condizioni di precarietà e con l’emergenza sanitaria la precarietà si è trasformata in mancanza cronica di lavoro.
Non parliamo di ragazzini alle prime armi, ma di professionisti, sul palco e dietro le quinte, che hanno consumato anni di contratti intermittenti fino a vedere i primi capelli bianchi far capolino. Sì, c’è qualcosa che non va decisamente. E tanto più che queste storie di lavoro sembrano assomigliarsi tutte nella loro diversità: condizioni di lavoro e salariali sempre peggiori, sindacati confederali sempre più incapaci di intercettare la volontà dei lavoratori e le ormai onnipresenti cooperative, vere e proprie agenzie di sfruttamento del lavoro, dalla logistica ai musei, dalla lavorazione delle carni ai teatri.
Potere al Popolo è stata presente negli ultimi mesi in diverse manifestazioni di lavoratori dei settori più disparati, dalle operaie di ItalPizza, sotto processo per sciopero a Modena, agli educatori dei servizi di welfare. E il ritornello udibile distintamente trova sempre gli stessi elementi: il lavoro ricattato, sindacati confederali inefficaci quando non ambigui, cooperative e intermediazione di lavoro. Il mondo del lavoro sacrificato sull’altare della competitività, il negletto popolo del “Sussidistan” che oltre al lavoro pretende anche uno stipendio, magari decente, in grado di coprire delle spese che sono fisse, come affitti e bollette, e non intermittenti come i contratti. Lo raccontano diversi lavoratori davanti al Regio, di fronte a colleghi e solidali, distanziati e in mascherina. Siamo in pochi, viene da pensare, ed è vero. Siamo in tanti a vivere la stessa situazione ma siamo sempre più attenti a non perdere quel poco che ci è rimasto, tenendocelo stretto e, quindi, in silenzio. Ci muoviamo solo quando siamo disperati, invochiamo la solidarietà degli altri quando siamo in difficoltà ma fatichiamo a fermarci un attimo ad ascoltare se per caso incrociamo una manifestazione per strada. Poi con tutta quella polizia chissà chi saranno questi, gente che ha tempo da perdere…
Questo pensano in tanti, ma non tutti. Quel centinaio di persone non è venuto a mendicare una mancia, ma ha chiesto dignità per il proprio lavoro, ha indicato soluzioni come il reddito di continuità, ha denunciato un contesto di lavoro in cui le dirigenze di grandi istituzioni hanno emolumenti da centinaia di migliaia di euro a fronte di uno sfruttamento sempre più selvaggio.
Questo è il mondo in cui viviamo e per questo va il nostro ringraziamento ai lavoratori e alle lavoratrici dello spettacolo per la manifestazione di venerdì, perché occorre coraggio ad alzare la testa adesso, organizzare presidi e manifestazioni dribblando le norme di sicurezza ma soprattutto l’indifferenza e la rassegnazione in cui siamo immersi. Grazie, perché è solo così che possiamo uscire da questa situazione: insieme. È il motivo per cui saremo presenti accanto a tutti presidi di lavoratori che sfideranno la palude della depressione sociale. Perché un futuro diverso dal presente è l’unico modo che abbiamo per salvarci.