Nella nebbia della sanità privata

da Infopoint Barricate

Uno studio sulla natura, la dimensione e gli attori principali della sanità privata in quella che poi si attesterà come la regione italiana più colpita dall’emergenza del coronavirus. Parliamo de “La Nebbia sulla Sanità Privata in Lombardia”, un testo attuale, urgente e soprattutto necessario, scritto da Maria Elisa Sartor, professoressa a contratto dell’Università degli Studi di Milano, che coraggiosamente ha messo a disposizione le sue ricerche per comprendere meglio un fenomeno resosi ancora più inquietante con la diffusione del Covid-19.

L’interesse dell’argomento è più che evidente, dal momento che proprio nella Regione più ricca d’Italia, e che è dotata del sistema sanitario maggiormente sbilanciato verso la privatizzazione, si è scatenata la pandemia con dei tassi di contagio e di mortalità tra i più elevati al mondo. Esiste una correlazione positiva tra un sistema sanitario privatizzato e la diffusione del Covid-19? Molto probabile, anche se non è questo il tema principale del breve saggio che presentiamo. L’oggetto, infatti, è in primo luogo la “nebbia” che circonda la natura e le dimensioni della privatizzazione. Nebbia accuratamente generata e organizzata, spesso anche da istituti di ricerca evidentemente conniventi con questo sistema, per impedire al cittadino-utente dei servizi sanitari di comprendere quanto il processo sia spinto radicalmente avanti e delle conseguenze che ne derivano.

Sintetizzando il testo, cui rimandiamo per la lettura integrale, in Lombardia alcuni enormi gruppi della sanità privata (San Donato, Humanitas, Maugeri, Poliambulanza, Veronesi, Multimedica) si accaparrano poco meno della metà delle risorse pubbliche destinate sia ai ricoveri che alle prestazioni diagnostiche e ambulatoriali, senza contare le prestazioni erogate dalla sanità privata in regime di “solvenza” (totalmente a carico del malato). Si tratta di gruppi talmente grandi da esercitare una preponderante pressione sulle scelte della Regione e dell’Assessorato (che si chiama Direzione Welfare), spingendo il sistema verso la privatizzazione sempre più spinta, ma anche verso una dimensione fortemente “industriale” e iper-specializzata che drena risorse dal resto del paese e genera flussi di “turismo sanitario”. Un sistema che necessita di clienti “malati” da curare ed è strutturalmente inadatto a coltivare la prevenzione o la medicina territoriale. Questo probabilmente è il fattore principale che determina una certa relazione causale tra privatizzazione e diffusione dell’epidemia.

Colpisce anche la questione, messa a fuoco dalla Sartor, relativa al complesso e intricato sistema proprietario di questi grandi gruppi: in sostanza, nel mondo della salute come merce si afferma il predominio della finanza internazionale e delle imprese multinazionali, creando ulteriori fattori di rischio e di speculazione su quello che dovrebbe essere un diritto (naturale e universale insieme) riconosciuto ad ogni cittadino. A questo proposito, come sottolinea l’autrice, diventa fondamentale continuare un percorso di ricerca con l’approfondimento di alcuni possibili filoni d’inchiesta: in sintesi, si tratta d’indagare le cause dello sbilanciamento del sistema sanitario lombardo a favore del privato, completare e precisare il quadro riferito agli erogatori privati e le strutture “intermediarie” che li favoriscono, analizzare le prospettive del Sistema Sanitario Nazionale in Lombardia e i rischi per i cittadini.

In conclusione, non si tratta solo di una lettura che semplicemente consigliamo: la speranza è che sia uno stimolo a un’inchiesta da sviluppare sul mondo della sanità privata a Parma, considerato anche il nesso esistente tra questa e alcuni gruppi privati lombardi, in particolare il gruppo Garofalo (GHC) che negli ultimi anni ha acquisito diverse strutture private nella nostra città e in Emilia Romagna.