Informazione oggi, se ne parla online con Gabanelli, Verdelli, Feltri, Dominici

di Vera Marchesi

Nel 1952 nel film L’ultima minaccia Humphrey Bogart pronunciava una delle frasi più  fiche della storia di Hollywood: «È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non puoi farci niente! Niente!». Da ovazione finale. Da rivedere oggi.

Nella scena in chiusura di pellicola si vedeva il protagonista, un giornalista, che al telefono si rivolgeva provocatoriamente al boss di un’organizzazione criminale facendogli poi ascoltare il rombo delle rotative mentre queste stampavano un’inchiesta che smascherava i crimini dell’organizzazione criminale. Un’americanata senz’altro, ma comunque una trovata scenica efficacissima nel descrivere il ruolo libero svolto dalla stampa, incoercibile e tenace, nella tutela dei principi fondanti di un paese democratico.

Quella nitidezza e nettezza, quella solidità dell’idea di informazione, se vogliamo muscolare anche, ma giustamente orgogliosa che sottende alla scena di Bogart forse oggi ci manca. Quel vedere le cose a una dimensione, quella certezza secondo cui da un dato presupposto non può che derivare una precisa conseguenza, oggi, nel tempo della fluidità e dello sgretolarsi delle verità assolute, della sfiducia nelle agenzie di mediazione – tra cui appunto la stampa, tradizionalmente intesa – ci interroga e ci pone difronte al balbettio incerto (o viceversa al frastuono di fondo) dell’ecosistema della comunicazione.

Il Centro studi movimenti di Parma ha scelto allora di intitolare “Era la stampa, bellezza! Dal modello novecentesco alla post-verità: a che punto è l’informazione oggi” il ciclo di incontri sui media che ha organizzato con l’intento di aprire alla discussione sullo stato di salute della stampa. Tre sono gli appuntamenti, previsti online nel mese di ottobre. Quattro gli ospiti, tra i nomi più apprezzati  del giornalismo e della ricerca sulla comunicazione: Milena Gabanelli, Carlo Verdelli, Stefano Feltri, Piero Dominici.

Si partirà sabato 10 ottobre, alle 17,30, in collegamento sul canale Youtube del Centro studi movimenti, con Milena Gabanelli, già ideatrice e conduttrice del noto programma Report su Rai3, attualmente autrice di inchieste sul Corriere della Sera e su corriere.it con la rubrica Dataroom. Dialogherà con lei il giornalista Marco Severo.

Secondo appuntamento una settimana dopo, sabato 17 ottobre, sempre alle 17,30 ancora sul canale Youtube del Centro studi movimenti, quando Severo converserà con Piero Dominici, docente del Dipartimento di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Perugia; e con Stefano Feltri, direttore di Domani , il nuovo quotidiano fondato da Carlo De Benedetti.

Chiuderà il ciclo di incontri Carlo Verdelli, editorialista del Corriere della Sera e già direttore, tra gli altri, de la Repubblica e de La Gazzetta dello Sport. Appuntamento venerdì 30 ottobre, alle 17,30, sul canale Youtube del Centro studi movimenti.

“La necessità urgente che ispira l’iniziativa – spiega Marco Severo, coordinatore degli incontri  –  è quella di coinvolgere giornalisti di grande esperienza o protagonisti di progetti innovativi  in una serie di conversazioni pubbliche sulla qualità del sistema dell’informazione, tema secondo noi cruciale e che spesso, al contrario, è relegato agli ambienti degli addetti ai lavori e che quasi mai diventa compiutamente argomento di riflessione”.

I mezzi di comunicazione, specialmente quelli basati sull’uso delle moderne tecnologie, sembrano svolgere un ruolo di leva sulla frammentazione e disgregazione del nostro vivere attuale. L’indebolimento dei legami e la crisi delle élite intese come centri dispensatori di un sapere specialistico e di un indirizzo etico (partiti politici, mezzi di informazione tradizionali, forse persino scuola e istituzioni religiose) hanno creato una distanza fra gli individui favorendo il coinvolgimento sempre più cospicuo degli stessi media nel processo di formazione delle identità individuali e collettive. Resta da capire allora se tra i nuovi mezzi di informazione la Rete, in particolare, sia il veicolo di una tecnologia della comunicazione e della conoscenza oppure resti, semplicemente, una tecnologia della connessione.

La scelta, che non deve essere fra le doglianze degli apocalittici circa i pericoli della tecnologia e gli entusiasmi degli integrati, è piuttosto fra un ecosistema della connessione che replichi la disgregazione e dunque perpetui la complessità della società attuale, oppure un ecosistema della comunicazione che di questa complessità tenti una raffigurazione onesta facendosene interprete. Un’idea accelerata e più precisa di quale fra i due poli magnetici eserciti attualmente maggiore attrazione per la stampa ce la siamo fatta, in molti, in questi mesi di emergenza sanitaria, attraverso i titoli e il racconto spesso sensazionalistico della pandemia da coronavirus.

Il primo settembre scorso – per citare un esempio di racconto mimetico, cioè artefice più che interprete della realtà e della sua complessità – il corriere.it aveva in home page il titolo “Rientro a scuola, quali prof potranno stare a casa? E cosa rischiano i ‘furbetti’?”. A parte l’uso dell’inflazionato “furbetti”, che le cronache attribuiscono da anni a differenti categorie professionali per descrivere il comportamento fraudolento e apparentemente ingegnoso di alcuni lavoratori accusati di reati contro la pubblica amministrazione, è interessante notare come stavolta nel cassetto affollato dei “furbetti” sia finita una certa categoria, gli insegnanti, prima ancora che questa categoria commettesse reati contro la pubblica amministrazione, giacché il primo settembre le scuole non avevano ancora riaperto.

La pigrizia del titolista (il titolo, per la verità, all’interno del giornale era leggermente diverso) nel far ricorso alla prima definizione venutagli in soccorso nella fretta dell’impaginazione si somma in questo caso ad un automatismo retorico che finisce per agire direttamente sulla realtà dei fatti operando un’assimilazione tale da creare una categoria sociale di fatto inesistente – i prof sfaticati e imbroglioni – finendo per modellare la scena anziché descriverla e raccontarla. Il primo settembre i prof furbetti ancora non esistevano (e non esistono neppure adesso)! Eppure erano già furbetti, con tutto ciò che questo implicava sul piano della trasmissione di un contenuto presso i lettori, di cui sembrava di sentire già il coro di brontolii (“ecco, ci mancavano gli insegnanti…! Non gli è bastato non fare niente per sette mesi, adesso se ne inventano di tutti i colori pur di non tornare a lavorare…” e via dicendo).

Il ciclo di incontri “Era la stampa, bellezza!”, promosso con la collaborazione della Regione Emilia-Romagna, muoverà da questi spunti di riflessione e, senza pretese di esaustività, proverà ad abbozzare un quadro sull’evoluzione del sistema della comunicazione, sul ruolo, sulla responsabilità e sulla formazione professionale dei nuovi protagonisti dell’informazione, sulle abitudini emergenti e sugli spiragli di futuro. Senza eludere in definitiva la domanda di fondo, negli anni delle grandi piattaforme web e dei social network: ma davvero i giornali e gli Humphrey Bogart moderni servono ancora a qualcosa?

Per info: centrostudimovimenti@gmail.com, Facebook

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