Le piazze dell’8 marzo

da Potere al popolo – Parma

L’8 Marzo è stata una giornata importante. Parma ha visto un corteo contro il decreto Pillon che ha sfiorato le 3000 presenze (2500 per la Questura), un fatto eccezionale. Un corteo che ha fatto intravedere dei segnali di vita in un corpo civile risucchiato nell’impresa di non affondare tra lavori precari e servizi sociali sempre più scarsi. Ci sono problemi ma c’è ancora chi pensa che il modo migliore sia mettersi insieme e non sgomitare col vicino per accaparrarsi una briciola in più. Al mattino, invece, sotto il palazzo della Regione a Bologna si è svolta un’importante manifestazione dei lavoratori del sociale, sotto il cappello di Adl Cobas e collettivi di educatori da Parma, Reggio, Bologna, Ferrara e Rimini [leggi la cronaca del presidio, ndr]. Il neonato collettivo degli educatori di Parma ha partecipato e speriamo sia solo l’inizio di un percorso di auto-organizzazione dei lavoratori a cui auguriamo tanta buona strada [leggi il manifesto del collettivo, ndr].Questi due percorsi, quello contro il decreto Pillon e quello per la dignità del lavoro sociale, sono in molti sensi collegati. Anzitutto perché i lavoratori del sociale sono in grande maggioranza lavoratrici del sociale. Il lavoro di cura è ancora un mestiere “tipicamente” femminile, prendersi cura viene “più naturale” alle donne, direbbe qualcuno, e forse è per questo che ancora oggi il contratto delle cooperative sociali è uno dei peggiori contratti collettivi nazionali dal punto di vista retributivo. È scaduto ormai da sette anni e chi era a Bologna era lì anche per questo, nel cuore della Regione delle cooperative per eccellenza. Le donne hanno svolto storicamente, e svolgono tuttora, una funzione essenziale per la società, quel lavoro riproduttivo che ha permesso a milioni di lavoratori maschi di lavorare nelle industrie: senza il lavoro di quelle donne, il decollo industriale non sarebbe mai potuto avvenire. Chi avrebbe preparato i pasti, accudito i figli, curato gli anziani? Insomma, chi si sarebbe preso il carico far andare avanti la vita mentre il maschio era al lavoro?

I servizi sociali sono stati tra le conquiste della classe operaia negli anni ‘60 e ’70. Senza il welfare, le donne non si sarebbero potute permettere di avere un ruolo fuori dalle mura domestiche. Lo Statuto dei Lavoratori, la sanità gratuita, gli asili comunali, la chiusura dei manicomi, insieme alla legge sull’aborto e sul divorzio appartengono alla stessa stagione di conquiste. Oggi assistiamo al sistematico attacco a tutte queste conquiste. Apparentemente sono slegate ma proviamo a chiederci: se la cura di anziani, bambini, malati e disabili diventa un lusso, come farà chi non potrà permetterselo? Qualcuno una soluzione ce l’ha: facciamo tornare a casa le donne. E per farlo usano il bastone e la carota.

La carota consiste in proposte fetide come il reddito di maternità. Mille euro al mese per le donne (ovviamente solo italiane, per carità) che scelgono di stare a casa e occuparsi esclusivamente del figlio fino agli otto anni. Una proposta che risulta decisamente allettante per chi fa i salti mortali ed è disposto a lavori faticosi, monotoni e spesso umilianti a fronte di stipendi ridicoli (molto meno dei mille euro promessi) pur di pagare asili, baby-sitter e affitti. Al di là degli aspetti tecnici della proposta, si capisce bene l’inganno: dopo otto anni a casa, rientrare nel mondo del lavoro diventerebbe quasi impossibile. E senza lavoro ritorna lo spettro della dipendenza economica dal marito, che si trasforma in inferiorità sociale al primo imprevisto. Proprio qui arriva il bastone della legge Pillon, che rende il divorzio una strada difficile da percorrere. Una strada che senza indipendenza economica femminile diventa impraticabile, neutralizzando la legge sul divorzio nei fatti.

Contenti i fautori della Famiglia (con la maiuscola) della società ordinata. Personaggi grotteschi, tra nostalgie medievali e neofascismo, che dal folklore sono passati al governo senza passare dal via. Siamo tutti impazziti? Chi lo sa. Ma a guardar bene, queste macchiette col pallino della famiglia tradizionale trovano una singolare convergenza con i moderni signori dell’Austerity. Pensiamo al risparmio economico generato dal ritorno in casa delle donne per l’erario pubblico. Senza contare l’alleggerimento della disoccupazione, fenomeno che dopo dieci anni di crisi sta costruendo una vera e propria eccedenza di manodopera: vite inutili, eterni panchinari di lavori ultra precari, marginali che servono a tenere basso il costo del lavoro sul mercato. Eccedenze che creano problemi sociali, ovviamente. Eccedenze che di volta in volta trovano il bastone dei decreti contro i poveri e la carota avvelenata del reddito di cittadinanza, in cambio di lavoro volontario per “la collettività” e l’accettazione di qualsiasi proposta di impiego.

Per questo Potere al Popolo ritiene importante che l’8 Marzo abbia visto la piazza di Parma e quella di Bologna. Perché quelle piazze sono il miglior antidoto alla violenza della società di mercato e al mercato della politica. Da quelle piazze bisogna imparare, bisogna ascoltare, per cercare una strada diversa da quella che ci vuole impauriti e obbedienti, chiusi in casa, e ci consente di manifestare il nostro disagio solo sfogandoci con chi sta peggio di noi.