Cooperative sociali: un rinnovo da rifiutare

da Sinistra Classe Rivoluzione Parma

È stato firmato un preaccordo sul rinnovo del contratto delle cooperative sociali, scaduto da 8 anni, fra le centrali cooperative e Cgil, Cisl e Uil. L’ipotesi dovrà vedere l’approvazione dei lavoratori che potranno accettare o rifiutare l’accordo. Sono in corso in questi giorni le assemblee, un percorso di consultazione che si concluderà a metà maggio. Spiegheremo i motivi per cui siamo contrari all’ipotesi. In una frase: si ottengono aumenti salariali assolutamente insufficienti senza alcun avanzamento sui diritti. Tutta la trattativa ha visto un silenzio assordante e un coinvolgimento nullo dei lavoratori. Assemblee poche o nessuna, a seconda del territorio, se non in questa fase “a giochi fatti”. Nessun dibattito con i lavoratori durante la contrattazione, men che meno sulla piattaforma presentata.

Sulle risorse economiche: un aumento del salario basso, se pensiamo che le retribuzioni sono ferme da tanti anni. 80€ in 3 tranches, di cui due a contratto scaduto e neanche certe perché verranno sottoposte a ulteriore trattativa, di soldi sicuri si contano solo 35€. Che criteri sono stati usati per decidere che 80€ vanno bene e non si poteva ottenere di più? Perché l’una tantum è solo di 300€?  La categoria è una delle più tartassate, sfruttate e sregolate, quindi 80€ più l’una tantum (calcolando che è vacante dal 2011) possono persino, per qualcuno, apparire un po’ come la manna dal cielo. Ma il compito di un sindacato come il nostro non dovrebbe essere quello di prestare il fianco alla rassegnazione. L’obiettivo non era ridurre il divario con i lavoratori pubblici dello stesso settore? Dov’è finita la parola d’ordine “a parità di mansione uguale salario”?

Gli aumenti contrattuali, ovviamente, sono calcolati sui full time mentre la stragrande maggioranza dei contratti è part-time, quindi saranno in realtà più bassi. Infine, il Premio di Risultato è un altro regalo ai padroni: verrà definito un premio, non erogabile in caso di “sofferenza economica”. Ma già adesso quasi tutte le aziende sono cooperative che dovrebbero ridistribuire gli utili e devono prendersi la briga di giustificare in assemblea perché non lo fanno. Si tolgono così le castagne dal fuoco ai padroni del mondo cooperativo.

Norme e diritti: sembra una resa senza condizioni alle centrali cooperative. Chi non conosce il mondo delle coop deve sapere che il profitto viene concretamente fatto sui secondi millesimi di lavoro non pagato al lavoratore, perché lavorare in appalto pubblico ha il pregio di non avere rischio di impresa ma lo svantaggio di un introito fisso. Significa che lucrano sul tempo di vestizione, di trasporto, di spostamento, sull’uso dell’auto privata, sulla gestione dell’orario in base alle esigenze aziendali ecc. Tutte queste cose vengono formalizzate nel contratto nazionale, mentre finora ogni cooperativa le imponeva come “regole organizzative” dovendo aprire pericolosi dibattiti in assemblea dei soci.

Art 11: d’ora in poi sarà più complicato scioperare, poiché diventano servizi essenziali il preparare pasti, la cura di minori, dei disabili, dei soggetti in struttura o degli utenti domiciliari. Praticamente tutto il personale tranne i costruttori o gli addetti alla pulizia. Hanno di fatto eliminato l’unico vantaggio di essere lavoratori in appalto. Se unito, infatti, all’autocensura per cui i sindacati si astengono da intraprendere qualunque azione 5 mesi prima della scadenza del contratto territoriale (nuova norma contrattuale), questo comparto rientra a pieno titolo tra quelli a cui è di fatto impedito l’esercizio del diritto di sciopero.

Art 25: si fissa un limite, altissimo, il 30%, ai lavoratori a tempo determinato fissando i criteri di non applicabilità che sono, manco a dirlo, quelli che fanno comodo alle aziende. In particolare, la voce “attività stagionali”. Si ritorna ai 36 mesi di contratto precario prima della stabilizzazione mentre, col decreto dignità, si era arrivati a 24.

Art 26: part time. In una categoria in cui il part time è altissimo, il contratto non limita o fa chiarezza ma aumenta l’arbitrio e l’incertezza. Fra clausole flessibili, clausole elastiche, banca ore e accordi di secondo livello si capisce soltanto che non si dovranno più liquidare subito il 50% delle ore di straordinario e che la maggiorazione del 27% potrebbe anche cadere al 2%.

Art 37: cambi di appalto. Anche questa parte sancisce che le cose vanno bene come si fa adesso. Teoricamente un’azienda subentrante deve garantire le stesse condizioni di quella uscente ma se ha regole diverse allora il lavoratore “si attacca”. Esempio: la mia coop mi paga un’ora al mese per le riunioni o per la compilazione delle carte, quella entrante no. Indovina come finirà nella coop nuova? La paga o no?

Art 47: poca roba, a parte i lavoratori dell’accoglienza che vengono declassati a un bel C1 (legge Iori permettendo, visto che leggiamo anche i lavoratori senza titolo inquadrati nella fascia B1) mentre chiedevano di arrivare alla fascia D. Passano, quindi, lavoratori in genere laureati, dal livello degli operatori sanitari con titoli minimi a quello del manovale non formato. Ma tanto si sa che chi lavora coi profughi è un nemico della patria! Si cerca di riconoscere le attività non frontali agli educatori dei nidi e delle scuole sancendo un impegno orario che va dal 2% al 6% sul monte ore; può apparire un buon compromesso visto che moltissimi devono sudare per aver riconosciute un’ora o due all’anno per la compilazione dei documenti, ma ci sono realtà in cui le ore non frontali sono bene maggiori del 6%.

Art 51: “Chi fa turni ha diritto a 11 ore di riposo fra un turno e l’altro” tranne tutti i casi in cui fa comodo all’azienda. Grazie tante ma così ci serve a poco.

Art 57: dovrebbe regolare le notti passive, cioè quel meccanismo per cui se sei di turno notturno ma non ti sveglia nessun utente allora non viene conteggiato come turno di lavoro. Il tutto a 5€. E dopo 8 ore si torna al lavoro eh! Mica dopo 11, vedi art 51.

Art 71: viene riconosciuto che un lavoratore malato di tumore o di gravi patologie degenerative può rimanere a casa oltre i 12 mesi senza essere licenziati. Bene.

Art 85: non si è riusciti a sancire l’ovvio, cioè che il tempo di vestizione e svestizione va conteggiato nell’orario di lavoro. L’articolo demanda alla contrattazione di secondo livello e ci colpisce vedere sbandierato nel volantino Cgil il riconoscimento del tempo di vestizione. Non è così, dipenderà dagli accordi successivi.

Art 86: viene istituito il fondo previdenziale gestito dall’azienda e dai sindacati firmatari del contratto. È facoltativo, per carità, ma riteniamo sia sbagliato investire sulla previdenza privata integrativa e far confluire parte del Tfr del lavoratore (non meno del 26%). È così che la Cgil combatte la privatizzazione del welfare?

Art 87: Idem come sopra ma per la parte sanitaria. 5 € al mese verranno devoluti al fondo integrativo. Stessa contrarietà: da un lato si investe sulla sanità privata attraverso fondi sanitari e dall’altra si dice che bisogna sostenere il Ssn.

Si conclude con il peggior regalo del contratto: la banca ore. È un meccanismo per cui il conteggio orario non è più settimanale o mensile ma annuale. Per cui le ore di straordinario te le fanno recuperare e non pagano, se vai sotto con l’orario ti fanno pressioni per dare maggiori disponibilità. Insomma, è un modo per scaricare i periodi di basso lavoro sui dipendenti che saranno chiamati poi a recuperare nei picchi (o viceversa).

Ma attenzione: tutte le modalità di cui sopra non saranno così definitive poiché tutto andrà rivisto in sede di Comitato Territoriale. Ossia: così come Cgil, Cisl e Uil stanno gestendo questo rinnovo, in modo burocratico senza un reale coinvolgimento dei lavoratori, verrà gestito il nostro futuro lavorativo. Come un tavolo territoriale, con due funzionari sindacali e due manager delle coop (perché un altro limite del contratto è che non si pone nemmeno l’obiettivo di indire elezioni Rsu e permettere l’elezione democratica di una rappresentanza sindacale, assente totalmente in questo comparto) possano strappare un buon accordo sui turni o sugli straordinari o sull’infortunio senza chiamare alla mobilitazione rimane un mistero.

Finora i dirigenti sindacali hanno commesso un grande errore: credere e dire che le coop che applicano il contratto siano buone mentre cattive sono quelle piccole. Bisogna accettare la realtà: le coop cattive sono anche e soprattutto le grandi e che applicano il contratto nazionale. E noi oggi gli abbiamo regalato la possibilità di avere le peggiori regole (per noi) nel Ccnl mentre prima dovevano almeno fare la fatica di sfidare i lavoratori nelle assemblee. La contrarietà non può che essere totale a questo punto. Ovviamente per fare meglio bisognava discutere con i lavoratori la piattaforma in corso d’opera, mobilitarli, denunciare a mezzo stampa le nefandezze dei nostri padroni (non riusciamo a sentirci “soci alla pari” con i nostri dirigenti); senza avere la garanzia di vincere, certo, ma questo non è stato nemmeno tentato. Se la Cgil vuole uscire dal pantano deve mettersi su questo terreno perché le cooperative sociali impiegano lavoratori che, se organizzati, saprebbero farsi sentire: asili, ospizi, pulizie industriali e private, costruzioni, disabilità, accoglienza, ambulanze, biblioteche, centri estivi comunali, scuole materne, accompagnamenti, operatori sociosanitari domiciliari e ospedalieri. Lavoratrici e lavoratori della cura e dell’assistenza diffusi capillarmente in centri nevralgici della società.

La Cgil deve intraprendere questa strada altrimenti si vedrà ulteriormente screditata agli occhi dei lavoratori che, comprensibilmente, potranno leggere in questo contratto la fusione della Cgil e del mondo delle cooperative, invece che la necessaria difesa dei loro interessi.