di Esther Guiducci
Alla libreria la Feltrinelli di via Farini 17, venerdì 16 febbraio, ore 18, verrà presentato il libro di Eros Francescangeli “Un mondo meglio di così” sulla storia della sinistra rivoluzionaria in Italia (Viella 2023, pp. 361). A discutere con l’autore saranno Andrea Cossu, William Gambetta ed Esther Guiducci del Centro studi movimenti, l’associazione che ha organizzato la presentazione. In vista dell’incontro pubblichiamo una recensione di Guiducci [ndr].
Uscito per Viella (2023) «Un mondo meglio di così. La sinistra rivoluzionaria in Italia (1943-1978)» ricostruisce la parabola di quel «sole morente» di cui, a più battute e con diverse modalità, si è sempre discusso: la sinistra rivoluzionaria italiana. L’analisi storica, tuttavia, parte da alcuni presupposti che restringono e specializzano il campo d’indagine ad un oggetto ridefinito nei suoi caratteri; si parla, in questo saggio, di “quell’insieme di organizzazioni ‒ figlie delle teorie ottocentesche e della prassi del primo Novecento ‒ che dal 1943-1978 ha creduto nella rivoluzione sociale o ha cercato di prepararne il trionfo”, già sugellando, in queste righe, tutta una serie di considerazioni attorno a cui si costruisce la ricerca.
Fondamentale per la comprensione di alcune scelte che, altrimenti, rimarrebbero oscure ad un lettore meno specializzato, è l’introduzione al testo. È qui, infatti, che Eros Francescangeli chiarisce gli assunti analitici riguardanti attori, periodizzazioni, genealogie. In primo luogo, per l’appunto, s’intende parlare d’organizzazioni, ma specificamente di quelle che in toto si “autorappresentarono come rivoluzionarie”, escludendo, perciò, tutte le esperienze “liquide” che spaziano dai movimenti alle strutture sindacali; in questo senso, la ridefinizione dei limiti di quella “sinistra rivoluzionaria” a cui si fa riferimento appare del tutto necessaria e di particolare interesse, poiché apre la discussione storiografica circa i confini e i significati attribuiti nel corso del tempo all’espressione e, per estensione, all’area politica e che, difficilmente, trovano corrispondenze. L’autore, pertanto, assume come oggetti centrali tutte quelle organizzazioni alla sinistra della Sinistra ufficiale e che, lungi dal condividere l’approccio al gradualismo riformista, hanno portato avanti l’ipotesi della rivoluzione sociale, non escludendo l’utilizzo della violenza dal repertorio della prassi politica. Ciò permette, di conseguenza, di spaziare in un universo di attori che riannoda il filo rosso dalle esperienze anarchiche post belliche, fino ai gruppi marxisti-leninisti degli anni Sessanta, e le grandi organizzazioni di massa del periodo successivo, come Lotta Continua e Potere Operaio.
I due estremi temporali entro cui si dipana tutta l’analisi, inoltre, assumono senso anche se valutati a partire da una data fondamentale, ovvero il 1968. A questo proposito, le osservazioni di Francescangeli tentano di svincolare la ricostruzione della storia e della cultura politica della sinistra rivoluzionaria dal paradigma della “sessantottogenesi”, che riconoscerebbe nelle esperienze del Sessantotto studentesco le matrici degli sviluppi della stagione dell’antagonismo successivo e dell’esperienza della violenza in maniera totalizzante; possiamo concordare, dunque, che allargare lo spettro temporale al quindicennio precedente permetta di rivedere il rapporto di causalità fra l’evento e ciò che lo ha preceduto; in questo modo, si colmerebbe quell’assenza di memoria la quale, secondo l’autore, avrebbe condotto a interpretazioni genealogiche che non riconoscono come presupposti della genesi dei gruppi in questione quelli propri del pensiero operaio tradizionale marxista e anarchico -quindi incarnati delle organizzazioni già esistenti da più di 25 anni.
Se, dunque, appare di particolare interesse questa rilettura, altro dato da rilevare è che l’analisi si dipana attraverso un uso ampissimo di documentazione archivistica, la quale, peraltro, si avvale anche dell’utilizzo di “carte di polizia”. L’impiegare le scritture in questione per studiare la parabola storica della sinistra rivoluzionaria risulta fondamentale soprattutto perché consente di ricostruire la dialettica che si ingenera fra polizia e rivoluzione, fra potere costituito e potere costituente, fra violenza conservatrice e violenza creatrice. Se, come nota Francescangeli, nessun punto di osservazione può essere considerato del tutto attendibile e la visione nemica può diventare elemento indispensabile nel processo conoscitivo, allora la novità dei documenti e la loro portata ci permette di valutare un’angolazione inedita delle vicende, rispetto alla quale la reazione e i suoi mezzi divengono attori da valutare imprescindibilmente nell’analisi della storia di quest’arco politico.
La narrazione, specializzata e specialistica, attraversa in maniera dettagliata tutto l’arco evolutivo delle organizzazioni, restituendo un’analisi strutturata e che non si limita né all’indagine rispetto al contesto generale, né allo studio particolare di singoli attori. Nell’apertura ad un soggetto i cui confini sono ben delimitati anche dalla propria autodefinizione e autorappresentazione, Francescangeli consegna al lettore l’evoluzione di un’alba e, poi, di un tramonto tutto italiano, ormai stretto alla foce degli anni Ottanta fra il ritorno ad un privato ed a un’autodissoluzione che non risarcisce lo schianto e la scompaginazione delle anime della rivoluzione.