La città invisibile

di Milo Adami

Una scena dello spot per Parma 2020

Una giovane donna, alta, capelli neri, statuaria, carnagione bianco latte, si aggira tra le strade del centro di Parma. Ancestrale, inespressiva, quasi a disagio nei movimenti, la ragazza sembra fuoriuscita dal ritratto di famiglia di una nobile casata. “Guärd’la lì, la siòra, l’è gnuda zò con nuätòr? Mo co’ fala? La s’è persa?“.

La ragazza di Parma (sic) è di giallo vestita, “giallo Parma”, simbolo di saggezza, noblesse, grandeur, giallo come la maglia del Tour de France, anche se qui la cultura popolare non c’entra, qui si parla di ECCELLENZA (con tante maiuscole si badi bene), questo è il video di lancio di Parma 2020 CAPITALE della CULTURA e si merita pertanto un’analisi approfondita.

Una scena dal film “Prima della rivoluzione”, di Bernardo Bertolucci

Si racconta che l’idea della ragazza in giallo sia un omaggio alla sequenza in cui Adriana Asti, l’elegante zia borghese milanese Gina – nell’opera seconda di Bernardo Bertolucci, Prima della rivoluzione (1964) – cammina per acquisti tra le strade di Parma insieme a Fabrizio, interpretato da Francesco Barilli. (Questa la sequenza). La musica è effettivamente la stessa, il brano Ricordati di Gino Paoli, una scelta pregevole, magistrale (e cara se pensiamo ai diritti di sfruttamento), imprescindibile se di ripiego si fosse preferito un artista della nutrita cultura musicale parmigiana. È arcinoto del resto che in Italia la cultura spesso monumentalizzi o mummifichi quel che è stato, e sacrifichi quel che è ora (pazienza si dirà, tutto non si può fare); errore in parte dovuto ad una non precisata definizione di che cosa sia veramente cultura: una vetrina da spolverare, un narciso da mostrare, un passatempo, un profitto? Oppure vita, vitalità, corpo sensibile e pulsante?

Basta per ora lamentatio intellettualistiche, torniamo alla bella Parma e confrontiamola con quella del 1964 del maestro Bernardone (lo chiamo così per sommo affetto e per sdrammatizzare l’aura magistrale che all’arte arreca solo danni). Adriana Asti, vestita con un abito bianco, nel film Prima della rivoluzione, si aggira in una piazza Garibaldi gremita di tavolini, ombrelloni da bar, abiti e cappelli eleganti, sorridente schiva gli sguardi indiscreti del maschio guardingo: una vera piazza italiana. La ragazza in giallo di oggi cammina in una piazza semi deserta, qualche passante, taxi, forse è una calda domenica d’agosto? Per certo una calma desertica, di rivoluzioni manco l’ombra. Un fenomeno non troppo isolato se pensiamo ad altre città come Roma, Firenze, Venezia, i cui centri storici negli ultimi due decenni hanno perso quasi totalmente la loro identità, assumendo la forma di quartieri bed and breakfast, privati di un tessuto abitativo e artigiano, le loro piazze e i monumenti accolgono turisti globalizzati o movide sbevazzanti, e poi negozi di souvenir, pizzeria a taglio, gelaterie, grandi catene multinazionali, città non più città. Di Parma si sa ancora poco ma basta percorrere le arterie principali del commercio per accorgersi del deserto di negozi chiusi che ovunque ti colpisce, via Bixio è esemplare, il centro è oggi un luogo di grandi bellezze ma circondato da un vuoto assordante. 

Ad ogni modo, la ragazza di giallo vestita non nota questi dettagli, cammina che ti cammina, preceduta da un elegante, maestosa, estetizzante ripresa in dolly (questa no, Bernardo non l’avrebbe mai fatta), arriva come volando all’ingresso del teatro Regio. É qui, a soli 35 secondi dall’inizio, che il nobile, nobilissimo, riferimento a Bertolucci crolla inesorabilmente, facendosi largo il sospetto che in realtà si tratti della solita marchettona pubblicitaria: peccato. Il teatro Regio è deserto, non c’è pubblico, non c’è rappresentazione, la ragazza entra senza trovare ostacoli, lei può lì dove noi non possiamo, è immagine e immaginario di una cultura eterea, inarrivabile per magnificenza, intoccabile, distante e inespressiva come un teatro vuoto, luci accese sul niente se non sulla sua propria autoreferenziale bellezza.

“Stacco”, direbbe Paolo Sorrentino, e via con una ripresa-cartolina a volo di gabbiano sui tetti di Parma (ancora una volta solo il centro storico e solo il triangolo delle meraviglie: piazza Garibaldi, Teatro Regio, Pilotta). La ragazza in giallo ora si prova un cappello da Vender, prende un caffè, compra un libro alla libreria Fiaccadori, forse ha saputo che ne restano pochi ancora di negozi storici aperti in centro. Lei si aggira così, senza meta, con quell’aria un po’ annoiata della borghese in cerca di avventure, entra così nel duomo e anche questo è vuoto, scomparsi tutti, persino i turisti. Forse è il booktrailer di Cecità di Saramago? O piuttosto una puntata di Albero Angela dove sontuosa l’arte appare in tutta la sua maestosa sacralità, intoccabile, iconica, alta, inarrivabile e per contrasto viene da pensare alla Madonna dei pellegrini di Caravaggio con i piedi sporchi del devoto in adorazione che tanto destarono scalpore.

La ragazza di Parma ora sosta in una biblioteca palatina semi deserta, nessuno studente ad animarla, nessuno studioso, meglio in solitudine godere degli inarrivabili simulacri. Infine eccola trascinarsi in una gita svogliata tra le sale della galleria nazionale per imbattersi, manco a dirlo nella statua di Maria Gigia (anche qui per sdrammatizzare la nobile Luigia) e nella Scapigliata di Leonardo, tanto per pescare il nome più noto che si potesse immaginare. Infine la ragazza esce per le strade di Parma e, udite, udite, cosa poteva mancare per chiudere questa bella giornata di CULTURA? Una bella degustazione di prosciutto di PARMA.

Gran finale.

Come è facile questo video, come è scontato, come semplifica la complessità di una città e come banalizza la stratificazione di quel che offre dal punto di vista culturale. Lo stesso dossier Parma 2020 per fortuna racchiude molto di più di questo, c’è da augurarsi che la prossima comunicazione, affidata dal comune ad un’agenzia di Mantova, sia in grado di restituirci un’immagine meno superficiale, meno artefatta e sterile di questo primo atto. C’erano riusciti Gianpaolo Bigoli e Stefano Cattini nel video con il quale Parma aveva vinto il prezioso riconoscimento di capitale della cultura, offrendo un’immagine di città contemporanea, vitale, espressiva, adesso quell’immaginario sembra aver ceduto il passo alla vecchia e sempre vincente italica triade: pane, amore e fantasia.

Quel che in definitiva questo video non mostra è la cultura che veramente batte il tempo, la città invisibile, quella delle associazioni, delle biblioteche, degli spazi off, delle librerie, dei teatri, dei quartieri limitrofi al centro, del decentramento, di chi crede che CULTURA sia una pratica quotidiana, costante, principio e valore fondante e formativo di una moderna società civile. Speriamo che l’anno di Parma capitale della cultura sia l’opportunità di far emergere quel che ribolle nel sottosuolo.

La città invisibile batte il tempo e questo è quel che conta.