Dall’austerity al riarmo: la crisi del paradigma europeo

di Marco Baldassari


“L’Europa politica è in stallo. Le retoriche dell’integrazione sembrano svuotate, mentre crescono le fratture tra centro e periferie, tra governance e rappresentanza. Un pericoloso e cieco rilancio attraverso il riarmo sta adombrando il vecchio continente”. Di questi temi tratta il corso che inaugura il nuovo anno della Libera Università del Sapere Critico e ha come titolo Nel labirinto dell’Unione europea. Storia e critica dell’ideologia europeista curato da Marco Baldassari. Gli incontri saranno 4 da martedì 28 ottobre al 18 novembre dalle 18.30 alle 20 alla Casa delle donne di Parma (via Melloni 1). Per iscrizioni o informazioni lusc.csm@gmail.com.


Uno spettro si aggira per l’Europa: la russofobia e la retorica del riarmo. La costruzione del nemico, insieme allo “stato di eccezione” (la crisi per la sicurezza), rappresentano gli strumenti politici attraverso cui le classi dominanti cercano di affrontare la crisi del capitalismo e del suo processo di accumulazione. In questo senso, il passaggio dall’austerity al warfare che caratterizza gli ultimi quindici anni appare del tutto consequenziale e coerente con i tentativi di puntellare un edificio comunitario in fase di dissoluzione. Un declino che riguarda tanto l’UE quanto i suoi Stati membri, considerati singolarmente. Il destino che li accomuna all’interno di questa gabbia neoliberale del “vincolo esterno” è lo stesso che, in Italia in particolare ma non solo, si manifesta con un neoliberalismo conservatore, reazionario e antisociale: la variante “alt-right” di quello progressista, altrettanto esiziale e antidemocratico. Si potrebbe definire, a tutti gli effetti, un “liberalismo autoritario”.

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Sostenere la lotta di liberazione delle donne non basta!

William Gambetta*

Appartengo a quella generazione che si è avvicinata alla politica a metà degli anni Ottanta, prima della crisi del “comunismo novecentesco” e dopo la grande ondata dei movimenti giovanili degli anni Settanta. Ho iniziato la mia “militanza” nell’arcipelago dei collettivi della sinistra antagonista, dove ho imparato i rudimenti dell’analisi, i linguaggi, i riti e le forme di lotta di quell’universo. Ad esso mi sento ancora legato. E sebbene non lo idealizzi, lo ricordo senz’altro più stimolante dell’ipocrita teatrino politico neoliberale. Che già allora, peraltro, si andava delineando.

Appartengo a quella generazione di militanti che ha fatto proprie, nonostante l’artiglieria massmediatica dell’anticomunismo dilagante, le basi del pensiero marxista (nelle sue diverse declinazioni) o quello libertario e anarchico. Una generazione di militanti che si sentiva in continuità con le lotte del decennio precedente, quelle del “lungo Sessantotto”. E che continuava a urlare la propria rabbia contro “i padroni”, “il capitalismo” e “l’imperialismo”. Fra le culture e le esperienze delle quali ci sentivamo eredi c’era senz’altro anche il femminismo, con le sue parole di liberazione dal patriarcato e dal maschilismo. Da quelle parole ho cercato di farmi guidare non solo nelle scelte politiche ma anche nella vita personale.

Qualche anno fa, poi, quasi all’improvviso, ho iniziato a sentire parole nuove, scandite da donne di un’altra generazione. Donne che, ancora, scuotono il presente. E con esso anche uomini come me.

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Gaza segna un punto di rottura senza ritorno

di Cristina Quintavalla

È un giudizio condiviso che le manifestazioni per la Palestina, culminate il 22 settembre, abbiano raggiunto un successo mai visto nella storia recente, non solo per i numeri dei manifestanti, ma anche per il sostegno della popolazione civile, che al passaggio dei cortei, solidarizzava e si riconosceva in qualche modo negli slogan dei manifestanti, applaudendo, facendo suonare le sirene, i clakson, alzando i pugni….

Stanno prendendo posizione contro il genocidio in corso intere categorie sociali, in forza del lavoro che svolgono, del ruolo che rivestono, del posto che occupano nella società. Non si era mai visto che anche i preti, in quanto tali, organizzassero un corteo e decidessero di manifestare, di prendere la parola nello spazio pubblico per dire che la neutralità non è un’opzione ma complicità. Come a dire che non potrei più fare il prete e predicare, il medico e curare, l’artista e recitare, l’insegnante e insegnare, senza prendere posizione, senza dire da che parte sto della storia. Senza dire perché preghiamo, insegniamo, curiamo, a quale fine, per quale umanità, per quale convivenza di uomini, donne, popoli, per quali diritti, e quali punti di riferimento certi. Come se la neutralità o l’indifferenza tradissero la precarietà di ogni senso, lo sfaldamento di quei riferimenti che ci guidano lungo il sentiero percorso nella nostra vita, perché poggi su un senso.

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Noi ci siamo! Gli altri continuino a leggersi la “Gazzetta di Parma!

di Andrea Bui*

Lunedi 22 settembre è successo qualcosa di straordinario, una mobilitazione che non si vedeva in Italia da decenni. Anche Parma non ha fatto eccezione e non ricordo una piazza così piena in un mattino di sciopero, con un meteo non certo favorevole. Non ci si aspettava che saremmo stati così tanti ed è stata una bellissima sorpresa.

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L’omicidio di Mario Lupo ai tempi di Fratelli d’Italia

di William Gambetta

Funerali di Mario Lupo. Parma, 28 agosto 1972 (foto di Beppe Fontana).

Quest’estate la “Gazzetta di Parma” ha pubblicato una lunga intervista, curata da Paola Guatelli, a Edgardo Bonazzi, l’omicida di Mario Lupo[1]. Il titolo racconta già l’essenza di queste due paginone: “Ho ucciso Mariano Lupo, ma non doveva succedere”. Sostanzialmente l’ormai anziano Bonazzi, che per questo e altri reati ha passato in carcere numerosi anni, ribadisce la tesi della morte di Lupo come «disgrazia, qualcosa che non doveva accadere».

Una tesi già avanzata all’epoca da lui e dai suoi avvocati nei due processi che si svolsero ad Ancona tra l’estate del 1975 e quella del 1976 e alla quale non credette né il Tribunale d’appello ‒ che condannò per «omicidio volontario» Bonazzi a 14 anni e 8 mesi di reclusione, Andrea Ringozzi a 9 anni e 4 mesi, e Luigi Saporito a 6 anni e 3 mesi ‒ né la Corte di cassazione che quella sentenza confermò. Secondo la Corte d’appello, infatti, non potevano esservi dubbi «sul fatto che i giovani missini, quella sera, avevano in animo di fare qualcosa, e si erano preparati in tal senso»[2].

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Sotto lo stesso cielo: a Fidenza una serata di ascolto, coraggio e festa

Potere al Popolo Fidenza

Venerdì 6 giugno, all’ex Macello di Fidenza, si è tenuta una serata intensa ed emozionante organizzata da Potere al Popolo Fidenza: “Sotto lo stesso cielo – Orizzonti di donne”, un nome che è diventato realtà grazie alla forza delle parole, in cui voci spesso tenute ai margini si espresse con coraggio.

La serata si è aperta con sapori dall’Africa: piatti preparati con arte e passione da Taama African Food Experience. Aicha ha condiviso una parte di sé, della sua storia, delle sue radici. Un gesto semplice ma potente: condividere il cibo come atto di resilienza e di memoria, come modo per dire “questa sono io, questa è la mia storia”.

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“Una selvaggia pazienza ci ha condotte fin qui”. Apre a Parma la Casa delle donne

Elisabetta Salvini

Sabato scorso, 31 maggio, in via Melloni, a Parma, è stata inaugurata la Casa delle donne. Dopo sei anni di iniziative e trattative con il Comune di Parma, il collettivo transfemminista apre questi nuovi spazi per nuove mobilitazioni. Di seguito pubblichiamo l’intervento di Elisabetta Salvini, presidente dell’associazione, all’inaugurazione [ndr].

Abbiamo avuto tanto tempo a disposizione per prepararci e, tra le tante cose che abbiamo pensato per questa serata, c’è anche una cartolina che contiene una frase che ci sembrava perfetta per l’occasione. “Una selvaggia pazienza ci ha condotte fin qui”. Una frase che insieme al sottotitolo Storia di un gruppo di donne a Bologna negli anni ’70 e ’80, era il titolo di una ricerca edita nel 1991 dall’associazione Lavinia Fontana di Bologna. E noi l’abbiamo scelta per due motivi. 

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Perché al prossimo referendum voterò Sì

Francesco Antuofermo

«Tutti gli avvenimenti sono concatenati nel migliore dei mondi possibili, ma bisogna coltivare il nostro giardino » Voltaire

Il prossimo 8/9 giugno si voterà per i referendum: quattro quesiti riguardano alcune norme sul lavoro, approvate dall’intraprendente Matteo Renzi, quando alla guida del PD, per compiacere la classe padronale, promosse il Jobs act; Il quinto referendum invece intende dimezzare da 10 a 5 anni i tempi di residenza legale in Italia utili per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana. Accantoniamo per ora questo ultimo quesito, per il quale votare Sì dovrebbe essere un atto dovuto di civiltà e di progresso e concentriamo il ragionamento sugli altri quattro.

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Non per sorellanza

di Elisabetta Salvini

Scrivere del libro di Margherita Becchetti, Non per bellezza. Donne (e uomini) nella lotta partigiana, edito da Mup nell’aprile del 2025, significa, per me, scrivere del libro di un’amica/sorella e compagna di scelte ed è insieme la cosa più facile e più difficile che ci sia.

Facile, perché le parole di chi condivide i tuoi stessi percorsi di studio e il tuo stesso sguardo sul mondo sono anche le tue. E in quelle parole ti ci metti comoda, ti ci ritrovi e il sentirle così vicine le fa inevitabilmente sembrare giuste, quasi fossero le sole possibili, le sole in grado di restituire quella quelle storie, quelle vite, la storia.

Tuttavia, per le stesse ragioni, diventa anche difficile. Perché la riconoscenza è uno strano motore che rischia di ridurre la lucidità necessaria per porsi domande e, se serve, criticare, prendere le distanze.

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Lesignano e la coscienza resistente

di Marco Severo*

*Intervento per la Festa della Liberazione svolto a Lesignano de’ Bagni il 25 aprile 2025, basato sul libro “Sangue sulla neve. L’uccisione del partigiano Ernesto Pelagatti, Lesignano de’ Bagni, 1944” (Centro studi movimenti Parma, Comune di Lesignano, Anpi provinciale, 2017)

Ottant’anni fa, nel 1945, a Lesignano de’ Bagni alle porte di Parma la Resistenza andò oltre la Resistenza. Quando le formazioni partigiane dopo l’insurrezione del 25 aprile deposero via via le armi, Lesignano non ritenne ancora di aver finito. Tutt’altro. Per certi aspetti, il colpo più potente contro il nazifascismo doveva ancora essere sparato: più forte e più puro d’un colpo di sten.

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