di Margherita Becchetti
Pubblichiamo l’intervento di Margherita Becchetti alla serata di solidarietà con le donne curde e cilene e di presentazione del progetto di Casa delle donne a Parma. L’iniziativa al Circolo Arci Colombofili, la sera del 25 gennaio scorso, ha visto una partecipazione straordinaria di centinaia e centinaia di persone (ndr).
Il percorso che ci ha portato qui è nato quasi un anno fa, da un piccolo gruppo di donne che si sentivano un po’ come Rupi Kaur nella sua bellissima poesia: Mi reggo in piedi / sui sacrifici / di milioni di donne prima di me / pensando / cosa posso fare / per rendere più alta questa montagna / in modo che le donne dopo di me / vedano più lontano.
Un gruppo di donne che ha cominciato a chiedersi per cosa valesse la pena impegnarsi in questo tempo così annichilito, dove poter coinvogliare il tempo e le energie faticosamente strappate a lavoro e famiglia.
Ci siamo trovate l’8 marzo scorso di fronte al pericolo che la città, dopo i due anni di sciopero e corteo di Non una di meno, ritornasse al nulla delle mimose e delle serate tra amiche e non lo abbiamo accettato. Le prime nostre energie, dunque, sono andate lì e nell’organizzazione di quel corteo, abbiamo incontrato molte altre donne con cui siamo divenute compagne di strada. Poi ci sono state altre occasioni di incontri e di battaglie condivise, come la manifestazione di Verona di marzo contro il congresso delle famiglie e la sua visione oppressiva di ciò che una famiglia deve o non deve essere; la protesta a maggio contro il comizio di Roberto Fiore (il leader di Forza nuova, una delle organizzazioni neofasciste più misogine e reazionarie); la serata al Centro giovani Federale per parlare di violenza contro le donne in occasione del processo Pesci; la contestazione di novembre verso la proposta di affido condiviso del senatore Pillon, la nostra presenza in piazza il 25 novembre insieme ai Maschi che si immischiano).
E in ognuna di queste occasioni altre donne si sono avvicinate e hanno cominciato a condividere con noi non solo l’idea che questa città abbia bisogno di uno spazio femminile, di una Casa delle donne, ma anche un senso profondo di indignazione verso ciò che intorno a noi vedevamo succedere nel mondo. Trovarsi e ritrovarsi, per molte donne, credo sia stato soprattutto un prendere coscienza di far parte di un mondo che non si esaurisce in noi.
Dapprima è stata l’aggressione turca in Rojava ad indignarci profondamente. Un’aggressione mossa nell’immobilità internazionale contro una delle esperienze politiche più radicali e innovative del mondo contemporaneo, in cui le donne hanno svolto un ruolo fondamentale, sia nella costruzione di spazi davvero democratici, sia nella difesa delle proprie conquiste.
A colpirci profondamente, poi, è stata l’uccisione di Hevrin Khalaf, non solo una delle protagoniste del Confederalismo democratico del Rojava, ma anche una donna che si è sempre battuta per i diritti e la libertà delle donne in una regione in cui, dal 2011 al 2017, sono state uccise quasi 25.000 donne (di cui oltre 11.000 bambine); in cui più di 8.000 donne sono scomparse o sono state imprigionate, condannate a mesi di torture fisiche e psicologiche. Molte altre sono state stuprate davanti ai mariti e ai figli.
Contro tutto questo si è battuta Hevrin Khalaf prima di essere uccisa, a sua volta, dalle milizie mercenarie arabe che hanno appoggiato l’aggressione turca e per molte di noi questa notizia è stata intollerabile.
Nei giorni immediatamente successivi ci siamo mosse in corteo e poi abbiamo organizzato ad ArtLab un aperitivo quasi cena per consentire ai compagni della Rete Kurdistan di raccontare e raccontarci cosa stesse succedendo in Rojava.
Da lì è nata l’idea di questa serata. Dal bisogno di fare molto di più, di alzare voci più robuste, di unire la nostra voce a quella di altri che provavano la stessa indignazione… le compagne e i compagni di Art Lab e Rete Kurdistan, gli artisti che hanno suonato sabato sera.
Volevamo organizzare qualcosa di grande che potesse essere vissuto da molte persone. E così ci siamo messe in moto. I musicisti non hanno avuto dubbi a regalarci gratuitamente il loro tempo e la loro arte, il circolo Colombofili si è dato disponibile ad ospitarci riducendo all’osso i costi che una serata come quella di sabato normalmente ha. Molte di noi hanno cominciato a darsi da fare. Poi…
Poi sono arrivate le notizie dal Cile, sempre più incredibili, violenze di strada, stupri ad opera delle forze dell’ordine e poi lei, la Mimo Daniela Carrasco, trovata morta col corpo martoriato appesa ad un cancello…
Ancora una volta ci siamo trovate incredule di fronte a una società di uomini che puniscono le donne con lo stupro, con la violenza sul loro corpo. E anche questo ci è parso inaccettabile, anche questa ci è sembrata una battaglia nostra come di molte altre. Così questa serata ha cominciato ad assumere un altro sapore, ci si diceva, come possiamo parlare solo del Rojava con tutto quello che sta succedendo anche in Cile! Come possiamo ignorare l’urlo delle donne cilene contro la violenza patriarcale, che è il nostro stesso urlo contro la stessa violenza che – sebbene in forme per fortuna meno esasperate – subiamo tutte e tutti quanti.
Come possiamo ignorare l’appello che le donne cilene hanno lanciato al femminismo internazionale, il loro flash mob contro la violenza che è diventato un urlo globale, portato nelle piazze da migliaia di donne in tutto il mondo.
Anche il Cile è entrato nel nostro orizzonte, prepotentemente e la serata che volevamo organizzare ha cominciato inevitabilmente a cambiare di forma: non più una serata solo per il Rojava, ma un invito a tutte e tutti a guardare intorno a noi, alle lotte che, in tante parti del mondo, le donne stanno portando avanti, a volte con un coraggio e una determinazione che fanno davvero impressione, in contesti di profondo pericolo, in società violente, dispotiche o teocratiche.
A guardarlo così, il mondo, noi non possiamo non sentirlo nostro, ed ecco perché la nostra serata per il Rojava è diventata Un mondo di donne in lotta. È impossibile per noi, pensare a noi disgiunte dalle altre: il loro sguardo è il nostro sguardo, la loro battaglia è la nostra battaglia, il loro nemico è il nostro nemico.
El violador eres tu. Ma questo tu, si badi bene, per noi non sono gli uomini (come tanti credono pensando erroneamente al femminismo),non sono i nostri compagni uomini, ma quella cultura patriarcale che ancora ci ingabbia tutte e tutti e contro la quale dobbiamo essere sempre più determinati insieme, nelle lotte collettive come nelle piccole cose di tutti i giorni, che sono proprio quelle che più subdolamente ci fanno introiettare – senza che nemmeno ce ne accorgiamo – un modo obbligato di essere o maschi o femmine che poi ci tiriamo dietro per tutta la vita, indipendentemente da ciò che ognuno di noi sente di essere o vorrebbe essere.
Detto tutto questo è facile comprendere perché in questa serata abbiamo poi pensato che sarebbe stato perfetto presentare il progetto della Casa delle donne, cui stiamo lavorando da un anno: ci sembrava il contesto perfetto non solo perché ci sentiamo parte di quel mondo che vi ho raccontato, ma anche perché una festa racconta perfettamente lo spirito con cui molte di noi pensano a una Casa: un luogo che può essere tante cose insieme, può essere incontro, solidarietà e aiuto,ma anche divertimento, leggerezza, confidenza, riconoscimento, condivisione, profondità, confronto. Insomma uno luogo in cui ogni donna possa esprimere le proprie competenze o il proprio desiderio di creare uno spazio a propria misura.
Infine, un cenno a due donne a cui abbiamo voluto dedicare la serata di sabato. La prima è Virginia Wolf, che proprio sabato avrebbe compiuto 138 anni, un riferimento quasi scontato per ogni donna che senta il bisogno di una stanza tutta per sé.
L’altra è una donna che ci ha colpito per la sua determinazione e la sua intransigenza etico morale, una donna che, in nome della lotta che ha portato avanti, ha deciso di scontare in carcere una pena ingiustamente inflittale, rifiutando i benefici che le sarebbero consentiti anche in ragione dei suoi 73 anni. Il nostro pensiero di sabato è andato quindi anche a Nicoletta Dosio, alla sua capacità di dar corpo alle cose in cui crede e al suo essere una donna in lotta.
Il ricavato di questa serata sarà devoluto a Mezzaluna rossa – rete Kurdistan, che sostiene le lotte dei curdi e delle curde del Rojava e al coordinamento Nin Una Menos Cile. La prossima assemblea per organizzare insieme l’8 marzo e continuare il progetto della Casa delle donne sarà martedì 11 febbraio, alle ore 21, al Centro giovani Federale di Parma.