Dal diritto di spacciare al diritto alla rapina

di Francesco Antuofermo

C’era una volta un bambino di nome Donald, forte e irascibile, che non accettava mai il “no”. Quando gli veniva negata una cosa, scatenava la sua ira e sfoderava la sua “spada magica”. E allora tutti dovevano correre a “baciare il suo c**o”.

Quest’estate l’amministrazione Trump ha comunicato l’invio di “tre cacciatorpediniere e un contingente di circa 4.000 militari”, nel mar dei Caraibi, con la motivazione ufficiale di accelerare le operazioni contro i cartelli della droga. I militari, per tenersi in allenamento, hanno poi iniziato a sparare in mare aperto contro le imbarcazioni provenienti dal Venezuela, a scopo preventivo, affondandone una decina e provocando una trentina di morti.

Il motivo ufficiale sarebbe la lotta alla droga: il governo statunitense avrebbe prove concrete che il presidente venezuelano Nicolás Maduro, sarebbe un trafficante colluso con il narcotraffico. Sempre in agosto, il dipartimento di Stato americano ha raddoppiato la taglia per la cattura di Maduro, portandola a 50 milioni di dollari, collegando il presidente venezuelano al cosiddetto “Cartel de los Soles”, un’organizzazione criminale accusata di traffico internazionale di droga.

Legare la minaccia di invasione ad un paese sovrano, alla scusa della lotta al traffico di sostanze stupefacenti, fa sorridere. In verità, storicamente più che alla guerra contro la droga abbiamo sempre vissuto i conflitti per il possesso delle sostanze stupefacenti e per il diritto di arricchirsi con la loro diffusione. Questi conflitti non erano oggetto solo di singoli individui, ma coinvolgevano i grandi stati decisi ad accaparrarsi quella che a tutti gli effetti era ed è una fonte tremenda, ma inestimabile, di risorse finanziarie. Era il caso, ad esempio, dell’Inghilterra dei primi dell‘800, quando la stessa corona britannica pianificava e gestiva il traffico e lo spaccio di oppio verso la Cina per mano della Compagnia delle Indie.

Allora il governo britannico, che pomposamente si dichiarava “esportatore di cristianesimo e civiltà,” mentre da una parte proclamava la sua estraneità al traffico di droga firmando trattati e leggi che lo vietavano, dall’altra obbligava il Bengala a concentrare la sua produzione agricola nella coltivazione del papavero da oppio. A nulla valevano le proteste dei piccoli contadini bengalesi che vedevano compromesse tutte le altre colture.

In questo modo la corona britannica conservava il monopolio sulla produzione “della malefica droga” e forte di un esercito di contrabbandieri poteva concentrarsi sulla diffusione e lo spaccio con mercanti e spedizionieri che si lanciarono nell’impresa di avvelenare l’intero impero cinese.

Il governo dell’Imperatore avrebbe potuto lucrare anch’esso sul traffico imponendo ad esempio un dazio sulle vendite. Infatti, come acutamente osservava Marx: “Già nel 1830, un dazio sull’importazione del 25% avrebbe fruttato 3.850.000 dollari; nel 1837 avrebbe reso il doppio; ma il Celeste Barbaro si rifiutò di imporre una tassa il cui gettito sarebbe cresciuto in proporzione alla consunzione fisica e morale del popolo”. In altre parole, continuava Marx, “mentre il semibarbaro osservava la legge morale, il civilizzato gli opponeva il principio del peculio”. La stessa cosa fa oggi il gangster Trump e tutta la sua allegra congrega, alla quale puoi toccare tutto ma non l’argent.

Per salvaguardare questo lucroso traffico il governo inglese non esitò a dichiarare ben due guerre alla Cina, la quale sconfitta, dovette cedere alcuni importanti snodi di approdo al paese e l’isola di Hong Kong, nonché rassegnarsi alla piaga della diffusione incontrollata della dipendenza da stupefacenti della sua popolazione.

La guerra per il diritto di spacciare promossa dagli inglesi nell’800, fa da riflesso alla guerra per il diritto alla rapina di oggi dove la droga diventa per i grandi stati il pretesto funzionale ad imporre il proprio dominio imperiale.

È vero: negli USA, muoiono ogni anno quasi 100 mila persone per overdose da oppiacei. Ma Trump deve farsene una ragione: il Venezuela non c’entra nulla. Il nemico ce l’ha in casa e sono le grandi multinazionali farmaceutiche americane. Se l’obiettivo del governo fosse davvero la lotta alla droga, sarebbe meglio che indirizzasse le proprie portaerei e le truppe d’assalto contro i colossi farmaceutici di casa. Ma qui probabilmente 4 mila militari potrebbero anche non bastare.

Purtroppo per Trump, la geografia non mente. Il trasporto delle sostanze stupefacenti avviene per vie sicure, vicino ai centri di produzione e dove sono presenti strutture avviate di criminalità organizzata. Il Venezuela non soddisfa quasi nessuno di questi criteri. Lo dice anche il rapporto dell’Ufficio per la lotta alla droga e al crimine dell’ONU, secondo il quale solo una piccolissima parte della droga colombiana transita attraverso il Venezuela mentre ad esempio, oltre 1.400 tonnellate passano dal Guatemala. Ma guarda caso Trump non ha nulla contro il Guatemala, probabilmente perché questo paese è a secco dell’unica droga non naturale che interessa davvero a Trump: il petrolio.

Vicino al Venezuela, infatti, c’è un piccolo paese che si chiama Guyana. Qui nel 2015 si è trovato un enorme giacimento di greggio, maggiore di quelli accertati in certi paesi arabi. Proprio in quell’anno la Guyana ha stretto un accordo con la EXXON americana per sfruttare la risorsa. Ma il Venezuela si oppone: rivendica come propria la regione Esequiba e le sue acque territoriali dove si sviluppa il giacimento e non intende farsi rubare neanche una goccia dai petrolieri americani. Si aggiunga poi che il petrolio del Venezuela, per un valore di 17 mld di dollari, viene venduto in gran parte alla Cina e all’india e questo agli USA non va bene, così come non va bene che altri paesi entrino a trafficare in quel che considerano a tutti gli effetti “il proprio giardino di casa.”

Per questo l’amministrazione americana ha iniziato a sparare su ogni imbarcazione che veleggi dal Venezuela. Per loro tutti sono sicuramente trafficanti e quindi si possono massacrare in via preventiva senza chiedere informazioni. Del resto, lo sta già facendo quel pazzoide di Netanyahu a Gaza, perché non potrebbe farlo anche Trump?  

Il vero oppio di oggi quindi si chiama petrolio ed è per l’oro nero che si fanno le guerre. Altro che tossicodipendenza. Ma questo lo sa bene anche Donald, il bambino capriccioso che vuole tutto: dalla Groenlandia al Canada, dal petrolio alle terre rare. Ma deve stare attento a tirare troppo la corda perché qualcuno prima o poi potrebbe anche stancarsi dei suoi capricci e decidere che in fondo, invece di dargliela sempre vinta, quella famosa “spada magica” anziché servire per farselo baciare, potrebbe finire direttamente “nel suo c**o”.