Supporto Popolare a Parma: un bilancio provvisorio e qualche idea per proseguire

di Sante Lapertura*

 
Sono passate sei settimane dalla prima consegna: era il 18 aprile, in pieno lockdown: quasi cinquecento decessi e oltre tremila contagiati. Quel giorno ci lavorammo in tre: due a comporre le cassette sul magnifico tavolo da lavoro di Oltrefood, uno a consegnarle, approfittando del permesso di circolare in auto per ragioni lavorative. Cinque piccoli contributi a persone in difficoltà che avevamo rintracciato grazie a contatti personali oppure chiedendo in parrocchia. L’altro ieri – 21 maggio – abbiamo consegnato venti cassette, ormai siamo a un centinaio in totale: alcuni ci hanno raggiunto attraverso il numero di telefono del Supporto Popolare, altri si sono fatti vivi attraverso canali informali.

Si tratta di una crescita importante, che non ha riguardato soltanto il numero delle persone cui diamo una mano. È aumentato il numero di volontarie e volontari: un grazie va alla squadra di calcio antirazzista La Paz per le braccia e i cuori, e ad Art Lab per la disponibilità logistica (quel bel tavolone di fronte alla cassa e di fianco a miele e marmellata ormai non ci basta più). Sono cresciute, inoltre, le donazioni. All’inizio abbiamo fatto affidamento sulla generosità degli aderenti di 
Potere al Popolo! Parma, ma già a fine aprile la carta prepagata registrava numeri che non ci saremmo aspettati. A oggi, infatti, abbiamo ricevuto circa duemila euro di donazioni libere, spendendone la quasi totalità (quindi, se tu che leggi hai possibilità e l’iniziativa ti piace, mandaci qualcosa. Anche pochi euro possono fare la differenza!). Pure l’entità dei contributi ci forniva dati interessanti: nessuna donazione singola superiore ai cento euro, moltissime tra i dieci e i venti. Certo non ci dispiacerebbe ricevere un lauto sostegno da qualche filantropo benestante – sappiamo bene come mantenere la nostra autonomia – ma ancor più ci inorgoglisce sapere che chi ha deciso di sostenere questa pratica di mutualismo viene dal nostro stesso mondo: in fin dei conti, il nostro slogan è “solo il popolo salva il popolo”, e certo non si tratta di parole di circostanza.  
 
Insomma: l’avevamo pensata e ripensata questa iniziativa, già da fine marzo: starsene con le mani in mano mentre fuori la crisi sanitaria esplodeva e rapidamente si trasformava in crisi sociale era, semplicemente, incompatibile con il nostro DNA. La solidarietà attiva era l’unica risposta e abbiamo deciso di praticarla: cibo, vestiario, mascherine quando possibile, saponi e qualche libro per bambini. Sappiamo bene di non poter essere risolutivi, ma poco è meglio di nulla e da qualche parte bisogna pur cominciare. Inoltre, ciò che facciamo non è assistenzialismo: attraverso il confronto con le persone che aiutiamo mettiamo a punto con più precisione le mappe della povertà che affliggono questa città, impariamo come coinvolgere chi purtroppo si trova in quei territori e forniamo – nel nostro piccolo e con tutti i limiti del caso – strumenti per l’auto-organizzazione, cioè per aggredire la diseguaglianza in profondità e non solo dove si manifesta nel modo più brutale. Allo stesso tempo eravamo consapevoli che le cause profonde di questa pandemia non stavano solo nei tagli criminali alla sanità e nell’avidità padronale. Chiariamoci: ai fautori dell’austerità (politici e amministratori) e a Confindustria auguriamo tutto il male possibile. Però c’è di più, e di quel ‘di più’ bisogna tener conto. Non è un caso se i patogeni circolano oggi a una velocità impazzita e mettono a rischio la salute (umana e non) con una frequenza inimmaginabile fino a pochi anni fa. La ragione è nota: l’organizzazione economica del rapporto tra società e natura è del tutto squilibrata. Il mondo in cui viviamo, basato sul profitto a ogni costo, è l’habitat ideale per la moltiplicazione di minacce sanitarie come quella che stiamo vivendo. 
 
Bisognava, dunque, trovare il modo di affiancare alla solidarietà attiva la giustizia climatica, l’unica arma capace di tradurre in pratica lo slogan che ha ispirato l’azione dei movimenti sociali in tutto il mondo: non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema! Per farlo abbiamo scelto, contro la ragione economica che mette in fila le priorità in base al prezzo, di acquistare prodotti del territorio, per quanto possibile. Qui dobbiamo dirla tutta: senza l’appoggio effettivo di Oltrefood non ce l’avremmo fatta. La cooperativa, che già ha un suo circuito di spese solidali, ci ha messo a disposizione in modo laico una gran quantità di prodotti a margine zero, cioè senza guadagnarci nulla.
 
Ciò detto, i nostri obiettivi erano due: accorciare le filiere di produzione e distribuzione del cibo, da un lato, sostenere chi rispetta i diritti dei lavoratori e la fertilità dei suoli, dall’altro. Sappiamo benissimo che il cibo spazzatura che riempie parecchi scaffali della grande distribuzione si smercia a prezzi ridicoli perché chi lo fa riceve salari da fame e perché i campi vengono inondati di pesticidi spesso dannosi se non addirittura tossici. 
 
Nulla di tutto questo può e deve continuare in futuro, se davvero vogliamo risolvere i problemi socio-ecologici alla radice. Per questo ci sentiamo vicini sia ai braccianti che hanno scioperato ieri al grido di “prima la dignità” sia agli operai che tra marzo e aprile hanno interrotto la continuità produttiva dei settori non-essenziali rivendicando “prima la salute”. Un pianeta in salute ha bisogno di un mondo più giusto, e viceversa. 
 
Per concludere: il nostro Supporto Popolare non è che una goccia nel mare stupendo delle brigate volontarie d’Italia, d’Europa e del globo. È parte di un mutualismo pandemico che in questo tempo di distanziamento forzato ha mostrato, a chiunque volesse guardare, che un mondo diverso e più bello richiede un lavoro di cura collettivo incompatibile con l’imperativo del profitto a ogni costo. Stiamo imparando a vivere diversamente e non abbiamo nessuna intenzione di fermarci.
 
 
* Attivista di Potere al popolo! – Parma