di Roberta Roberti
Il 20 e il 21 settembre andremo a votare per modificare il testo della nostra Costituzione, con lo scopo di ridurre il numero dei parlamentari di 345 unità. Purtroppo, come spesso accade in questo nostro povero Paese, abbiamo visto trasformarsi lo scarso dibattito che ha accompagnato la campagna elettorale in uno scontro fra chi spera di rafforzare e chi si augura invece di far cadere il governo in carica.
È inaccettabile trattare in questo modo la legge fondamentale dello Stato: la Costituzione non può essere oggetto di strategie e di contrattazione politica, né può essere modificata in modo superficiale e approssimativo, promettendo che si provvederà a correggere le distorsioni indotte dalla modifica apportata introducendo altre ulteriori e imprecisate modifiche. Era successa la stessa identica cosa a fine 2016, in occasione della riforma proposta dal governo Renzi. Anche allora i sostenitori del Sì promettevano un intervento a posteriori correttivo di quella che era da loro stessi definita una porcheria.
Credo che gli italiani si siano sempre dimostrati molto più attenti di quello che credono i partiti, quando si tratta di apportare modifiche alla Costituzione, e confido che anche in questo caso decideranno con la loro testa, senza seguire la pancia o i diktat dei segretari di partito.
Dunque, allo scopo di fornire alcune valide ragioni per votare NO senza addentrarmi in tecnicismi molto complessi e nell’analisi dei singoli articoli della carta costituzionale che dovrebbero essere per forza modificati in seguito a questo taglio lineare, vorrei partire confutando i tre assunti principali dei sostenitori del Sì.
Innanzitutto, il risparmio: è già stato ampiamente dimostrato che il risparmio derivante da questo taglio sarà ridicolo, un caffè all’anno per ogni cittadino italiano. In compenso, sappiamo non solo che sono ben lungi dall’essere anche soltanto posti in discussione gli stipendi dei parlamentari. Il taglio di un terzo di questi stipendi garantirebbe davvero un risparmio consistente, lasciando comunque superiori rispetto alla media europea gli emolumenti dei nostri deputati e senatori. Aggiungo che è notizia delle ultime ore che ci si appresta ad assumere più di trecento persone al servizio delle camere. Con buona pace del risparmio, magari per sistemare qualche decina di amici e amici degli amici.
La seconda motivazione di chi propone di votare Sì è l’efficienza. In fondo, si dice, lavora seriamente solo una percentuale ridottissima di parlamentari, gli altri sono assenteisti. A parte il fatto che andando a scorrere le liste degli assenteisti sia alla camera dei deputati che al senato potrebbero avere sgradevoli sorprese (la maggioranza delle assenze sono attribuibili proprio a molti dei più fervidi sostenitori del Sì), dovremmo aver capito ormai che i tagli in nome dell’efficienza sono fregature colossali, soprattutto si trasformano in gravi attacchi alla rappresentanza e alla democrazia. Al contrario, con questo taglio non solo verranno a mancare il confronto democratico e la rappresentanza territoriale, ma il lavoro delle commissioni e degli altri organi parlamentari diventerà macchinoso e precario.
Terza ragione del Sì sarebbe l’adeguamento agli standard europei. Anche in questo caso, la lettura dei numeri si rivela sempre passibile di gravi manipolazioni: non è affatto vero che l’Italia, tenuto conto di tutti i livelli di rappresentanza territoriale, sia così distante dalle altre nazioni europee. Il nostro parlamento conta un maggior numero di esponenti rispetto ad alcuni degli altri paesi europei, ma non va dimenticato che i cittadini italiani non votano né per il presidente della repubblica, né per il presidente del consiglio, come accade altrove. Vogliamo rinunciare anche a scegliere i nostri parlamentari? Perché di fatto, allo stato attuale, il combinato tra la legge elettorale ed il taglio di parlamentari si tradurrebbe in un taglio serio della rappresentanza. Perché dunque non reintrodurre le preferenze, eliminando queste vergognose liste bloccate compilate dai capipartito per garantire l’elezione ai loro fedelissimi? Gli assenteisti, i fannulloni, i disonesti vorrei che ce li potessimo tagliare da soli, andando al voto e non essendo costretti a scegliere fra chi non ha né tempo né interesse né titoli per rappresentare i territori. Territori che tra le altre cose avranno davvero scarse possibilità di vedersi rappresentati adeguatamente, non solo per le liste bloccate, ma anche per il peso profondamente diseguale che i cittadini delle varie regioni avranno nel determinare gli eletti. Esemplare è a questo proposito il caso del Trentino, che avrà diritto nel nuovo parlamento tagliato a 6 senatori, a fronte di un’Emilia Romagna che ne avrà 14. Ciò significa che saranno necessari 127.000 cittadini del Trentino Alto Adige per eleggere un rappresentante, mentre serviranno oltre 300.000 votanti emiliano-romagnoli per ottenere lo stesso risultato. E dove sta la parità dei cittadini sancita dalla Costituzione?
Avremo dunque davvero parlamentari migliori? Migliori per chi?
Forse per le segreterie di partito che non a caso si guardano bene dal coinvolgere la loro base per scegliere chi mettere nelle liste bloccate. Forse per chi ama l’efficienza e preferisce derive autoritarie pericolose al dibattito e al confronto, considerando le minoranze un fastidioso intoppo e non il sale della democrazia. Tra l’altro, proprio a causa della riduzione, in ogni territorio accederanno al Parlamento solo gli eletti dei partiti maggiori, e fra gli esclusi non stiamo parlando di piccoli soggetti politici all’1 o al 2%, ma di forze politiche al 10/12% che non avranno alcuna possibilità di essere rappresentate in parlamento. I collegi uninominali che si verranno a formare saranno eccessivamente estesi (per il Senato si arriverebbe fino a un milione di elettori per collegio), con una discrasia assai accentuata tra le regioni nel rapporto tra seggi da assegnare e popolazione media.
Ci dicono che taglieremo poltrone, invece si tagliano seggi: sono i partiti che hanno trasformato gli eletti in nominati, sono i partiti che ci impediscono di avere buoni parlamentari, che non propongano riforme pasticciate come questa, a causa della quale rischiamo invece di perdere elementi validi non presenti nei grandi partiti o invisi ai loro capi. Se la qualità dei parlamentari si è progressivamente ridotta è accaduto proprio per volontà dei partiti, veri e unici beneficiari di questa riforma, che vogliono assicurarsi parlamentari non competenti e interessati al bene comune, ma obbedienti e fedeli, pronti a mettere da parte il bene collettivo in favore di questo o dell’altro gruppo di interesse e potere. Mi chiedete se il Parlamento che abbiamo oggi è all’altezza del suo compito? No, a mio parere non lo è. Ma non è tagliandolo che si risolve questo gravissimo problema: la qualità della classe politica. Su meno eletti, tra l’altro, agiscono più fortemente anche le pressioni economiche.
Dicendo Sì non si taglia la casta, la si rafforza, non si eliminano privilegi, si indebolisce il Parlamento sia rispetto alla Corte costituzionale, che rispetto al governo. Saranno messe a repentaglio la sua funzionalità, rappresentatività e centralità. Sarà un parlamento succube dei partiti, incapace ancor più di adesso di riforme di ampio respiro. Un parlamento succube dell’ordinario, senza alcuna possibilità di visione.
Ci promettono che poi si farà la riforma elettorale: bene, che facciano prima questa benedetta riforma elettorale che da 20 anni ci viene promessa, e poi potremo anche accettare una riduzione del numero dei parlamentari. Ma delle promesse ex post non ci possiamo proprio fidare, la memoria ci assiste nel ricordarci che i tagli preventivi si sono sempre rivelati colossali fregature per i diritti e la democrazia.