Parlateci di Bibbiano? Appunti per una riflessione critica

di Andrea Davolo

 

Parlateci di Bibbiano. Un espressione in voga. Lanciata da un area politica che ha interessi ideologici molto precisi da imporre. Un area che va dalla Lega al Popolo della Famiglia, sino alla galassia dell’estrema destra e che da tempi non sospetti lavora per asfaltare definitivamente ciò che di residuale è rimasto nel settore della protezione e della tutela del minore, dopo decenni di tagli ininterrotti ai servizi sociali, per affermare un principio chiaro: i figli sono proprietà privata dei loro genitori, qualsiasi cosa accada (e la donna proprietà privata di suo marito). Questo è per esempio il principio ispiratore del Ddl Pillon, non casualmente rilanciato a tambur battente proprio in queste settimane.

Non sappiamo ancora cosa sia davvero accaduto a Bibbiano. Conosciamo molte ipotesi giornalistiche, la gogna mediatica che si è aperta in questi giorni e che ha spacciato, a suon di articoli di giornale e di post martellanti sui social, ricostruzioni a volte anche molto fantasiose, come quella di un organizzazione criminale di 20, forse 30, dipendenti pubblici e di cooperativa (assistenti sociali, psicologi, educatori) stranamente concentratisi tutti in un piccolo territorio comunale di 10.000 abitanti, dediti a strappare figli alle loro famiglie di origine per ottenere un tornaconto economico illecito, la cui natura è ovviamente imprecisata. Alcune di queste ricostruzioni sono state già smentite. Ad esempio, quella di una mamma che affermava l’utilizzo dell’elettroshock nei bambini per indurre loro falsi ricordi di abusi mai avvenuti. Fortunatamente, lo psicoterapeuta accusato ha potuto mettere a disposizione tutti i filmati delle sue sedute per dimostrare che mai nulla del genere è accaduto. L’accusa più infamante nei suoi confronti è decaduta e per questo motivo è stato scarcerato. Per il resto delle “cose che non tornano” vi segnalo alcune riflessioni interessanti di Luigi Cancrini sull’Espresso, che personalmente in gran parte condivido.

Non possiamo neppure dire quanta verità prima o poi emergerà. Dubito che l’inquinamento politico e ideologico che c’è attorno a questa vicenda potrà mai consentire la trasparenza di una ricostruzione genuina dei fatti. Nelle nostre società, la verità processuale molte volte non sono i fatti, ma l’esito dei rapporti di forza che si sono espressi nell’aula di un Tribunale. Tuttavia, penso che una “chiarezza” e una trasparenza si possa conquistare e dipende dalla capacità di noi operatori della tutela minori e della salute mentale di tornare a fare una riflessione critica sulle nostre professioni, sulle prassi con cui lavoriamo e sugli obiettivi del sistema in cui lavoriamo.

 

Perché a Bibbiano comunque qualcosa è andato storto. Ne ho sentite tante di ipotesi. Gravi incompetenze dovute ad un clima di vicinanza eccessiva alla sofferenza dei bambini, come ipotizza Cancrini? Intollerabili leggerezze tecnico-professionali commesse in servizi in cui si è chiamati ad intervenire tempestivamente, con poche risorse ed operatori poco formati e preparati? Un dolo effettivo che può aver riguardato singole persone? Il delirio di onnipotenza di qualche operatore? Un ingiustificato e paranoico vissuto di ingiustizia e di maltrattamento di qualche genitore, gonfiato e rilanciato da legali e mass media? Un mix di alcuni o di tutti questi fattori?

Non c’è una risposta da dare ora. E non bisogna aggiungere una sola voce alla canea in atto. Ma ciò che adesso conta, più di ogni altra cosa, è che quel “Parlateci di Bibbiano”, non è solo lanciato da politici ipocriti e faziosi, ma è ripreso anche da genitori e persone genuinamente preoccupate. E non semplicemente perché imbevute di “propaganda social”, paradigma delle interpretazioni snob che tanto si usano dare a sinistra. Ma perché diffidenti di un sistema di tutela e di (poca) cura che, dobbiamo riconoscerlo, presenta delle falle. E non certo per colpa diretta di operatori sempre sulla linea del fronte, molto spesso malpagati e precari.

Ma è ora di piantarla con il vittimismo, smettere di stare sulla difensiva e provare noi, in altro modo, a parlare di ciò che c’è da rivoluzionare nel campo della tutela, protezione e cura dei minori. Solo così si riuscirà ad evitare l’azzeramento dei servizi, progetto tanto accarezzato dalla destra. Non dovrebbe neppure interessarci il mantenimento dello “status quo” di servizi svuotati di risorse e di competenze dai tagli e dagli arretramenti culturali di questi anni e che perciò rischiano di produrre forse, in alcuni casi, solo protezione dei minori, ma non cambiamento e recupero delle capacità accuditive nei genitori e nelle famiglie maltrattanti o trascuranti.

Riferendosi al rapporto tra gli psichiatri e i pazienti psichiatrici istituzionalizzati, Franco Basaglia scriveva: “il loro compito, che viene definito terapeutico-orientativo, è quello di adattare gli individui ad accettare la loro condizione di “oggetti di violenza”, dando per scontato che l’essere oggetto di violenza sia l’unica realtà a loro concessa” (da “L’istituzione negata”). Mutando soggetti e contesti, possiamo dire che in molti casi, per motivi e ragioni che vorrei discutere, il lavoro dell’operatore, sociale o clinico, della tutela minori rischia di essere quello di mettere in protezione il minore e di adattare la famiglia maltrattante ad essere “soggetto di violenza”, dando per scontato o finendo per accettare che quella sia la sua unica realtà possibile.

Come accadde agli operatori della salute mentale che negli anni ’70 misero sotto esame prassi e sistema consolidati, saldandosi con le lotte e le mobilitazioni per il diritto alle cure (leggi qui), così oggi dovremmo fare per rilanciare i servizi di tutela e di cura dei minori, restituendo al nostro lavoro la capacità di andare fino in fondo e di garantire sempre benessere, salute, recupero delle capacità dei nostri pazienti, compresa della capacità di essere un buon genitore. Il parallelo non è forzato. Come nel caso della violenza istituzionale dei manicomi negli anni ’60 e ’70, oggi il tema della violenza all’interno della famiglia, nei confronti dei bambini e/o delle donne, sembra assumere sempre più il ruolo di cartina di tornasole della violenza e dell’oppressione insita nella nostra società capitalista (accanto a queste forme di violenza, anche la violenza, istituzionale e non, contro i migranti e i rifugiati). Non è un caso che negli ultimi anni siano state sempre più numerose le mobilitazioni di massa su questo tema, in ogni angolo del pianeta.

A questo proposito, a mio avviso ci sono tre punti che riguardano l’attuale sistema di tutela minori che andrebbero approfonditi e sottoposti a critica. Questi punti non hanno la pretesa di essere esaustivi, ma mi piacerebbe che a partire da questi, si possa iniziare un confronto. Questi punti si possono sinteticamente riassumere in tre “motti”:

1. Protezione e cura non si “tagliano” e mai dovrebbero essere consegnati al mercato;

2. “L’allontanamento dei figli è di classe?”: la povertà è un fattore di rischio, non è una colpa;

3. Per la famiglia maltrattante (come per il bambino maltrattato), diritto alle cure e al cambiamento, anziché condanna alla paranoia.

 

In interventi successivi, proverò ad articolare alcune riflessioni su ciascuno di questi nodi.