di Cristina Quintavalla
Imponenti forme di mobilitazione, spontanee e auto-organizzate, stanno dando risposta al grido leghista, che incita alla “liberazione della regione emiliano-romagnola”. La mobilitazione di massa è la giusta risposta al fascio-leghismo: attraverso di essa non si consente quella “occupazione del territorio” che la Lega, memore dell’inesorabile incedere fascista negli anni ’20-’22, punta ad attuare, nel tentativo di espugnare cittadelle e roccaforti tradizionalmente imprendibili.
La mobilitazione, peraltro, fa meritoria opera di sanificazione culturale, civile, politica, capace di restituire valore a temi fondamentali come i principi costituzionali, la solidarietà, l’accoglienza, il rispetto, rifiuta l’istigazione all’odio e all’individualismo sfrenato, mette in scena una contro-narrazione che smaschera i reali fini perseguiti da chi fa della lotta contro il nemico interno – migranti, poveri, donne, gay, diversi – l’obiettivo principale.
Negli anni dell’ascesa del fascismo in Italia, è opinione pressoché comune degli storici che la mancata chiamata alla mobilitazione delle masse (per volontà, incapacità, paura…) da parte dei partiti antifascisti, sia stata esiziale. Contro quell’immobilismo dei partiti, riuniti nella cosiddetta “opposizione aventiniana”, reagì il Partito comunista di Antonio Gramsci, che non aderì all’Aventino, pose sotto accusa la tattica di non mobilitare le masse, allo scopo di non spaventare la borghesia e di stabilire un rapporto con le forze economiche dominanti capitalistiche.
Oggi è necessario contrastare il piano della Lega di spacciare per confronto democratico una prospettiva di governo autoritaria pericolosissima, a livello nazionale e regionale, quale è quella che si appalesa nei due decreti sicurezza, il secondo dei quali porta a compimento il disegno di trasformare in crimine ogni forma di opposizione politica e dunque di sottoporre gli oppositori a denuncia, condanna, carcere.
La competizione elettorale che si è aperta in Emilia Romagna, lungi dal configurarsi come uno scontro tra la civiltà da un lato e la barbarie dall’altro, presenta caratteri che dovrebbero profondamente allarmare chi ha a cuore le sorti né magnifiche, né progressive della sinistra.
Accennerò schematicamente ad alcune.
- Il liberismo è l’orizzonte universale
La Lega vuole “Liberare” l’Emilia-Romagna da che cosa? Dal comunismo (!?), da Bibbiano? Salvini attraversa il territorio emiliano-romagnolo giurando “sui suoi figli” che attuerà proprio ciò che gli industriali emiliano-romagnoli vogliono: la seconda tranche della Tibre (impresa Pizzarotti), l’ampliamento della pista aeroportuale a Parma (Sogeap, Unione industriali), la Cispadana, la trasformazione in autostrada della attuale superstrada Ferrara – Lidi di Comacchio, la Bretella Sassuolo-Campogalliano (a favore del grande comparto della ceramica) e via andando. D’altro canto, come ha recentemente detto, “tutti i pranzi e le cene li faccio con gli industriali” (cfr. “La verità!”, 22 novembre 2019).
Si tratta di promesse alternative all’attuale giunta regionale Bonaccini? Nient’affatto. Il Prit adottato prevede la Ti-Bre, l’aeroporto Verdi di Parma, da rafforzare nell’ambito del settore cargo, l’autostrada Sassuolo-Campogalliano, il Passante Nord, la Cispadana. L’opera, un tracciato di 67 chilometri, rappresenta un investimento da oltre 1,3 miliardi di euro complessivi, con una partecipazione finanziaria della Regione di 279 milioni di euro.
E allora chi vuole queste opere e chi non le vuole? Le vogliono entrambi. Gli obiettivi sono gli stessi, ma vengono branditi come fossero diversi e in opposizione. Stesso gioco sulla sanità. Entrambi difendono, certo con gradazioni diverse, la necessità di affiancare a un sistema sanitario nazionale uno privato integrativo. Il recente accordo siglato dal presidente Bonaccini con l’Associazione dell’ospedalità privata, per aumentare la sua quota di prestazioni specialistiche e di ricoveri a spese del servizio sanitario regionale, delineano una sanità a doppia velocità: da una parte un sistema sanitario pubblico, dall’altra un servizio sanitario privato per chi può pagarsi premi assicurativi, polizze, insomma sanità integrativa privata attraverso banche, assicurazioni, o contratti aziendali. Sempre recentemente la Rer (Regione Emilia-Romagna) si è impegnata a sostenere con danaro pubblico il rinnovo dei contratti di lavoro nella sanità privata, alleviandone gli oneri (!!!)
L’Emilia-Romagna ha il sistema sanitario migliore del paese? Probabilmente sì, grazie alle lotte popolari condotte nel passato soprattutto in Emilia-Romagna per l’istituzione di un servizio sanitario pubblico, e grazie alle competenze, capacità, oblatività del personale medico e sanitario, ma potenzialmente compromesse dall’avanzata di spinte privatistiche, che possono seriamente depotenziarne il modello sanitario.
Perché Bonaccini, dunque, destina risorse alla sanità privata, anziché dirottarle a finanziare un Piano Sociale e Sanitario che preveda un incremento degli investimenti per le dotazioni tecnologiche, per il personale e per l’edilizia socio sanitaria, specie nei territori periferici che in questi anni hanno pagato caro lo scotto di un accentramento dei servizi sanitari nelle città? La verità è che l’attuale modello emiliano-romagnolo insegue quello lombardo e veneto, a guida leghista, in cui l’offerta e il sostegno con danaro pubblico della sanità privata, a beneficio di chi può permettersela, ha fatto enormi balzi in avanti.
Un altro esempio? Il rapporto pubblico-privato. Pochi giorni fa è stato siglato in Rer un accordo con Confindustria, denominato Retention, attraverso il quale le imprese multinazionali (P. Morris, Tojota, Procter and Gamble, Lamborghini ecc.), hanno dichiarato per bocca di Sidoli, presidente di Philip Morris Italia, “il loro interesse a difendere e proteggere questo sistema emiliano-romagnolo”, al punto da sottoscrivere un protocollo d’intesa.
La Philip Morris, che ha usufruito di ogni forma di sostegno per il suo insediamento a Crespellano, ha assunto con contratti a termine, li ha rinnovati, ha beneficiato degli incentivi del Jobs act, e poi ha licenziato. Ecco perché ha interesse a difendere questo sistema!
La Regione vive di export come ha dichiarato recentemente Bonaccini? Ma quanto di quell’export proviene da lavoro povero, sfruttato, reclutato attraverso appalti a cooperative di mera manodopera, senza alcun diritto? Le vicende di Castelfrigo, Italpizza, Bellentani, del comparto della lavorazione delle carni, del comparto della logistica hanno squarciato il velo sull’entità delle forme illegali di manodopera, di caporalato, di false cooperative, di pratiche di appalto e subappalto di manodopera da parte delle grandi imprese.
Quale ruolo, quali controlli, quali condizioni sono state posti dalla Regione perché quel profitto non fosse marchiato da uno sfruttamento di segno schiavile? Nel prossimo mese di marzo si celebrerà un importantissimo processo al caporalato nella civilissima Romagna, che vede l’iscrizione a parte civile di oltre una settantina di soggetti, tra istituzioni, enti, sindacati, a tutela dei diritti calpestati dei lavoratori.
Nella Regione, che ha incentrato la sua campagna elettorale sull’orgogliosa rivendicazione: “Noi siamo l’Emilia-Romagna”, il Pd di Bonaccini è lontano anni luce non solo dal PCdI di Gramsci, ma soprattutto da quegli straordinari amministratori socialisti e comunisti che su posizioni di sinistra hanno ben amministrato nei decenni passati, perseguendo il preminente interesse collettivo, attraverso un forte intervento pubblico.
La realtà è che anche in Emilia Romagna (e certo non solo qui) è scomparsa la funzione pubblica e sociale delle istituzioni pubbliche, quella di riequilibrare le storture del mercato, con interventi di redistribuzione della ricchezza e di tutela dei ceti meno abbienti, e si è affermata quella di garantire la concorrenza e di veicolare le risorse economiche dall’ambito pubblico a quello di imprese, banche e finanza.
Il Patto per il lavoro (leggi: per le imprese) siglato in Rer punta a sostenere le imprese nella corsa alla produzione “di valore aggiunto”, che le rendano più attrattive e competitive sul mercato (v. Rer, Premessa in Patto per il lavoro, 25 luglio 2015; anche nel Programma di mandato Bonaccini esplicita la sua priorità: “investire su ciò che può produrre valore aggiunto per il nostro sistema economico produttivo”).
Ma perché della competitività e attrattività delle imprese sul mercato deve occuparsene il potere pubblico? Questo è il drammatico cambiamento che si è imposto: la logica della compatibilità tra l’interesse dei grandi poteri economico-finanziari e quello della gente comune. Quantomeno, dalla svolta della Bolognina in poi, il Pd ha fatto di tutto per accreditarsi come forza liberale e liberista e assicurare la sua fedeltà al libero mercato, al principio della concorrenza, alla remunerazione del profitto e dei processi di accumulazione capitalistica.
Ora al dramma si aggiunge la farsa: nemmeno la Lega mette in discussione la primazia dei mercati. Essa semmai rappresenta la rabbiosa vendicativa reazione dei ceti padronali, in affanno sui mercati globali, che vogliono scaricare sul mondo del lavoro, in termini di brutale negazione dei diritti acquisiti, i costi di una crisi che si preannuncia.
Lega e Pd dunque sono la stessa cosa? Certo che no: hanno storie diverse e valori diversi sul piano assiologico, che li rendono irriducibili. Antipopolare, anti-costituzionale, razzista, difensore della gerarchia, della superiorità di pochi e dell’inferiorità dei molti, dell’ordine, della forza, del patriarcato machista, nazionalista, la Lega è naturalmente filo-capitalista. La convergenza tra Pd e Lega oggi è nella comune difesa degli interessi dei ceti dominanti, plasticamente rappresentata dal comune inseguimento dell’autonomia differenziata, attraverso cui assicurare ad essi affari d’oro, sulla strada della privatizzazione dei servizi e dei territori e mano libera nell’assalto ai beni comuni.
- La legge elettorale distorce la reale rappresentanza popolare
In virtù della legge elettorale maggioritaria a turno unico, approvata dal Consiglio regionale nel luglio 2014, l’agone politico è polarizzato su due candidati governatori: vince tutto (con premio consistente di maggioranza: 9 seggi in omaggio) quello che anche di un solo voto prevale sul principale contendente.
Di fatto la vera scelta è tra due canditati alla presidenza: nel nostro caso tra Bonaccini e Borgonzoni. L’attuale governatore della Giunta emiliano-romagnola, Bonaccini, ha goduto della maggioranza assoluta (con relativo premio di maggioranza) in consiglio regionale, pur avendo conseguito nel 2014 solo 615.723 voti di preferenza su una popolazione di 3.5 milioni di abitanti (a seguito di una fortissima astensione)
È oltremodo evidente l’effetto falsificato della reale rappresentanza popolare grazie a questa legge elettorale maggioritaria. In questo meccanismo di potere la sinistra, che non intenda aggregarsi al carrozzone dei vincitori, è condannata all’irrilevanza politica, sparisce dai circuiti mediatici, pur dovendosi adattare al diktat della personalizzazione della politica e delle regole odierne della comunicazione
- Elezioni senza politica
Le elezioni emiliano-romagnole hanno luogo mentre si consuma pubblicamente la peggiore crisi di identità e di rappresentanza di Pd e M5s, misurata dal progressivo smottamento delle due principali forze di governo, che perdono, seppure in modo differenziato, programmi, suffragi, bacini elettorali tradizionali, attivisti politici, circoli, presenza sui territori.
Nel dibattito elettorale in Emilia-Romagna vanno in scena non ragioni sociali, politiche, progetti, visioni strategiche che rappresentino quella parte di società che dovrebbe discendere dalla natura di classe di una forza politica, ma efficienza, velocità, capacità di fornire soluzioni tecniche e di dare risposte tempestive, ad apparente vantaggio di tutti. Stiamo tutti dalla parte di tutti: lavoratori, imprese, banche, terzo settore, grandi proprietari di immobili, studenti, università e diritto allo studio…
Non scontentare mai nessuno che conti − impresa, potere, ceto privilegiato, lobby che sia − stare al centro, e da lì cautamente muovere ogni tanto un timido colpetto a favore dei bisogni popolari. Il governatore Bonaccini ha il cipiglio dell’amministratore delegato di una società per azioni. Lui, Pd e renziano Doc, può permettersi di criticare il governo (Pd-M5s), presentandosi come un amministratore puro: non solo critica la plastic tax, proposta dal suo governo, ma comunica pubblicamente di correre ai ripari in regione e propone incentivi di decine di milioni, con abolizione delle tasse a quelle tante imprese del packaging che ne sarebbero danneggiate (bella cultura delle istituzioni!!).
In realtà non c’è competizione tra Lega e Pd, che godrà dell’alleanza dei repubblicani, socialisti, Calenda e +Europa, Pizzarotti e Italia in comune, Casini, Regione coraggiosa, sindaci, liste civiche. Il Pd sarà sostenuto da destra e da sinistra in un calderone mortale che stritolerà quella parte di sinistra che ancora una volta si nasconde sotto l’ascella protettiva del centro-sinistra.
Si aggiunga che la Borgonzoni è la peggior competitor possibile: non parla, sorride, è impreparata, studia a memoria le cose che lo staff le prepara e che ripete senza rielaborazione alcuna. È la drammatica figura della donna-immagine, schiacciata tra due maschi dominanti, Salvini e Bonaccini. Naturalmente non ci aspettiamo da lei uno scatto di dignità, essendo essa stessa veicolo di una visione fortemente patriarcale del potere.
Uno scatto di dignità è invece richiesto a chi, pur consapevole delle sconfitte subite, sta a cuore la sinistra. Occorre presidiare il campo della sinistra, in vista delle elezioni, ma soprattutto in vista del dopo, quando il cerchio magico del potere si richiuderà, ad ognuno sarà dato il suo compenso e le cambiali saranno pagate in termini di difesa di precisi interessi.